Su Schengen più che Aylan l’Europa sceglie Assad

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26 Gennaio 2016

Schengen è salvo, anzi no. Forse sta un po’ male. E tutti noi ci sentiamo un tantino confusi. La verità è semplice: i ministri degli Interni hanno scelto la navigazione a vista, l’unica di cui è in grado l’Europa che conosciamo. La soluzione temporanea servirà a capire come orientarsi di fronte al fenomeno dei flussi migratori, nella cinica e utopica illusione che tutto possa risolversi da sé. Ma è lampante che nessuno creda a una tale evoluzione. Perché, giusto come promemoria, in Siria la guerra sta continuando a infuriare (con il regime che piano piano avanza supportato dalle bombe russe), in Libia il governo di unità nazionale è un edificio privo di fondamenta (non a caso il premier Sarray non ha ottenuto la fiducia) e in Tunisia monta il malcontento per la debolezza politica, smontando anche il mito “dell’unico Paese in cui la Rivoluzione araba era riuscita”.

E allora? Come si direbbe nel lessico calcistico “è stata lanciata la palla in tribuna”, giusto per recuperare un po’ di fiato. Su Schengen, che è il simbolo della libera circolazione dei cittadini, si prende tempo: si lasciano affogare migliaia di persone addebitando le colpe a seconda delle convenienze. Alla Grecia, in testa. Poi magari toccherà all’Italia o forse alla Spagna. Chissà. Un responsabile ci sarà sempre per i paesi centro e nord europei, che intanto blindano le frontiere immaginando che la soluzione dinanzi a migrazioni epocali sia quello di puntellare le porte di casa. Nella sostanza è lo stesso film andato in onda sulla crisi economica: c’è chi sale in cattedra a dare lezioni e chi “deve fare i compiti”. L’Unione europea si conferma così un’accozzaglia di egoismi. E viene assestato un altro montante nel volto di chi pensava che fosse davvero possibile un’unione.

E poi c’è un altro aspetto da menzionare. La terribile foto del corpicino di Aylan Kurdi, ipotizzata come strumento di sensibilizzazione, non ha sortito alcune effetto. Perché, come si poteva immaginare, lo shock passa e le questioni complesse, come i flussi migratori, si risolvono con la politica ragionata. Non certo con l’istinto delle emozioni. Tant’è che a distanza di pochi mesi l’Unione europea affronta il Trattato di Schengen sulla base degli interessi nazionali, del calcolo politico-elettorale. Con tanti saluti alle lacrime pubbliche.

E all’immagine di Aylan, simbolo dell’importanza di una politica di accoglienza, in Europa quasi si preferisce quella di Bashar Assad, il presidente siriano emblema di un modello che affida a un dittatore la soluzione di un problema. Anche al costo di fingere di non sapere in che modo. Certo, nessun leader occidentale lo ammetterà pubblicamente, ma del resto “se tornasse lui”, il presidente, alla fine potrebbe mettere un po’ di ordine in Siria, no? O forse più che Assad, ormai non più spendibile sul piano internazionale, un suo emulo in termini di politiche antidemocratiche. L’importante è che possa rendere le frontiere europee più sicure…

TAG: aylan kurdi, Guerra in Siria, migranti, Schengen
CAT: diritti umani, immigrazione

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