Eni Meloni

Energia

Non è Eni che va con Meloni

Eni non è il braccio operativo del Piano Mattei. È la sua precondizione. Il piano esiste perché Eni ha già consolidato la propria presenza in Algeria, Libia, Egitto, Angola, Congo, Tunisia, Albania. Le visite ufficiali di Giorgia Meloni avvengono a valle, non a monte

26 Maggio 2025

C’è una geografia del potere che non si disegna sulle mappe istituzionali. Non coincide con i confini, non segue i passaggi di testimone tra ministri, non teme le urne. È una geografia di infrastrutture invisibili, di snodi strategici, di reti che precedono le narrazioni. In questa geografia, l’Italia non è un soggetto. È un corridoio. E nel disegno del Piano Mattei, tanto evocato quanto sfuggente, il tratto dominante non è tricolore. È energetico.

Il governo lo presenta come un disegno politico, cooperativo, umanitario. Ma i protocolli firmati raccontano altro. Raccontano accordi infrastrutturali, concessioni, contratti pluriennali che hanno come vero motore un nome solo: Eni.

Eni non è il braccio operativo del Piano Mattei. È la sua precondizione. Il piano esiste perché Eni ha già preparato il terreno, ha già firmato le lettere d’intenti, ha già consolidato la propria presenza in Algeria, Libia, Egitto, Angola, Congo, Tunisia, Albania. Le visite ufficiali di Giorgia Meloni avvengono a valle, non a monte. Non sono l’apertura. Sono la ratifica.

Quando Meloni arriva in un Paese africano o balcanico, Eni c’è già stata. Ha negoziato, sondato, concesso, ottenuto. E ciò che si firma davanti alle telecamere è la sceneggiatura politica di un copione energetico già scritto.

Nessuno scandalo, nessuna rivelazione. Solo una constatazione di struttura. L’Italia ha da tempo smesso di avere una politica energetica pubblica. Ha affidato tutto, con garbo, alla solidità di Eni. Un colosso che non è più monopolio per legge, ma monopolista per geografia morale. Perché è l’unica azienda italiana capace di mediare, costruire, firmare, garantire. Non è più il soggetto su cui lo Stato esercita sovranità. È il soggetto che consente allo Stato di apparire sovrano.

Il Piano Mattei è stato presentato come una strategia italiana per l’Africa. Ma se si guarda bene, non è una strategia. È una mappa che Eni conosce da anni. Una mappa che si aggiorna con i flussi del gas, con gli impianti fotovoltaici in Albania, con i cavi sottomarini tra Valona e la Puglia, con l’acquisto di energia da parte dell’unico soggetto realmente affidabile: ancora Eni.

Ecco allora la frase, asciutta, definitiva, senza rabbia ma con chiarezza: non è Eni che va con Meloni. È Meloni che va dove Eni ha già messo piede.

Ed è per questo che oggi il potere non risiede nei ministeri, ma nella capacità di presidiare il sottosuolo. Chi controlla la profondità, controlla la narrazione. Chi costruisce i corridoi, definisce le visite. Chi gestisce i flussi, detta i comunicati.

Questa non è un’accusa. È una descrizione post-ideologica del potere italiano. Una descrizione che non nega il merito di Eni, la sua autorevolezza, la sua lungimiranza. Ma che invita chi governa a non confondere la funzione con il comando. E a non chiamare sovranità ciò che è dipendenza gestita bene.

Perché si può anche fare una politica energetica tutta affidata a un grande attore industriale, peraltro sì quotato in borsa, ma del quale il governo detiene una quota di controllo, nominando i vertici ed incassando i dividendi. Ma bisogna avere l’onestà di dirlo. E la lucidità di non applaudire troppo quando si firmano accordi di cui altri hanno già dettato il preambolo.

 

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