Per favore, su Regeni meno retroscena fantasiosi e più fatti reali

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17 Febbraio 2016

Sono giorni di gossip intenso sulla morte di Giulio Regeni. Spia, agente dell’intelligence, amico degli oppositori egiziani, vittima dei servizi deviati anti al-Sisi e altro ancora in una rincorsa all’ipotesi diversa da quella delle ore precedenti. L’unica verità è che il ragazzo di 28 anni è stato ucciso in seguito a delle torture. E un altro incontrovertibile fatto è che al momeno nessuno sa dare altre notizie ufficiali. Certo, forse c’è chi conosce davvero come sono andate le cose. E il compito principale è di individuare queste persone.

Ma il rumore di ipotesi finisce per rendere sempre più difficile l’avvicinamento alla realtà. Il retroscenismo è meglio lasciarlo da parte. In questo caso di cronaca, molto complesso anche per le sfaccettature geopolitiche, è opportuno -in particolare per noi giornalisti – attenersi alle notizie confermate. Anche se sono noiose e poco vendibili. Se qualche bravo reporter investigatore svelerà che Giulio Regeni era una spia, saremo tutti sollevati. Perché avremo una certezza in più. Tuttavia, questa tesi deve essere sostenuta da documenti credibili. Senza citare ignote “fonti locali”.

Il gioco al rimpiattino dei “si dice”, “pare”, “qualcuno racconta” è davvero doloroso, straziante, e non rende onore alla memoria del 28enne ricercatiore, né tantomeno fornisce un quadro informativo apprezzabile. Così anche la famiglia ha dovuto mettere nero su bianca la giusta ira.

Provare ad avvalorare l’ipotesi che Giulio Regeni fosse un uomo al servizio dell’intelligence  significa offendere la memoria di un giovane universitario che aveva fatto della ricerca sul campo una legittima ambizione di studio e di vita.

E che dire poi dei dettagli sulle torture? In alcuni casi c’è stata un’attenzione morbosa nel racconto di cosa ha dovuto subire il giovane morto in Egitto (preferisco soprassedere su certi titoli che ho visto online). Davvero non ci basta sapere che è stato torturato? C’è realmente chi ritiene importante sviscereare i particolari? E per quale ragione potrebbe essere importante se non per ottenere una manciata di clic (che non cambieranno il bilancio di alcun giornale online)? Sono domande retoriche, certo, ma che prima di pubblicare un articolo su Regeni sarebbe il caso di porsi.

Tutto questo non significa lasciare nell’oblio la morte del giovane ricercatore. Tutt’altro. Bisogna spingere alla conoscenza dei fatti, raccontando gli angoli bui dell’Egitto della presidenza al-Sisi e di chi sono i suoi oppositori. Per mesi gran parte della stampa ha fatto finta di non vedere e non sapere. Anche perché il governo italiano ha sempre ostentato grande amicizia verso il generale salito al potere dopo il colpo di Stato che ha abbattuto rovesciato il presidente Morsi, espressione dei Fratelli Musulmani. Beninteso, nessuno vuole attribuire responsabilità a Palazzo Chigi: la morte di Regeni è un evento che non può essere messo sul conto politico. Ma l’esecutivo di Roma non può sottrarsi a un dovere: esercitare pressione sul Cairo per avvicinarsi alla realtà, rifuggendo dalle versioni di comodo. Anche al prezzo di irritare “l’amico al-Sisi”.

TAG: Al Sisi, egitto, Giulio Regeni, Matteo Renzi
CAT: diritti umani, Nordafrica

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