Il made in Italy trasformativo (anche al liceo)
La transizione ambientale, sempre più associata a quella sociale (just transition) e a quella tecnologica (twin transition), si sta sempre più configurando come un fattore trasformativo dell’economia nel suo complesso e non semplicemente come un settore a sé stante (green economy, social economy).
L’accelerazione e la pervasività di questo processo richiede di ripensare la governance di transizioni sistemiche che oggi appare monopolizzata da imprese di grandi dimensioni, società di consulenza globali e tecnocrazie sovranazionali. Questo “combinato disposto” sta generando framework strategici e di missione che per quanto condivisibili nelle finalità presentano livelli di complessità tali da generare costi di adeguamento (compliance) molto elevati. Inoltre questi stessi modelli appaiono a volte funzionali ad alimentare a una narrativa “totalista” dell’impresa rispetto a istanze della politica e alla società civile come dimostra il dibattito sul cosiddetto capitalismo woke. Per non parlare di una sfera pubblica ormai svuotata della sua componente di politica, fatta di orizzonti di senso carichi di intenzionalità e desiderio, che ha di fatto subappaltato tematiche cruciali legate alla sopravvivenza della nostra specie e del pianeta a policy makers per i quali esistono solo “evidenze” e percorsi di engagement procedurali.
I corpi intermedi, o quel che ne rimane, sono quindi chiamati a riconfigurarsi e a rilanciare la propria azione al fine di promuovere e sostenere un approccio autenticamente trasformativo rispetto a questa fase di transizione. Concretamente si tratta di attingere agli elementi culturali e di competenza che scaturiscono dalla biodiversità del tessuto imprenditoriale italiano; elementi incarnati se non dalle rappresentanze formali certamente dai loro sostrati culturali di riferimento che per quanto flebili e contraddittori possono essere rigenerati per contrastare la “monocoltura” del capitalismo neoliberista in tema di sostenibilità ambientale e responsabilità sociale.
Rispetto a questo obiettivo il campo di intervento è il “made in Italy” e il suo ecosistema di supporto e di accompagnamento che non corrisponde solo a eccellenze di prodotti e servizi ma anche a modelli e culture organizzative. Queste ultime, in particolare, quando incorporate nei contesti sociali, storico culturali, paesaggistici e ambientali, stanno già contribuendo, e non da oggi, a una transizione in senso lato sostenibile e cioè inevitabile a fronte delle sempre più evidenti sfide socioambientali; virtuosa negli impatti intenzionalmente perseguiti e, non da ultimo, profittevole in termini di generazione di un valore sempre più condiviso con gli stakeholder.
In estrema sintesi i mutamenti attesi dalla transizione verso un nuovo paradigma di sviluppo richiedono di ristabilire una continuità con quei fattori generativi da cui queste diverse esperienze intraprendenti di “economia e società reale” scaturiscono. Chissà se sarà una delle materie caratterizzanti dei piani di studio previsti nel cosiddetto “liceo made in Italy” e in altri percorsi formativi, come master e business school che sfornano nuove generazioni di manager, imprenditori e consulenti aziendali.
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