Gobineau, il razzismo e i riot dei neri americani

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10 Luglio 2016

Joseph Arthur de Gobineau fu un diplomatico e saggista francese (1816-1882). Gli capitò di morire alla stazione di Torino e perciò è sepolto in questa città. Fu anche romanziere a perdere e poeta improbabile. Però se siete stati ragazzini negli anni ’60 avrete visto sicuramente qualche film su “Scaramouche”, il personaggio inventato o meglio ripreso dalla commedia dell’arte italiana (Scaramuccia) da Gobineau e interpretato in qualche pellicola di successo da Stewart Granger.

Di solito Gobineau è ricordato esclusivamente come  l’autore del librone  Essai sur l’inégalité des races humaines (“Saggio sull’ineguaglianza delle razze umane”) che egli stesso narra di aver scritto durante le lunghe ore di désoeuvrement, di ozio, nel corso delle ore vuote della sua lunghissima carriera diplomatica.  A tale libro “infernale” molti, che non l’hanno neanche sfogliato, attribuiscono la genesi di tutti i razzismi succedutisi alla sua morte, compreso quello “biologiste” dei tedeschi nazisti o quello di Houston Stewart Chamberlain. Non è così.

Anni fa quando frequentavo assiduamente il Circolo francese in via Bigli di Milano ho consultato  il suo saggio, che è nella collezione della Pléiade, volume primo dei tre a lui dedicati – si tratta della prestigiosa collana della Gallimard che pubblica classici in carta bibbia a cui si sono ispirati i nostri Meridiani  non certo una edizione clandestina come quella di un “Mein Kampf” prima che “Il Giornale” avesse l’alzata di ingegno di allegarlo alle sue copie-,  e devo dire che non sono riuscito a leggerlo in maniera consecutiva, perché ha ecceduto le mie forze intellettuali. Posso solo aggiungere  di aver letto le parti essenziali, quelle incriminate o incriminabili sui neri e sugli ebrei (del tutto innocenti, sugli ebrei scrive: un popolo abile in tutto ciò che intraprende, un popolo libero, un popolo forte, un popolo intelligente che, prima di perdere con valore, le armi in pugno, il titolo di nazione indipendente, aveva dato al mondo sia molti intellettuali che molti mercanti ) e di aver proseguito tra molti sbadigli la lettura in “diagonale” fino all’epilogo. Mi sono invece soffermato molto sul  saggio introduttivo e sulle note bibliografiche, dove è scritto chiaro e tondo dal curatore,  con allegazione di documenti e di abbondante bibliografia, che la pretesa superiorità biologica della razza bianca, che gli viene attribuita universalmente, egli non l’ha mai né pronunciata, né argomentata, ma che è stata una attribuzione retrospettiva dei suoi traduttori nazisti, essi sì i veri propugnatori del razzismo biologico, che stricto sensu è ancora il vero razzismo in circolazione.

Gobineau, che fu amico intimo del liberale Tocqueville (di cui era un protegé e a cui deve la carriera diplomatica e con cui si scrisse tutta la vita –  e deve essere ben strano che il fondatore del liberalismo democratico si accompagnasse a un razzista così vilipeso dai suoi non lettori postumi) in tutto il suo testo incriminato si muove sul concetto di “race” certamente ma sulla scia di una tradizione che risale agli illuministi di seconda ondata ossia gli idéologues e soprattutto  Cabanis, ossia sulla dialettica tra physique e moral,  che si raccordava a sua volta al positivismo avant la lettre di Montesquieu dello Spirito delle leggi.  In buona sostanza il “racisme” di Gobineau altro non è che una prosecuzione del racisme di Montesquieu, ossia quella tendenza di legare i caratteri morali dei soggetti alla loro natura fisica. Per esempio Montesquieu attribuiva ai climi caldi la pigrizia, i quali climi secondo lui, lacerando le fibre, allentano i caratteri predisponendo appunto alla mollezza, alla  paresse. E se così fosse non si è capito come gli Arabi o i Turchi, che nei climi caldi vivevano,  fossero giunti tra un sonnicello e l’altro a Saragozza da un lato e a Vienna dall’altro.

In questa prospettiva “raciste” Gobineau la pensava esattamente come Flaubert.

Ah  la razza, come ci credo! Ma non ci sono più razze! Il sangue aristocratico è consunto: i suoi ultimi globuli, senza dubbio, si sono coagulatati in qualche anima. Se nulla cambia (cosa molto possibile), prima di mezzo secolo forse l’Europa languirà nelle tenebre e quelle  epoche buie della storia, dove nulla ha luce, torneranno. Allora alcuni, i più puri, conserveranno tra loro, al riparo del vento, l’imperitura candela, il fuoco sacro, ove tutte le illuminazioni ed esplosioni attingeranno la fiamma per l’innesco.

Così scrive in una lettera del 1853 (lo stesso anno dell’uscita del saggio di Gobineau)  a Louise Colet l’autore di “Madame Bovary”, che certamente avrete torto a definire razzista come un nazista, ma “raciste” come un positivista non sbaglierete; in molte lettere parla tranquillamente di “race” perché era di prammatica parlarne alla sua epoca nei termini in cui ne parlavano  Renan e Taine o per intenderci anche il nostro De Roberto dei “Vicerè”, il quale crede alla “razza” come un intellettuale positivista siciliano del secondo Ottocento o come un popolano catanese di oggi quando mi apostrofa  con malanimo “sì bbestia tu  e tutta a to’ razza”, intendendo con razza, stirpe, filiera genitale, successione genetica. Pertanto nel monaco Blasco è facile vedere le convulsioni del sangue nobile e l’imbastardirsi della “razza” nobiliare degli Uzeda corrotta nel sangue proprio nei termini in cui ne parlava Flaubert più in alto.

Non troverete nel testo di Gobineau propositi di sterminio verso gli ebrei e i negri  (fino agli ’60 anche nei testi dell’estrema sinistra operaista come nelle canzoni di Fausto Leali si usava questa dicitura). Il testo di Gobineau è una riflessione sulla decadenza dello spirito di cavalleria, sul tramonto della feudalità, sul declino della Tradizione. Tendenza egualitaria, democrazia, degenerazione, decadenza sono sinonimi in Gobineau.  Insomma siamo davanti a una sorta di “tramonto dell’occidente” se non nei termini di Spengler in quelli in cui ne parlava Flaubert nella lettera citata, ossia poggiante su riflessioni relative alle “races” certamente e ai loro incroci come ai loro illanguidimenti dovuti al  mélange.

Certo nel testo celebre di Gobineau la “race” bianca è posta in stato di superiorità rispetto alla gialla e alla nera e nella sua visione i bianchi hanno una funzione rigeneratrice delle altre “races” anche attraverso il colonialismo (così è: Gobineau era un diplomatico di una potenza coloniale non un frate cappuccino), ma alla distanza, secondo lui, la razza bianca è destinata ad annientarsi per via del meticciato a cui essa stessa ha posto avvio. Gobineau non perorava il meticciato di civiltà come il cardinale di Milano Scola ma  non era Mengele: il suo ragionamento, ribadisco,  poggia tutto sulle interazioni tra “physique” e “moral” (vi invito perciò ad aprire il testo originale  che vi allego in basso e digitare nel “cerca” “physique”, vedrete che subito dopo, a volte nello stesso rigo, apparirà “moral”). Occorre infine aggiungere che  per il lato fisico (in cui è racchiusa non solo la “race”, ma anche il “milieu”, il clima ecc.) le sue osservazioni sono perlopiù delle sonore sciocchezze come quelle bizzarrie positiviste rubricate da Gramsci nella categoria del “lorianesimo”, non so, il fatto “fisico” che i montanari, moralmente più puri, sono fisicamente più robusti e per via dell’altitudine tendono a  triplicare le consonanti, mentre la gente di pianura (guai se poi sta al livello del mare come i veneziani) invece, oltre che moralmente depravata, è anche fisicamente degenerata e “scempia” le consonanti,  e amenità di questo tipo. Quando le deduzioni non sono di tipo fisico (siamo nel secolo in cui Lombroso misurava i crani) si leggeranno facezie  di questo tipo: “I bianchi sono il popolo del giorno,  i neri quello della notte, i gialli quello del mattino o dell’alba  d’oriente, i rossi quelli del crepuscolo dell’occidente. ” !!!

Ora aggiungerei una annotazione finale. A proposito del “se croiser” o meno delle “races”. Orbene, i bianchi cattolici,  francesi, spagnoli, portoghesi, non hanno avuto, tradizionalmente, ritegno a incrociarsi con i neri, dando luogo ai mulatti brasiliani o ai creoli francesi delle Antille (Alexandre Dumas era fiero delle sue origini creole, di meticcio con sangue  nero)  mentre, invece,  i bianchi protestanti come gli Americani o i Sudafricani (perlopiù Boeri) o gli australiani hanno preferito di no. Ancora oggi negli USA, al di là della mitologia del melting pot,  dei Mandingo o dei filmini porno, i bianchi non si incrociano con i neri, anzi vivono in regime di segregazione, coesistono più che convivono sullo stesso territorio, e se le danno ancora di  santa ragione nei “riot” che periodicamente sconvolgono il tessuto civile americano.  Negli  anni ’60, come oggi,  le rivolte dei neri furono all’ordine del giorno: a Watts, un sobborgo di Los Angeles, nell’estate del 1965 ci furono 30 morti, mille feriti e 4 mila arresti.

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Joseph Arthur de Gobineau , Essai sur l’inégalité des races humaines (1853-1855)

 

TAG: black riot, Dumas, Gobineau, meticciato, Tocqueville
CAT: discriminazioni

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