Cazzullo: “Mussolini? era molto peggio dell’idea che abbiamo di lui”

25 Settembre 2022

Aldo Cazzullo, giornalista o scrittore? Le due cose stanno insieme, dichiara lui.
Firma di punta e Vice direttore ad personam del Corriere della Sera, ha dedicato oltre venti libri alla storia e all’identità italiana.
Sulla storia del nostro Paese anche un programma televisivo a puntate, in onda su La7.
Ha raccontato i principali avvenimenti nel mondo degli ultimi 30 anni, dalla politica allo sport, il suo modo di fare giornalismo passa anche attraverso le interviste, numerosissime a personaggi protagonisti della vita pubblica nazionale e internazionale, nel mondo della cultura, dello sport, della musica, dello spettacolo, della politica e dell’economia.
Bastano un paio di mail e accetta subito l’invito, nonostante i numerosi impegni, implementati dal periodo pre elettorale.
Ne nasce una piacevole chiacchierata di oltre 35 minuti dove non manca qualche aneddoto sulle persone da lui intervistate.
Per me è un onore intervistare “l’intervistatore” per eccellenza.

Quando e perchè hai scelto di diventare un giornalista? 

Mi piaceva scrivere e mi piaceva viaggiare, fin da ragazzino, per cui per tutta la vita ho cercato di scrivere e viaggiare. I primi articoli li ho scritti a 17 anni su un giornale che si chiamava il Tanaro, che oggi non esiste più, poi sono passato alla Gazzetta d’Alba, il settimanale diocesano: Alba, la mia città, era una città cattolica. Ho fatto poi la scuola di giornalismo, a 22 anni sono entrato a La Stampa e poi al Corriere della Sera, oramai è veramente molto tempo che lavoro nelle redazioni.

Qual è il ricordo che ti porti dietro dei tuoi primi anni di carriera? E quale insegnamento ti è stato più utile? 

Sono stato fortunato, perché in passato quando andavi in giro per i servizi sui grossi fatti, i delitti, i processi, la campagna elettorale, ma anche le Olimpiadi o i mondiali di calcio, incontravi i grandi giornalisti. Vi trovavi Gian Antonio Stella, Vittorio Zucconi, trovavi i vecchi inviati, Jenner Meletti, Paolo Valentino, Enrico Franceschini, insomma giornalisti che le avevano viste tutte. Il nostro è un mestiere che non si insegna, si ruba. Nessuno si mette lì a spiegarti cosa devi fare, quindi guardavo come si muovevano, come si comportavano. Ricordo che Gian Antonio Stella nel 2001, per il G8 di Genova, aveva noleggiato una vespa perché la città era bloccata, non ci si poteva muovere, lui girava con questa vespa tra i rivoltosi e tra i poliziotti. Sono salito con lui senza casco, avevo passato la notte con Casarini il capo delle tute bianche, poi insieme a Gian Antonio, siamo andati a parlare con alcuni poliziotti, ufficiali non più giovanissimi, padri di famiglia che si chiedevano il perché di tanto odio e di questo rimasi colpito. La notte fui tra i primi a entrare alla Scuola Diaz dopo che c’era stato il massacro, avevano picchiato a sangue molti ragazzi, era tutto sporco di sangue. Il G8 di Genova per i giornalisti della mia generazione è stato un momento significativo, c’eravamo tutti ed eravamo ancora giovani, c’era Concita De Gregorio che poi ha scritto un bel libro “Non lavate questo sangue”, c’erano Fiorenza Sarzanini, Marco Imarisio, Mario Calabresi, avevamo tutti trent’anni, è stata una vicenda che ci ha segnato molto e dalla quale abbiamo imparato tanto.

Quali sono stati i tuoi più grandi maestri? 

Bisogna distinguere tra quelli che ho conosciuto sul campo e che ti ho elencato, da Gian Antonio Stella a Vittorio Zucconi, poi c’erano quelli che leggevo che sono andato a conoscere e a intervistare. Come Giorgio Bocca: Il Provinciale è fisso sul mio comodino, lo considero il più bel libro scritto da un italiano negli ultimi 40 anni, dai tempi del Nome della rosa di Umberto Eco. Così come tengo sul comodino Esilio di Enzo Bettiza, altro libro straordinario. Di entrambi sono diventato amico, a casa conservo la macchina da scrivere elettrica di Giorgio Bocca, ho fatto l’ultima intervista a Enzo Bettiza prima che morisse. E poi Eugenio Scalfari, che ho conosciuto grazie a una cara amica, sua figlia Donata. Da ragazzo, quando frequentavo la scuola di giornalismo a Milano, andammo in visita a Il Giornale e ho avuto la fortuna di conoscere Indro Montanelli, fu così gentile da alzarsi in piedi e lasciare che alcuni di noi (non io) si sedessero alla sua scrivania, un uomo di una cavalleria e una generosità verso i giovani direi unica. Ho un bel ricordo anche di Giampaolo Pansa e del suo amore per la sua Adele.

Hai intervistato moltissimi personaggi famosi, politici, musicisti, sportivi, c’è qualcuno che avresti voluto intervistare e non ci sei riuscito? 

Ho fatto tantissime interviste, l’elenco è lungo, ricordo tra i cantanti Paolo Conte che non parla quasi mai, Lucio Dalla che mi manca moltissimo, Francesco De Gregori, Antonello Venditti, Marco Masini che raccontai quando vinse il Festival di Sanremo, dove mi disse, in uno sfogo meraviglioso: “non è vero che porto sfortuna”, Loredana Bertè, Keith Richards dei Rolling Stones, Ligabue, Vasco Rossi che pensavo fosse un burbero invece è un timido, una persona dolcissima. Mi mancano Gianni Morandi e anche Albano, la cui storia sarebbe bella da raccontare. Mi piacerebbe scrivere un libro con Nadal, ho passato una giornata intera insieme a lui, l’ho intervistato, siamo stati a lungo insieme, lo considero un personaggio straordinario, mi piacerebbe molto scriverei insieme a lui la sua biografia.

Se domani ti obbligassero a scegliere fra essere solo giornalista o solo scrittore cosa sceglieresti? 

Le due cose stanno insieme, è chiaro che sono due mestieri diversi, ma una volta che sai scrivere puoi scrivere per un giornale e puoi scrivere un libro, si tratta di due tecniche diverse, ma abbastanza familiari. Sono discorsi scivolosi, sia chiaro io non mi paragono a nessuno, siamo tutti nani sulle spalle di giganti, io non sono niente, ma al Corriere della Sera lavoravano i più grandi scrittori del secolo. Giornalismo e letteratura sono due mestieri diversi, ma non sono due cose agli antipodi. Quando la Mondadori propose il mio romanzo La mia anima ovunque tu sia per il premio Campiello, un critico letterario, che sgomitava per scrivere sul Corriere Della Sera, sentenziò: “Non possiamo accettare romanzi di giornalisti”. Capisci la follia? Con lo stesso criterio dovresti escludere gli scrittori dai giornali. Fai bei sogni di Massimo Gramellini è un libro straordinario: è l’opera di un giornalista o di uno scrittore? Come sai noi al Corriere Della Sera ospitiamo articoli dei migliori scrittori italiani, Antonio Scurati, Emanuele Trevi, Alessandro D’Avenia, Teresa Ciabatti: non esiste in questo campo la separazione delle carriere.

Il futuro del giornalismo su quale campo si gioca? Su quello del mezzo, digitale vs cartaceo, o su quello dei contenuti, differenziazione sulla base della community vs clickbaiting? 

Il peggio è passato, 10 anni fa abbiamo temuto che il giornalismo fosse finito. La Rcs di allora comprò YouReporter per dire che ormai i giornalisti non sarebbero più serviti, chiunque poteva fare il reporter, bastava filmare e postare. Però non è andata così. Si è capito invece che serviva ancora più giornalismo per difendere il vero dal falso. Tutti i grandi giornali che hanno fatto scelte corrette sono cresciuti come fatturato e come numero di dipendenti. A “Le Monde” dieci anni fa erano in 350 oggi sono in 500, il Guardian è cresciuto, il New York Time è cresciuto, il Corriere della Sera è cresciuto, ha assunto e ha investito sul digitale. È ovvio che dobbiamo difendere la carta con le unghie e con i denti, però nello stesso tempo non era scritto da nessuna parte che nell’era digitale per informarsi la gente sarebbe ancora passata dai giornali, ahimè sempre meno dalla carta, ma sempre più dai siti. Poteva benissimo accadere che fossero altri siti, non quelli dei giornali, a fare i click, invece i click li facciamo noi perché pubblichiamo contenuti affidabili, abbiamo un grande know how. E anche vero che i click possono diventare anche una trappola, se tu pubblichi contenuti sui gattini è evidente che farai molti click, ma il futuro del Corriere della Sera non sono i gattini, ci saranno sempre siti che avranno gattini più belli dei nostri. L’impegno è quello di produrre contenuti, cosa non semplice, per esempio credo molto nel giornalismo d’inchiesta. Dovremmo fare Spotlight: un gruppo che lavora per sei mesi su un inchiesta, magari per tutto questo tempo non scrive nemmeno una riga, ma poi al settimo mese è in grado di far dimettere un ministro, di far cadere un governo. Bisognerà fare questo in futuro, certo dovremmo anche occuparci di personaggi pop, perché i click bisogna comunque farli, ma sarà necessario far trovare agli abbonati i racconti, le inchieste, gli approfondimenti, i reportage dall’estero, le analisi… Sono importanti tutte e due le cose. Il giornalista deve diventare cronista appena può, nessuna idea senza un racconto e senza una storia, e nessuna storia senza un’idea. Ad esempio stiamo pubblicando “Una giornata in Italia”, “Una notte in Italia”, ho passato una notte su un taxi milanese e il giorno di Ferragosto in autogrill per raccontare due storie nostre. Fabrizio Roncone ha raccontato i nudisti in Provenza, Andrea Galli ha trascorso una notte al casinò e su un peschereccio, Gian Antonio Stella ha fatto una giornata all’Asinara, sono scesi in pista Teresa Ciabatti e Walter Veltroni, sono pezzi molto letti sul sito. Questo non è gossip, è giornalismo. Noi poi siamo molto piratati, la mia intervista a Totti alle 3 del mattino era già su tutti i siti d’Italia.

Ogni mercoledì va in onda “Una giornata particolare” su La7, un programma sulla storia d’Italia, qual è il tuo obiettivo, da dove nasce l’idea? 

L’idea è stata di Urbano Cairo, che mi ha chiesto di fare una trasmissione di storia. Il direttore de La7, Andrea Salerno, ha suggerito di chiamarla “Una giornata Particolare”: ricostruiamo una giornata della Storia d’Italia, la marcia su Roma è stata la prima puntata; poi l’assassinio di Giulio Cesare; l’incontro tra San Francesco e il Papa che, anziché mandarlo sul rogo come eretico, approva la sua regola e cambia la storia della cristianità; lo stupro di Artemisia Gentileschi, la prima donna a firmare i suoi quadri e la prima donna a far condannare il suo violentatore; la fuga di Napoleone Bonaparte dall’isola d’Elba e infine l’abiura di Galileo Galilei, che cade in ginocchio ed è costretto a dire che le sue scoperte sono false. Posso dirti che ci sono immagini bellissime. Abbiamo ricostruito la marcia su Roma al Quirinale e al Viminale, per Giulio Cesare siamo stati al Foro Romano, per San Francesco ad Assisi, alla Basilica degli affreschi di Giotto e di Cimabue. Per Napoleone abbiamo girato nel Louvre vuoto, faccia a faccia con la Gioconda, con l’incoronazione di Napoleone, poi sempre a Parigi sulla sua tomba, infine all’isola d’Elba. Per Galileo abbiamo girato sulla cima del campanile di Venezia, dove Galileo salì per fare i suoi esperimenti con il cannocchiale. E poi lo sfondo della grande Roma barocca che fa da teatro alle vicende drammatiche di Artemisia Gentileschi, immagini bellissime, un modo diverso di vedere l’Italia.

Nell’intervista da Floris hai affermato che “la guerra è stata l’esito naturale del fascismo”, è così anche per le guerre contemporanee? 

Il Fascismo è un fenomeno storico ben preciso, io non sono per dare del fascista a chiunque non la pensa come me. Quando vediamo che c’è razzismo, xenofobia, che c’è nazionalismo non vuol dire che sta tornando il fascismo; vuol dire che alcune delle idee del fascismo non sono morte. Leggi l’articolo 3 della nostra Costituzione, dice che tutte le persone sono uguali senza distinzione di sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali. Quell’articolo è il rovesciamento del fascismo. Nel periodo fascista i cittadini non erano tutti uguali, intanto erano sudditi, poi i bianchi valevano più dei neri, gli uomini più delle donne, i cattolici più degli ebrei, gli eterosessuali degli omosessuali, i fascisti degli anti fascisti. Preferisco l’art. 3 della Costituzione.

Perchè hai scritto un libro su Mussolini? Perché come te tanti altri scrittori sono usciti di recente con un’opera sul duce, pensiamo a Sergio Rizzo con “L’ombra lunga del fascismo”, a Marco Mondini con “Roma 1922. Il fascismo e la guerra mai finita” per arrivare fino all’opera di Scurati. 

Sono oramai più di 10 anni che sto raccontando la storia d’Italia a puntate, ho scritto nel 2010 “Viva l’Italia!” che è un libro sul Risorgimento, in difesa dell’unità nazionale, la Lega allora era separatista come ricorderai, poi nel 2014 “La guerra dei nostri nonni” sulla prima guerra mondiale, poi nel 2015 “Possa il mio sangue servire, uomini e donne della Resistenza”, quindi nel 2018 “Giuro che non avrò più fame” sulla ricostruzione del dopoguerra. In “Basta piangere! Storie di un’Italia che non si lamentava” racconto la storia degli anni ’70, gli anni in cui sono cresciuto. Poi due libri su Dante, che è un po’ all’origine dell’identità italiana: ci ha dato non soltanto una lingua, ma anche un’idea di noi stessi; fu il primo a pensare l’Italia, non come Stato ma come sistema di valori. Mi sembrava quindi inevitabile confrontarmi con una figura ancora adesso importante, come quella di Mussolini, e ho cercato di scrivere che l’idea che abbiamo di Mussolini è sbagliata, è un’idea consolatoria e autoassolutoria. Il Duce era molto peggio dell’idea che ci siamo fatti di lui”.

In Svezia la paura xenofoba ha portato l’estrema destra ad avere un boom nelle ultime elezioni. Quanto dobbiamo temere queste ondate di nuove destre vicine a fascismo e nazismo? 

Semmai si dovessero manifestare fenomeni di razzismo, di xenofobia e di nazionalismo estremo significa che alcune idee del fascismo non sono morte. Il segno del nostro tempo è la rivolta contro il sistema, contro l’establishment, contro le élite, contro i partiti tradizionali, banche, sindacati e questa rivolta può assumere toni di destra ma anche di sinistra, pensa a Podemos in Spagna, in parte anche ai 5Stelle in Italia, è il fenomeno del nostro tempo non dobbiamo scandalizzarci. È un fenomeno che fino ad ora, nei grandi Paesi democratici a volte ha vinto e a volte è stato battuto, Trump ha vinto, ma poi è stato battuto, Marine Le Pen è stata battuta, Alternativa fur deutschland è stato battuta. Podemos è sì al governo, ma chi comanda sono i socialisti; in Svezia, nonostante il risultato, probabilmente non andrà al governo la destra xenofoba. Il fenomeno certo esiste ed è necessario tenerne conto, i governanti devono dare delle risposte, la gente sta male: abbiamo affrontato crisi terribili, nel 2001 le torri gemelle, nel 2008 il crollo dell’economia americana, poi la pandemia, ma i prezzi erano stabili e ora sono impazziti. I prezzi sono la vera questione, è necessario dare risposte alla gente che sta male e che pensa che sta andando dal più al meno, andare dal meno al più è meraviglioso, mentre è terribile il contrario.

Secondo te perchè i diritti civili, le politiche sociali, i giovani, la scuola sono sempre meno presenti nei programmi elettorali, in Italia? 

Non mi sembra che queste questioni abbiano così poco spazio, in fondo se ne è parlato molto, DDL Zan sì o no, reddito di cittadinanza sì o no. La cosa peggiore non è la campagna elettorale, quella sta nel gioco delle parti, ognuno tira l’acqua al suo mulino, le spara grosse, il problema è che bisognerebbe fare promesse che si è in grado di mantenere. E poi bisognerebbe consentire agli elettori di scegliere il proprio rappresentante. A me piaceva il Mattarellum perché c’erano collegi uninominali piccoli, sapevi chi era il tuo deputato, lo potevi controllare, poi confermare o mandarlo a casa, ora non è più così. Al Senato ci sono collegi con più di un milione di abitanti, non c’è più il rapporto diretto tra eletto ed elettore.

Puoi raccontare qualche aneddoto della tua carriera o di qualcuno che hai intervistato? 

Una cosa che mi stupii molto fu quando intervistai Marine le Pen. Alla vigilia del ballottaggio del 2017 e le chiesi un giudizio su François Fillon, che era il candidato neogollista, eliminato al primo turno, e aveva detto a tutti di votare per Macron. lei rispose: “Ce sont des merdes”, (sono delle merde), riferendosi a Fillon e ai suoi. Io lo scrissi e il giorno dopo l’entourage di Marie Le Pen si allarmò molto, cercò di smentire, perché avevano bisogno dei voti di Fillon. Lei fu corretta, mi chiese solo di fare un tweet per spiegare che la frase non si riferiva agli elettori di Fillon, ma solo a lui e al suo gruppo. Ma la cosa che mi colpii fu che mi cercarono tutti i giornali francesi e anche le Tv, dove non andai perché non volevo essere strumentalizzato. Le Monde scrisse: “il giornalista italiano che parla perfettamente il francese”, invece i giornali italiani, soprattutto quelli a cui sto antipatico, scrissero: “la prossima volta si porti l’interprete così capirà meglio”. La cosa che mi colpii fu che ovviamente ai giornali francesi non importava nulla di me, volevano solo andare contro Marine le Pen, mente ai giornali italiani non importava nulla di Marine Le Pen, ma volevano solamente andare contro di me. Un intervistato che mi piacque molto fu Stephen Spielberg, un vero signore, mi piacque meno Keith Richards con quest’aria da satanista, mi ricevette in una suite di un grande albergo, roba da sceicchi nel 16mo arrondissement di Parigi, un hotel molto costoso e lussuoso. Lui aveva un’aria da artista maledetto che mi sembrava stonasse un po’ con il posto. Pensa che per aver scritto questo un sito che va per la maggiore titolò: “Cazzullo: Keith Richards è un signor nessuno”. Questi siti, questi sciocchezzai, che ti cambiano le cose per qualche click in più sono davvero penosi, io non ho mai scritto che Keith Richards è un signor nessuno, è un artista leggendario che però a me non è piaciuto. Come non mi è piaciuto Bill Gates: mi aspettavo di trovarmi davanti il Leonardo da Vinci dei nostri tempi e invece mi ha parlato solo di soldi, perché in fondo è un imprenditore. Invece Daniel Day-Lewis, l’attore, che tutti definivano un uomo insopportabile, a me è piaciuto molto, ha anche negato di aver lasciato Isabelle Adjani via fax e questo mi rincuora, perché Isabelle Adjani, insieme a Emanuelle Beart è una delle donne più belle che siano mai esistite. La Béart una volta la vidi con un maglione e jeans scuciti, trascinata via di peso da alcuni poliziotti a Parigi, lei insieme ad altre aveva occupato la chiesa di Saint-Bernard per solidarietà con i clandestini. I poliziotti programmarono un blitz all’alba per sgomberare la chiesa e un fattorino di Le Monde mi avvertì, così all’alba andai a vedere ed effettivamente vidi Emanuelle fu trascinata di peso… Avrei voluto essere un supereroe per liberarla.

TAG: Cultura, fascismo, giornalismo, governo, libri, politica, salvini
CAT: Editoria, Letteratura

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