Esperimenti di viralità positiva con gli adolescenti di Astrolabio e Cassiopea

:
20 Settembre 2018

Come comunichiamo online e nella vita quotidiana? Da dove nasce l’aggressività sui social network e nelle chat? Siamo vittime, protagonisti o indifferenti a tutto questo? Cosa possiamo fare per prevenire o affrontare questo fenomeno? Queste alcune delle domande e delle premesse che hanno dato vita al progetto #LoveSpeech grazie a una rete di realtà che operano in diversi contesti sociali di Milano.

Le stesse domande e provocazioni le abbiamo poste a diversi giovani di Milano, entrando nelle scuole, nelle università e nei centri educativi, ponendoci come obiettivo quello di realizzare come sintesi o come incipit del percorso prodotti multimediali differenti in base alla creatività e all’intuito dei ragazzi coinvolti. Ogni luogo e ogni gruppo ha portato con sé difficoltà e competenze, visioni e motivazioni differenti.

Il gruppo che ho seguito come tutor e nel quale lavoro all’interno della cooperativa sociale Comin, è un gruppo particolare perché coinvolge due progetti ed è composto da adolescenti di diversa provenienza. Cassiopea è il nome del progetto che si occupa di accompagnare minori stranieri nel processo di ricongiungimento familiare con le famiglie di origine mentre Astrolabio è un centro diurno. In tutto si tratta di una ventina di ragazzi e ragazze di età compresa tra i 13 e i 20 anni i cui genitori hanno origini sudamericane, italiane, nord africane, cingalesi e cinesi. Il laboratorio di #LoveSpeech si è svolto all’interno di uno dei pomeriggi previsti dal servizio per i ragazzi.

Mantenere l’attenzione durante i laboratori per molti è faticoso, il loro sguardo si sposta rapidamente da noi, al compagno di banco allo schermo del telefonino, altre volte ancora la testa finisce direttamente sul tavolo. Cerchiamo di dare un nome a questi atteggiamenti che possono essere segnali di fuga, di evasione, di difficoltà a esprimere la propria opinione o timidezza e paura del giudizio.

“Ma perché dobbiamo fare questo laboratorio che tanto non cambia nulla?” esordisce così Omar, sollecitato a partecipare alla discussione. La sfida è proprio questa, entrare dentro un fenomeno che ci riguarda tutti, i discorsi d’odio in rete, e provare a “fare qualcosa”, ad attrezzarsi, provare a dirci come ci fa stare questo e condividere esperienze vissute.

Le parole possono ferire ma possono anche curare e di questo ne facciamo esperienza quando proponiamo al gruppo di descrivere con 3 hashtag il compagno che hanno accanto. Questa attività genera un clima piacevole, di attenzione e di interesse reciproco. Ognuno cerca di donare all’altro qualcosa di bello nella curiosa attesa di scoprire quale parola riceverà in cambio. Il giudizio dell’altro fa paura, si teme di non essere accettati e riconosciuti mentre i like e l’approvazione ci rendono più sicuri di noi stessi. Si parla di “narcisismo digitale” (Keen, 2007) con riferimento al culto della personalità e alla ricerca del consenso al bisogno di piacere agli altri vs paura di restare soli.

La condivisone da parte dei ragazzi di esperienze di hate speech fa emergere racconti di episodi che parlano di poca accettazione da parte dei pari verso chi ha modi differenti di comportarsi o di vestirsi o verso chi ha altri orientamenti sessuali. Alcune volte fenomeni di hate speech hanno origine sui social e poi sfociano nel quotidiano, oppure nascono da relazioni che poi si esasperano sui social o nelle chat. Parole aggressive e insulti in chat sono spesso l’esito di dinamiche che riguardano fatti e contrasti avvenuti nel gruppo di amici o nella scuola, o all’interno di relazioni strette per motivi di gelosia, per come si appare, ad esempio per chi si mostra senza veli o con troppi veli. I ragazzi ci raccontano che l’esito di questi episodi può essere l’isolamento, l’esclusione, l’indifferenza e nei casi più gravi la necessità di cambiare scuola.

Ci interroghiamo su come mai si tenda ad agire sulla rete in modo diverso dal reale e dal faccia a faccia, e su come sia facile attaccare da dietro uno schermo. Questo fenomeno viene definito disinibizione sociale ed è dovuto dal fatto che ci mancano quegli elementi del corpo e del viso che ci permettono di calibrare la risposta successiva. Ad esempio un messaggio aggressivo dettato da fretta e dall’impulso, o un’offesa, sarebbe comunicato in maniera differente guardando negli occhi la persona a cui è indirizzato.

Negli incontri successivi si lavora con il corpo sperimentando diverse possibilità di comunicazione, si approfondisce la relazione tra hate speech e le differenze legate alla provenienza geografica e religiosa e di come certi concetti stereotipati vengano veicolati attraverso la rete, i giornali e la tv. La rete può diventare anche uno strumento di love speech, ovvero di contrasto all’odio. Aya Mohamed, una giovane blogger italo-egiziana, ci presenta il suo blog grazie al quale condivide la sua cultura e la sua esperienza di “ragazza velata” dando consigli di moda ad altre ragazze e scrivendo post dal valore politico.

Conclusa la prima parte del percorso si passa alla parte pratica in cui ai ragazzi è richiesto di dare forma alle riflessioni fatte fino a qui scegliendo un linguaggio, un tema, un messaggio comunicativo che abbia la funzione di raccontare e contrastare l’hate speech. Ognuno prova a rispondere alla domanda stimolo “quando e perché siamo odiati?”. Alcuni dei motivi che emergono sono: per come mi vesto, perché parlo male l’italiano, mangio troppo rumorosamente, perché mi comporto in modo diverso, per il mio orientamento sessuale. La domanda successiva è quale linguaggio utilizzare per raccontare questo? Tra varie idee tra cui fumetti, coreografie, video, ripresa di una conversazione in chat, l’immagine fotografica sembra essere vincente perché permette di raccontare diverse scene in modo efficace e semplice. Per creare connessione tra il reale e virtuale si è scelto di utilizzare le emoticon per raccontare le emozioni dei ragazzi e delle ragazze all’interno della scena fotografica.

Grazie alla collaborazione tecnica degli studenti del Liceo artistico Caravaggio sono stati realizzati degli scatti che hanno visto come protagonisti i ragazzi di Cassiopea e Astrolabio all’interno del parco della Martesana di Milano. La parte pratica è stata più apprezzata dal gruppo perché in modo concreto e creativo ha permesso loro di entrare nel tema trattato e dargli forma e parola.

Le foto dei ragazzi sono diventate una campagna di sensibilizzazione contro l’hate speech e verrà diffusa nei prossimi giorni sui nostri social Instagram @lovespeechmi e Facebook “LoveSpeech Milano”. La campagna, dal titolo “Sono odiato perché”, racconta alcuni dei motivi per cui si è odiati come ad esempio vestirsi e comportarsi diversamente ed essere omosessuali , invitando a far riflettere sulla reazione emotiva di chi subisce l’odio con lo slogan “dietro lo schermo c’è una persona vera”.

Ilaria Caelli
Psicologa della Comunicazione
B-CAM coop. soc.

Foto credits: Gaia Sirio, Mikaela Aclan, Alexia Bonino, Luis Campanelli
(Liceo Artistico Caravaggio, Milano)

TAG: comunicazione, digital media, effetto disinibizione online, hate speech, haters, love speech, odio, social media
CAT: discriminazioni, Media

Nessun commento

Devi fare per commentare, è semplice e veloce.

CARICAMENTO...