L’Indonesia e il sanguinoso oblio dell’Occidente

29 Luglio 2023

“Il solo modo per non impazzire, era bere il sangue dei comunisti che uccidevamo: se riesci a bere il loro sangue sai che puoi fare qualsiasi cosa”. Non è una frase di un film di Quentin Tarantino, ma la testimonianza di un miliziano delle squadre della morte che, nello spazio di poco più di cinque mesi, tra la fine del 1965 e l’inizio del 1966, divengono la mano omicida dell’esercito del generale Haji Mohammad Suharto –oltre un milione di morti: fucilati, sgozzati, decapitati, brutalmente mutilati.

La frase è di Anwar Congo, uno dei tanti assassini dello sterminio ed improvvisato attore in “The Act Of Killing”, un documentario del 2012 di Joshua Oppenheimer[1] che ripercorre quei terribili mesi: Anwar, assieme a Adi Zulkadry, allora gangster, ed ora rispettabile membro di una società di sicurezza, racconta di aver ucciso almeno 1000 “comunisti” e di non sapere nemmeno lui bene perché: “Andava fatto e basta, e cercavamo di farlo nel modo più rapido e migliore possibile”. Nel film non manca di descrivere nel dettaglio le tecniche usate per uccidere. Oggi è uno dei pochi nei quali sembra affiorare un barlume di pentimento, e che racconta delle sue notti turbate dai fantasmi.

Attorno a lui, anche tra la gente comune, l’idea di aver fatto la cosa giusta è molto diffusa: il sentimento anticomunista è ancora oggi vivo, forse anche perché i protagonisti politici di allora riempiono ancora indisturbati gli scranni del potere. Sono passati quasi 60 anni da uno dei massacri più imponenti, efferati, brutali, sanguinosi che la storia mondiale abbia mai registrato – un genocidio troppo spesso dimenticato, scatenato da una propaganda martellante architettata da Stati Uniti e Regno Unito che demonizza chiunque non si allinei con un governo fantoccio presieduto da Suharto, insediatosi dopo un tentativo di colpo di Stato dagli aspetti ancora oggi oscuri.

Il leader e la resistenza

Sukarno accolto da Richard Nixon nel 1956[2]

Kusno Sosrodihardjo, meglio noto come Sukarno o Bung Karno, è il primo presidente indonesiano dopo la proclamazione di indipendenza (1945) ed ha il difficile compito di guidare il paese, dilaniato da violenze tribali e religiose, fino alla proclamazione della “Repubblica d’Indonesia”[3]. Sukarno ricopre un ruolo fondamentale nel formare la nuova coscienza nazionalista in risposta all’espansione del potere coloniale sulla vita economica, politica e sociale delle Indie. L’Olanda, durante la sua egemonia coloniale, tenta di implementare un’economia imprenditoriale moderna attraverso uno stretto controllo politico e lo smantellamento dei modelli economici e sociali tradizionali – ma il risultato è la nascita di un forte malcontento sociale e rabbiosi sentimenti nazionalisti, di cui Sukarno si fa rappresentante[4].

Nel 1928 Sukarno assume la presidenza del Partito Nazionalista Indonesiano (PNI): i suoi discorsi, conditi di retorica appassionata, lo rendono un nemico per gli Olandesi: arrestato durante una purga e condannato a quattro anni di prigionia, riesce a tornare libero dopo un anno – con ancora più forza e carisma. Nel 1931 è lui, nell’immaginario collettivo, l’indiscussa figura chiave del nazionalismo e del movimento indipendentista indonesiano, e nulla cambia per un nuovo arresto (1933) e l’esilio nell’isola di Sumatra[5].

Nel 1942 il Giappone invade le Indie Orientali e tenta di utilizzare Sukarno per ottenere consenso popolare e trasmettere l’immagine del Giappone come liberatore. Sukarno, a sua volta, riesce a sfruttare Tokio per gettare le basi per l’autogoverno: durante l’occupazione, il leader nazionalista crea un efficace sistema di consigli consultivi grazie ai quali gli indonesiani iniziano a partecipare alla politica dell’arcipelago. Nel 1943 l’esercito giapponese forma l’esercito volontario del Corpo di difesa nazionale PETA (Pembela Tanah Air) per respingere l’invasione delle forze alleate nelle Indie orientali – l’organizzazione si trasforma successivamente nel fulcro dell’esercito dell’Indonesia indipendente[6].

Sukarno è sempre più il collante del popolo indonesiano, grazie anche ad un comune sentimento di appartenenza così come espresso nel Pancasila, un pensiero filosofico basato su cinque fondamentali principi: nazionalismo, internazionalismo o umanitarismo, democrazia, prosperità sociale e fede in Dio[7], il tutto condito da un sincretismo insito nella cultura indonesiana che aiuta a superare le diversità nel credo religioso[8].

La CIA sbarca a Jakarta

Il presidente Sukarno insieme al segretario di stato americano Dean Rusk ed il vicepresidente Lyndon Johnson[9]

Il 15 agosto 1945 arriva la resa del Giappone e due giorni dopo Sukarno dichiara l’indipendenza della Repubblica d’Indonesia. Il giorno successivo assume la carica di Presidente della Repubblica e promulga la prima Costituzione, fondata sul pensiero Pancasila: è l’inizio della rivoluzione indonesiana, durante la quale Sukarno rimane la principale e indiscussa autorità. L’Olanda, per quasi quattro anni, mette in atto ogni possibile strategia per ostacolare il riconoscimento della nuova Repubblica e fondare una sorta di federazione tra olandesi e indonesiani. Il contrasto sfocia in diversi attacchi militari olandesi tra il 1947 ed il 1949: Sukarno viene di nuovo arrestato, ma poi liberato in seguito alle pressioni delle Nazioni Unite, che nel giugno 1949 portano ad una tregua ed al ritorno di Sukarno a Giava, stavolta con la protezione degli americani: il mese successivo l’Olanda accetta l’indipendenza del paese[10].

Cosa è cambiato? La fine della guerra spinge Washington a modificare la rete diplomatica internazionale e l’attività dell’OSS (Office of Strategic Services, servizio segreto militare), agenzia che si ritrova ad attraversare una fase ambigua, dalle nebbie della guerra alle nebbie della pace: i loro ufficiali si interrogano sul proprio futuro[11]. Washington risponde: l’OSS deve essere abolito, ed al suo posto deve prendere forma l’Unità dei servizi strategici (SSU), un’organizzazione con le capacità operative dell’OSS e con funzioni di intelligence straniera e controspionaggio. La centralizzazione, voluta nel 1947 dal capo dell’OSS William Donovan, è il preludio della nascita della Central Intelligence Agency (CIA)[12].

Nell‘Oceano Pacifico, tutte le missioni di guerra diventano missioni diplomatiche di spionaggio e controspionaggio. La guerra è finita, ma non del tutto. Frederick E. Crockett, un ufficiale dell’OSS, subito dopo la resa giapponese nel 15 settembre 1945, giunge nel porto di Tanjung Priok a Jakarta con la nave da guerra britannica HMS Cumberland: sotto l’ombrello dell’Operazione Everest, Crockett deve assistere il rimpatrio delle truppe statunitensi catturate dai giapponesi e aprire un ufficio di coordinamento della CIA, che da Jakarta apre stazioni di intelligence sempre più organizzate anche a Saigon (ora Ho Chi Minh City) e a Singapore[13].

A Jakarta, il pioniere che si prenderà per primo cura dell’avvio dell’agenzia è l’ex ufficiale dei partigiani indonesiani, Zulkifli Lublis: i suoi uomini, che avevano combattuto nella jungla nella milizia irregolare del PETA, vengono allenati dalla CIA ad essere un corpo speciale, formato da almeno 40 elementi scelti tra ex ufficiali indonesiani ed ex informatori giapponesi[14]. Lo scopo è controllare qualsiasi deviazionismo in tutta l’Indocina – e soprattutto in Vietnam[15].

A Jakarta si celebra una stagione di democrazia parlamentare (1949-1958), periodo durante il quale Sukarno, in qualità di Presidente della Repubblica, assume soltanto una funzione onoraria, mentre i reali poteri esecutivi sono nelle mani del Primo Ministro. Non è un periodo facile, segnato dalla caduta di diversi governi e da numerose ribellioni contro il potere centrale. Durante questa fase, ed esattamente il 29 settembre 1950, l’Indonesia entra a far parte dell’ONU[16]. Nell’instabilità, Sukarno è abile nel rafforzare il proprio potere. Quando decide di agire, è contro il modello occidentale di democrazia liberale per sostituirlo con un sistema di “democrazia guidata”: un modello che si basa sulla tradizione tribale, sulle assemblee di villaggio, sulla musyawarah (un’assemblea composta non solo da partiti politici, ma anche da lavoratori urbani, agricoltori rurali, intellettuali, imprenditori, organizzazioni religiose, forze armate, associazioni giovanili e femminili, ecc.), dirette da un leader, il mufakat, che rappresenta i voleri del musyawarah nelle sedi del potere centrale[17].

Washington, maggio 1970: Suharto con il vicepresidente degli Stati Uniti Spiro Agnew e le rispettive mogli[18]

Siamo nel 1959, si avvia una nuova fase politica caratterizzata dall’abolizione del parlamento, la reintroduzione del sistema presidenziale sostenuto dall’esercito. I partiti vengono ridotti a dieci e tra questi, l’unico a godere di possibilità d’azione politica – e a competere con l’esercito per accrescere il proprio potere – è il Partito Comunista Indonesiano (PKI), partito verso il quale Sukarno si avvicina sempre più, contestualmente ad una intensificazione dei rapporti con la Cina e la Russia: tra il 1961 ed il 1962 Jakarta acquista dall’Unione Sovietica armi nucleari tattiche e razzi a corto raggio, missili da crociera e bombardieri con tanto di equipaggio, una strategia che mostra chiaramente di come i russi stiano offrendo il loro supporto per una azione bellica contro gli olandesi nella causa riguardante la Nuova Guinea[19].

L’operazione getta nuova luce sulla politica estera di Krusciov nei primi anni 1960[20]. Siamo in piena Guerra Fredda. Nel 1963 Sukarno si lascia nominare Capo di Stato a vita: i modelli di “democrazia guidata” e di “economia guidata” assumono sempre più le caratteristiche di una dittatura sanguinosa che, assieme ad una conduzione folle e sfarzosa alla ricerca del consenso popolare, grazie anche ad un gabinetto composto da decine di ministri cinici e corrotti, sfocia in un costante stato di crisi nazionale[21]. Ciò porta con sé delle conseguenze: Sukarno, affiancando il PKI, turba pericolosamente l’equilibrio tra i tre pilastri che hanno retto sino ad allora l’Indonesia (esercito, islam e comunismo) e, nel 1965, accade qualcosa che ridisegna completamente i vertici di potere e che dà il via ad uno dei più feroci massacri che la storia dell’umanità possa ricordare.

Il colpo di Stato

Jakarta, 30 settembre 1965: l’esercito indonesiano rastrella per la strada sospetti militanti comunisti che verranno fucilati pochi minuti dopo[22]

Gli avvenimenti del colpo di Stato sono ancora oggi confusi: sul 30 settembre 1965 e sui giorni che ne seguono, infatti, per quanto si indaghi tra documentazione, testimonianze, cronache giornalistiche, la verità storica è ancora lontanissima dall’essere stata raggiunta. Circolano voci dell’esistenza di un cosiddetto consiglio di generali di destra sostenuti dalla CIA e che prima o poi avrebbero tradito Sukarno[23]. Durante la notte del 30 settembre diversi ufficiali di medio rango fanno irruzione nelle case di una dozzina di alcuni dei loro superiori (tra i quali il comandante dell’esercito, il generale Ahmad Yani[24]), con l’intento di rapirli; durante l’operazione tre di loro vengono uccisi, gli altri vengono portati in una base aerea e giustiziati. Solo uno di loro, il generale Abdul Haris Nasution, riesce a fuggire[25].

I rivoltosi occupano piazza Merdeka e la stazione radio nazionale, dopodiché è il caso. A fine giornata, il tenente colonnello Untung bin Syamsuri, attraverso i microfoni della stazione radio, rende noto di aver sventato, assieme ad altri ufficiali riuniti nel “Movimento 30 settembre”, un colpo di stato organizzato da “generali pazzi per il potere sostenuti dalla CIA” e che tutto si riduce ad una questione “interna all’esercito”: Sukarno è al sicuro[26]. Secondo la narrazione ufficiale, durante le prime ore del 1° ottobre il generale di brigata Suharto, un acerrimo nemico dell’islam e del comunismo[27], avvisato del tentato golpe, mobilita le forze speciali per riprendere il controllo del centro di Jakarta. Secondo la testimonianza del colonnello Abdul Latief, Suharto sarebbe stato avvisato ben sei ore prima del tentato golpe – ma Suharto non fa nulla, aspetta[28].

Alle ore nove di sera, dopo aver preso il comando dell’ABRI (Angkatan Bersenjata Republik Indonesia), Suharto annuncia ai microfoni della radio la conferma del rapimento dei sei generali da parte dei “controrivoluzionari” e che il “Movimento 30 settembre” intende rovesciare Sukarno – e che tutto è ormai sotto il controllo dell’esercito: il Movimento 30 settembre è annientato con l’attacco alla base aerea di Halim, dove i golpisti si sono rifugiati trascinando come ostaggi, oltre ai generali, Sukarno ed il leader del PKI Dipa Nusantara Aidit, ora liberati[29]. Per Suharto è la grande occasione: sfruttare gli eventi per una feroce propaganda anticomunista, erodendo, giorno dopo giorno, il potere di Sukarno.

Suharto scatena una furibonda caccia al “comunista”: nel giro di poche settimane la macchina della propaganda militare diffonde notizie secondo cui l’intero PKI è autore di una massiccia cospirazione e che l’assassinio dei generali è solo il primo passo di una presa di potere comunista pianificata. Obiettivo: sterminare tutti i nemici del partito su una scala molto ampia. Il racconto secondo cui i membri del partito in tutto il paese stanno pianificando l’uccisione dei loro vicini diviene una formidabile molla – una campagna alla quale partecipano attivamente Stati Uniti, Regno Unito e Australia – che di lì a poco scatena una intensa attività di rastrellamento maturata poi in esecuzioni sommarie, prima contro elementi dell’esercito fedeli a Sukarno o politicamente sospetti, in seguito contro quadri e simpatizzanti del PKI, poi verso comuni cittadini senza alcun riguardo per vecchi, donne e bambini[30].

L’epurazione ha inizio ad Aceh, nell’estrema punta nord-occidentale di Sumatra, per estendersi poi attraverso tutta l’isola[31]. Ben presto lo sterminio si diffonde in tutta l’isola di Giava per arrivare a Bali – ovunque viene attivata una spietata macchina che imprigiona centinaia di migliaia di cittadini senza alcun motivo, etichettati come comunisti solo perché contadini, intellettuali, artisti, studenti o sindacalisti, di etnia cinese o semplicemente perché poveri, per poi essere barbaramente sterminati assieme ai loro parenti, figli e nipoti, senza nemmeno un processo sommario.

Il leader dei “gangster” Anwar Congo ricostruisce, in una scena del docufilm “The Act Of Killing”, una delle tecniche di uccisione: questa illustrata ha il vantaggio di spargere “poco sangue”[32]

I rastrellamenti e le uccisioni di massa non hanno una matrice unitaria. Primo attore è l’esercito regolare solidale a Suharto, che ha un ruolo chiave nel reclutamento, nell’armamento e nell’addestramento delle unità delle milizie per compiere gli omicidi. Va detto che non tutto l’esercito prende parte alle operazioni: diversi battaglioni, inclusa la divisione Diponegoro di Central Java e un numero significativo di ufficiali dell’aeronautica sono infatti fortemente in sintonia con il PKI, un partito che in quegli anni conta l’adesione di almeno 3 milioni e mezzo di iscritti ed altri 23,5 milioni di membri in organizzazioni affiliate: è il terzo partito comunista più grande al mondo dopo quello cinese e russo, il più grande partito comunista non al potere[33].

Una parte dell’esercito è dunque attivissimo nello sterminio, ma lo fa senza sporcarsi le mani: le azioni puntano a reclutare ed incitare le milizie locali o gruppi paramilitari di protezione civile e di difesa del popolo lasciando a loro l’atroce manovalanza, cercando di costruire squadroni della morte sfruttando anche bande di balordi (i preman o “gangster”[34]), gruppi criminali organizzati ma anche gruppi religiosi come quelli islamici , gruppi cristiani a Giava o gruppi Indù a Bali[35] pronti a compiere i massacri contro le “bestie immonde” comuniste che sono, secondo la propaganda, ovunque; per i gruppi criminali è anche una ricca occasione per rubare, depredare famiglie intere dei loro averi e stuprare le loro donne.

Tra i gruppi più attivi nella mattanza spicca Pemuda Pancasila (o Pancasila Youth), un’organizzazione paramilitare di estrema destra discendente dall’ala giovanile della League of Supporters of Indonesian Independence, istituita dal generale Abdul Haris Nasution nel 1959 in difesa degli interessi politici dell’esercito indonesiano, oggi conta tre milioni di membri. Il gruppo, dedito all’estorsione, al controllo del gioco d’azzardo e a numerose altre attività criminali, sostiene il regime[36]. Lo stesso Suharto si avvale di Pemuda Panca Marga[37] – un’altra organizzazione di estrema destra che difende i crimini contro l’umanità perpetrati dal governo[38] – e dell’Indonesian Retired Boys and Girls Communication Forum (FKPPI) – organizzazione molto simile alla PPM – per intimidire e attaccare oppositori e critici del governo[39].

In una scena del film “The Act Of Killing”, il vicepresidente dell’Indonesia in persona, durante una manifestazione di sostenitori dell’organizzazione, si presenta per lodare il lavoro di Pemuda Pancasila: “Abbiamo bisogno di gangster per portare a termine le cose!”, parole chiare che legittimano la criminalità come strumento del potere politico ancora nell’Indonesia di oggi[40]. Le milizie catturano i civili che vengono sommariamente interrogati e torturati. Dopo l’interrogatorio i prigionieri vengono suddivisi in tre categorie in base al loro presunto livello di coinvolgimento nel Movimento del 30 settembre, alcuni vengono trasferiti in colonie penali, strutture di detenzione e campi di concentramento sotto comando militare, mentre altri vengono trasportati dai veicoli militari, dagli squadroni della morte o dalle milizie anticomuniste nei luoghi di sterminio per essere giustiziati[41].

Le barbarie si compiono con ogni mezzo: torture, fucilazioni, decapitazioni, strangolamenti, corpi bruciati e fatti a pezzi; in quest’orgia di orrori donne, vecchi malati e bambini non vengono risparmiati; i negozi, gli uffici, le case ed ogni proprietà di chiunque fosse sospettato viene distrutto: l’obiettivo è cancellare per sempre tutto ciò che possa riportare all’ideologia comunista, e deve essere fatto con la massima brutalità possibile, perché sia di esempio per l’opinione pubblica. In poco tempo la follia omicida pervade ogni strada di ogni villaggio, contaminando anche cittadini comuni, pervasi da una sensazione terribile: “o si uccide o si viene uccisi”[42].

Japto Soerjosoemarno, leader della Pemuda Pancasila[43]

I massacri durano diversi mesi: le stime delle persone uccise non possono poggiare su documentazioni certe, a causa dell’assenza di registri ufficiali e della scarsa volontà del regime di fare chiarezza. Ad oggi verosimilmente si parla di oltre un milione di persone assassinate, ma alcuni studiosi pensano che i numeri possano arrivare a tre milioni. Lo stesso presidente Sukarno attiva una squadra per indagare sugli omicidi nel dicembre 1965, ma il numero di vittime calcolato da questa entità è fortemente incerto, poiché la conta avviene prima che gli omicidi terminino.

Un sondaggio KOPKAMTIB (Komando Operasi Pemulihan Keamanan dan Ketertiban) effettuato nel 1966, arriva ad una stima che rasenta il milione di decessi, ma anche qui i dubbi sulla attendibilità sono alti: il sondaggio avviene in un periodo tra forti spinte politiche che operano sia nel coprire i fatti che nell’enfatizzarli – fino alla fine degli anni ’90 e alla fine del regime di Suharto, non vi sarà mai alcuna volontà politica o interesse a portare alla luce le fosse comuni – inoltre viene effettuata sulla stima della conta dei resti, operazione totalmente inattendibile visto che moltissimi corpi non verranno mai ritrovati perché bruciati, seppelliti, fatti a pezzi, gettati in pozzi, fossati, laghi, canali di irrigazione e fiumi, oppure velocemente decomposti per via del clima caldo-umido indonesiano e quindi dispersi per sempre[44].

Oltre alle persone uccise, restano in campi di concentramento tra le 600’000 e le 750’000 persone per periodi compresi tra uno e trenta anni, spesso soggetti a stupri e torture: molti uomini e donne moriranno durante la detenzione. A chi viene scarcerato viene impedito di svolgere la professione di insegnante, avvocato, giornalista, dipendente pubblico e militare[45].

Washington e Londra sapevano

Ottobre 1995: Suharto e Bill Clinton[46]

Per spiegare gli eventi nel tempo si è fatto ricorso a diverse teorie: secondo alcuni la matrice del golpe è del PKI, che lo attua nel tentativo di instaurare un governo comunista, fallito grazie alla risposta dell’esercito e alle successive purghe comuniste. Per alcuni altri è stata una messa in scena di Suharto, un colpo organizzato con lo scopo di eliminare Sukarno e il PKI. Una terza teoria è legata alla Guerra Fredda e spiega la caduta di Sukarno come orchestrata dagli USA, così da destituire il leader di una nascente potenza che si stava progressivamente avvicinando a Mosca e Pechino.

Jess Melvin, ricercatore del Dipartimento di Storia dell’Università di Sydney, smentisce la versione che il Governo Suharto ha fornito sugli eccidi, secondo cui la responsabilità ricadrebbe su movimenti spontanei guidati dal popolo inferocito contro il PKI per l’uccisione dei generali. Secondo molti documenti militari, cui il professore ottiene l’accesso nel 2010, traspare un’altra verità: l’esercito pianificava meticolosamente da almeno un anno il golpe con il reclutamento di milizie civili[47]. Questo perché nella leadership militare già da tempo montava la preoccupazione per le attività di indebolimento dell’esercito attuate da Sukarno, soprattutto dopo le sue dichiarazioni di voler sostenere la volontà del PKI di istituire una “Quinta Forza”, ovvero una compagine militare controllata dal partito[48].

Questi documenti dimostrano inoltre che gli Stati Uniti ed il Regno Unito erano perfettamente al corrente del piano di ribellione attuato dal Movimento 30 settembre[49]. La tesi del coinvolgimento attivo degli Stati Uniti viene confermata quando, nel 2017, altri documenti vengono declassificati e pubblicati dal National Security Archive[50]: sono documenti dell’ambasciata degli Stati Uniti a Jakarta che descrivono le attività di quel periodo e che dimostrano la piena consapevolezza dei diplomatici e delle loro controparti a Washington dell’attuazione dei massacri.

Human Rights Watch afferma che “questi documenti chiariscono che i funzionari statunitensi avevano una conoscenza dettagliata delle uccisioni di massa in Indonesia nel 1965-66”. E ammonisce: “Il governo degli Stati Uniti ora deve rilasciare i documenti rimanenti, non solo per la documentazione storica di una delle peggiori atrocità del XX secolo, ma come passo atteso da tempo verso il risarcimento delle vittime”[51]. Il professor Geoffrey Robinson, il cui libro “The Killing Season: A History of the Indonesian Massacres, 1965-66″[52] è considerato il miglior lavoro mai pubblicato sull’argomento, sostiene che, in base ai documenti rinvenuti negli archivi statunitensi e britannici, appare evidente la piena consapevolezza di entrambi i paesi del massacro e del loro incoraggiamento l’eliminazione del Partito Comunista, sostenendo la dittatura militare del generale Suharto, rimasto al potere fino al 1998. Un sostegno che non si limita nella fornitura di aiuti militari, ma si esplicita anche nell’intensificazione delle relazioni economiche[53].

6 dicembre 1975: Suharto con il presidente degli Stati Uniti Gerald Ford e il segretario di Stato Henry Kissinger un giorno prima dell’invasione di Timor Est[54]

Anche il Ministero degli Esteri israeliano apre i propri archivi: dai documenti si evincono trattative per la fornitura di armi israeliane all’esercito indonesiano già nel 1957 – armi leggere e bombe a mano, vendute con il consenso dei Paesi Bassi[55]. In un telegramma datato 15 aprile 1958, Shmuel Bendor, rappresentante di Israele in Cecoslovacchia, riferisce di un incontro con l’ambasciatore indonesiano a Praga, il quale si lamenta con lui delle affermazioni degli Stati Uniti: “Dicono che l’Indonesia si stia dirigendo verso il comunismo. Questa è follia. L’Indonesia non vuole appartenere a nessun blocco internazionale, perché non crediamo che il mondo sia diviso in due parti”. L’affermazione è particolarmente interessante, poiché pone l’accento sulla visione dell’epoca degli Stati Uniti, che divide l’intero globo in comunisti ed anticomunisti – una visione, chiamata “dottrina Truman” che, volendo impedire l’espansione sovietica, porta gli USA al compimento, per oltre mezzo secolo, di innumerevoli ingerenze nei confronti di governi stranieri[56].

Pochi mesi più tardi Israele decide di interrompere le trattative di fornitura bellica, principalmente per tre ragioni: il rifiuto dell’Indonesia (paese islamico) di stabilire relazioni diplomatiche formali con Israele, l’impossibilità che le trattative rimangano segrete e la concreta possibilità che la fornitura metta in serio pericolo le relazioni di Israele con gli altri stati della regione[57].

Un genocidio ancora impunito

Nursyahbani Katjasungkana, coordinatrice del Tribunale Internazionale del Popolo, tiene il suo discorso di apertura alla Nieuwe Kerk all’Aia[58]

È insopportabile il totale disinteresse attorno alle uccisioni di massa perpetrate in quegli anni. Nemmeno il film “The Act of Killing” (che mostra con lucida crudezza i terribili crimini contro l’umanità commessi dal 1° ottobre 1965 in poi) o il toccante film “The Look Of Silence”[59] (nel quale lo sguardo impunito degli assassini si mescola con gli occhi dei parenti delle vittime, alla ricerca di una verità che possa in qualche modo dare un senso alle loro azioni), malgrado siano stati accompagnati da un forte rumore mediatico, sono riusciti a scuotere le coscienze nella comunità internazionale. Durante i dieci anni trascorsi dalla fine del regime di Suharto affiorano alcune iniziative a livello statale per affrontare le violazioni dei diritti umani: alla Commissione Nazionale per i diritti umani viene conferito il mandato di indagare sulla detenzione e il trattamento disumano dei prigionieri inviati a Buru Island[60], ma è un’indagine molto ristretta e ai commissari viene concesso un tempo molto breve per completare la loro ricerca: le loro conclusioni non avranno alcun seguito[61].

Nel dicembre 1999, due mesi dopo la sua elezione, il presidente Abdurrahman Wahid, durante le riunioni degli “esuli del 1965” presso le ambasciate indonesiane all’Aia e a Parigi, si scusa pubblicamente per le uccisioni, ma alle scuse non ci sarà alcun seguito[62]. Nel 2004, il parlamento approva una legge che consente la formazione di una Commissione Verità e Riconciliazione (TRC): la commissione viene abbandonata nel 2006 dopo che la Corte Costituzionale dichiara incostituzionale la legge sulla TRC[63].

Dal 2008 la Commissione per i diritti umani indonesiana cerca di avviare nuove indagini raccogliendo prove e testimonianze, ma viene regolarmente fermata da intimidazioni e violenze che rendono impossibile lo svolgimento del suo lavoro[64]. Il 18 marzo 2014 viene creato un organismo composto dagli esuli indonesiani nei Paesi Bassi e in Germania e da ricercatori internazionali e viene istituito, attraverso la Fondazione “The International People’s Tribunal”, un tribunale che si occupa dei crimini del 1965: questo organismo non riceve alcuna legittimazione dal governo indonesiano ed ha quindi solo il ruolo di un tribunale per i diritti umani, ha solo potere di ammonire ma nessun potere di imposizione.

Il tribunale si avvale di decine di ricercatori e testimonianze dirette, raccoglie prove e documenti. Il governo indonesiano viene invitato alle udienze, che si svolgono presso la Nieuwe Kerk, all’Aia, dal 10 al 13 novembre 2015, ma rifiuta di presenziare e di presentare osservazioni. Una squadra di pubblici ministeri, guidata dall’avvocato Todung Mulya Lubis, compila un elenco di nove capi d’accusa contro il regime di Sukarno per crimini contro l’umanità. Il 20 luglio 2016, il giudice capo Zak Yacoob giunge al verdetto: lo stato dell’Indonesia è colpevole di uccisioni di massa, genocidio, tortura, scomparsa forzata e violenza sessuale, e tutti i crimini sono stati commessi sotto la piena responsabilità dello Stato[65].

Un capitolo interessante si apre sulla complicità di altri Stati: secondo la sentenza, “gli apparati diplomatici e propagandistici di Stati Uniti, Gran Bretagna e Australia hanno contribuito attivamente alla falsa propaganda anticomunista con lo scopo di manipolare l’opinione a favore dell’esercito indonesiano (e contro il presidente Sukarno), nella piena consapevolezza che l’esercito si stava preparando a “eseguire o incoraggiare” tali uccisioni su vasta scala”[66]. “Gli Stati Uniti hanno inoltre fornito aiuti materiali all’esercito indonesiano in almeno due casi specifici nella piena consapevolezza che questi avrebbero aiutato questi atti: (a) la fornitura di armi leggere e attrezzature per le comunicazioni; e (b) la fornitura di un elenco di noti comunisti; e la Gran Bretagna ha allentato la pressione sull’esercito indonesiano nella guerra non dichiarata in corso al confine tra l’Indonesia e il territorio del Borneo, ancora una volta per consentire all’esercito di proseguire la sua epurazione anticomunista”[67].

Ottobre 1965: le truppe indonesiane preparano la fucilazione di cittadini rastrellati per le strade di Jakarta[68]

Le conclusioni del Tribunale sono lapidarie: “Gli Stati Uniti hanno dato un sostegno sufficiente all’esercito indonesiano, ben sapendo che si erano imbarcati in un programma di uccisioni di massa, perché la nostra accusa di complicità sia giustificata. Le operazioni di propaganda britanniche e australiane, già esistenti, facevano parte di quella guerra non dichiarata. Entrambi i governi condividevano l’obiettivo, prefissato dagli Stati Uniti, di cercare di ottenere il rovesciamento del presidente Sukarno”[69].

Il tribunale raccomanda allo Stato indonesiano di chiedere scusa a tutte le vittime, i sopravvissuti e le loro famiglie per i fatti di cui si è reso responsabile, di indagare e perseguire tutti i crimini contro l’umanità e di garantire alle vittime e ai superstiti indennizzi e risarcimenti adeguati. Ad oggi nessuna di queste raccomandazioni è stata positivamente raccolta[70]. Soltanto recentemente, nel gennaio del 2023, Il presidente indonesiano Joko Widodo ha espresso pubblicamente rammarico per le “gravi violazioni dei diritti umani” avvenute nel suo paese, ma i gruppi per i diritti umani considerano il rammarico di Widodo insufficiente: ciò che ancora manca è un vero processo giudiziario dei crimini e dei loro autori[71].

L’impunità per i crimini dl 1965 ha conseguenze ancora oggi: gli assassini di allora camminano liberi ed occupano, indisturbati, posizioni di potere, mentre le vittime e le loro famiglie sono costrette ad affrontare lo stigma permanente, l’emarginazione e la privazione economica, immersi nella frustrante impotenza di non poter ottenere giustizia. L’impunità è un cancro sociale che colpisce nel profondo la società indonesiana, uno Stato in cui i diritti umani faticano a guadagnare il rispetto dovuto. Sono state ripristinate le leggi che limitano fortemente la libertà di espressione, di riunione pacifica e di associazione, che violano la privacy e i diritti sessuali e riproduttivi e discrimina le donne, le persone Lgbt e le minoranze: i rapporti extramatrimoniali vengono condannati penalmente e trattati con la fustigazione. L’uso eccessivo dell’arresto e della violenza con torture ed uccisioni è la norma, anche nei confronti dei giornalisti[72].

Tutto ciò non è moralmente accettabile ed è pragmaticamente sbagliato: l’Indonesia, un Paese che conta oltre 280 milioni di abitanti divisi in circa 400 gruppi etnici e che parlano 742 differenti lingue e dialetti, è un mercato grande quasi quanto l’Europa che ha bisogno di aiuto, ma che ha una forza economica, militare e tecnologica crescente – la sua influenza sull’Estremo Oriente è oramai superiore a quella giapponese: la classe politica ha un atroce passato con cui non riesce a fare i conti, ma l’occidente ha le sue gravi responsabilità. Aiuterebbe se il mea culpa iniziasse proprio a Londra e a Washington. Purtroppo i segnali non sono incoraggianti, visto che, mezzo secolo dopo l’orrore, il politico americano che gira per l’Asia è sempre lo stesso: Henry Kissinger.

 

 

 

 

 

 

[1] https://www.mymovies.it/film/2012/theactofkilling/
[2] https://www.wowshack.com/20-photos-of-president-soekarno/
[3] https://www.jstor.org/stable/3351273
[4] https://scholarworks.uvm.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=2394&context=graddis Thomas Joseph Butcher: “Developing Identity: Exploring The History Of Indonesian Nationalism” – University of Vermont (2021)
[5] https://scholarworks.uvm.edu/cgi/viewcontent.cgi?article=2394&context=graddis Thomas Joseph Butcher: “Developing Identity: Exploring The History Of Indonesian Nationalism” – University of Vermont (2021)
[6] https://academic-accelerator.com/encyclopedia/proclamation-of-indonesian-independence
[7] https://www.britannica.com/topic/Pancasila
[8] https://www.tandfonline.com/doi/abs/10.1080/03062849108729769?journalCode=cimw19
[9] https://www.lifegate.it/storia-genocidio-indonesia-suharto-1965
[10] https://academic-accelerator.com/encyclopedia/proclamation-of-indonesian-independence
[11] https://www.cia.gov/static/f3d10e5db051e88bb353fdce70870abe/Transitioning-into-CIA.pdf
[12] https://www.cia.gov/static/f3d10e5db051e88bb353fdce70870abe/Transitioning-into-CIA.pdf
[13] https://news.detik.com/x/detail/intermeso/20171005/James-Bond-Indonesia-Dilatih-CIA-dan-Mossad/
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[71] https://www.aljazeera.com/news/2023/1/11/indonesia-president-says-strongly-regrets-past-rights-abuses
[72] https://www.amnesty.org/en/location/asia-and-the-pacific/south-east-asia-and-the-pacific/indonesia/report-indonesia/

TAG: #Suharto, #Sukarno, genocidio, Indonesia
CAT: diritti umani, Geopolitica

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