Articolisti, quando scrivere per il web diventa schiavismo

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19 Settembre 2015

Armatevi di pazienza e fate il calcolo di quante parole sono state scritte fino a questo punto. Fatto? Calcolando anche preposizioni e congiunzioni sono diciassette in totale. Bene. Se non stessi scrivendo su Gli Stati Generali ma stessi fornendo un servizio di content writing per un sito internet, fino al punto mi sarebbe stato riconosciuto un compenso tra i cinquanta e i sessanta centesimi. E avrei dovuto ritenermi anche fortunato, perché il calcolo è stato fatto considerando i più alti valori di mercato della fornitura di articoli per siti internet, 2,80 centesimi a parola.

La prassi consolidata, infatti, è un’altra: per un post di 300 parole il compenso medio è tra 1 e 3 euro. Se pensate che stia scherzando, provate a digitare su Google “offerte di lavoro articolista” o andate direttamente su uno dei siti di maggiore afflusso, alverde.net, dove domanda (di gran lunga superiore) e offerta si incontrano nella sezione “Compravendita servizi editoriali (articoli, recensioni e comunicati stampa)”.

Quello citato, non è l’unico sito che fornisce il servizio, in Italia sono almeno cinque, altri forniscono un servizio di product placement: richiesta e offerta vengono mediati dopo essersi iscritti come autori al sito (il più noto è melascrivi.com).

Ora, è vero che scrivere un post di trecento parole non è ovviamente equiparabile a passare otto ore sotto il sole cocente del Tavoliere a raccogliere pomodori (la fatica fisica non è paragonabile), ma si tratta pur sempre di una forma di schiavismo, considerato sia il compenso proposto, sia i requisiti richiesti per scrivere, la creatività, il tempo necessario e le strumentazioni di cui bisogna disporre (un pc e un collegamento a internet).

Per elaborare un testo che comporti almeno la giusta coniugazione del congiuntivo (e di tutte le altre forme verbali), bisogna aver quantomeno completato la scuola superiore. Per conoscere le lingue (offerte ci sono anche in questo senso), una facoltà dove aver studiato inglese, francese o spagnolo bisognerà pure averla frequentata. In altre parole, l’investimento fatto in anni di studi e sacrifici personali e della famiglia che vi ha permesso di studiare, vi può rendere fino a 3 euro. Tanto è il massimo valore attribuito al prodotto del vostro lavoro intellettuale.

Che non abbia ragione, allora, Michael Bloomberg quando pone provocatoriamente la domanda “Vale ancora la pena mandare un proprio figlio al college? O non sarebbe più opportuno indirizzarlo verso il mestiere di idraulico?”, come ha fatto durante la riunione annuale del SiFMA, la Securities Industry and Financial Markets Association, tenutasi a Wall Street?

Bloomberg, il fondatore dell’agenzia di informazioni finanziarie che porta il suo nome, ha spiegato che “la scelta tra proseguire gli studi in un college o avviare un ragazzo a una professione pratica deve essere sempre tenuta in considerazione dalle famiglie. I costi che una famiglia sostiene per mantenere un figlio al college, ha aggiunto, spesso sono inferiori ai ricavi che la conoscenza di un mestiere pratico possono permettere da subito”.

E l’ex sindaco di New York probabilmente non ha mai avuto il tempo di dare un’occhiata alle offerte per “articolista” in Italia. Dove, a fronte del compenso (il più frequente è 1 euro ad articolo) sono richieste competenze, professionalità e originalità. Perché se vi beccano che copiate il testo, o solo una parte dello stesso, da un altro sito, il compenso non verrà riconosciuto.

Chi dovrebbe vigilare su questo mercato degli schiavi 2.0? In alcuni casi dovrebbe (o potrebbe) essere l’Ordine dei giornalisti. Come nel caso di questo annuncio:

“Sito di informazione generalista cerca articolisti per nuovo progetto editoriale. Gli argomenti trattati saranno i seguenti: Gossip e televisione, Tecnologia, Cronaca, Sport. Si chiedono contenuti di almeno 350 parole da inserire nella piattaforma con immagine, secondo le istruzioni che saranno fornite dalla redazione.

Ai candidati si richiedono i seguenti requisiti:

serietà;

conoscenza basilare della lingua italiana;

conoscenza dei rudimenti del web writing;

conoscenza della piattaforma WordPress;

gradita pregressa esperienza in settori simili: saranno valutati anche candidati senza lunga esperienza purchè desiderosi di sfruttare l’occasione per imparare;

costanza nel lavorare quotidianamente.

Il compenso corrisposto è pari a 32,50 euro lordi a pacchetto (50 articoli): prevista ritenuta occasionale.

I più fortunati possono candidarsi a guadagnare 90 euro al mese rispondendo a un altro annuncio, ma dovranno sfornare “90 articoli al mese pagati 1€ per articoli di 400 parole di varia natura”.

Questa forma di economia (ormai neppure più tanto sommersa) viene alla ribalta ogni tanto sui mezzi di informazione (ricordate? molti giornali tempo fa segnalarono sdegnati un’offerta di lavoro dove si proponeva il pagamento di 70 centesimi ad articolo), poi sul fenomeno segue  il silenzio.

Gli schiavi, ai tempi del Job’s Act, forse a molti conviene fare finta di non vederli.

TAG: Articolisti, lavoro intellettuale
CAT: economia sommersa

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