Matteo Terzaghi: Italo Calvino o dell’utopia pulviscolare

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14 Ottobre 2015

Quale posto ha oggi la letteratura di Italo Calvino? Dove è ancora in grado di incidere e di lasciare il segno? Matteo Terzaghi è uno scrittore raffinato e raro – nato a Bellinzona nel 1970 – con Ufficio proiezioni luminose pubblicato da Quodlibet nel 2013 ha rivelato una lingua visionaria e imprevedibile. Ed è sicuramente tra gli scrittori più preziosi della sua generazione. Recentemente per Humboldt Books ha pubblicato con Peter Weber Gotthard Super Express, un viaggio in Svizzera. A Matteo Terzaghi abbiamo chiesto quale spazio ha ancora oggi Calvino tra noi.

Qui le precedenti interviste su Italo Calvino a Chiara Valerio, Nicola Lagioia, Rossella Milone, Giovanni Montanaro, Francesco Pacifico, Gianluigi Ricuperati, Vanni Santoni, Sandro Bonvissuto

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Quale l’eredità più preziosa lasciata alla letteratura italiana e anche a disposizione dei narratori italiani da Italo Calvino? 


La prima è la lingua, la vitalità e la duttilità della sua lingua. In questi mesi ho ripreso le sue Fiabe italiane, le leggo ai miei figli, e ogni volta provo un vero senso di gratitudine per la lingua elaborata da Calvino nello scrivere queste fiabe, una lingua insieme diretta e consapevole di sé, allegra, come se godesse delle proprie invenzioni. Un’altra eredità riguarda il suo modo di spingersi in territori assai ardui per la letteratura, come la biologia, la teoria dell’evoluzione, l’astronomia, l’epistemologia, la logica formale. In Calvino c’è questa capacità di spingere la letteratura fuori dai confini della letteratura attraverso una non comune fiducia nell’immaginazione. C’è anche un movimento di segno opposto: lasciare al cinema, alla sociologia o all’inchiesta giornalistica ciò che questi possono fare meglio e con maggiore efficacia. In ogni caso, mi sembra che Calvino abbia preso molto seriamente le risorse conoscitive dell’immaginazione letteraria e si sia sempre preoccupato di verificarle in rapporto ad altre forme di sapere.

Dove la scrittura di Calvino ha più saputo incidere nella società italiana? 


Forse nelle scuole? Come autore di libri adottati e letti nelle scuole? C’è un Calvino ad uso didattico che oggi ci può anche apparire poco simpatico, ma che sicuramente ha agito in profondità. Io stesso, che sono nato nel 1970 e ho fatto le scuole a Lugano, nel Canton Ticino, Calvino l’ho incontrato a scuola, con Marcovaldo e Il barone rampante, e mi ci sono voluti anni prima di riscoprirlo da libero lettore, fuori da ogni regime scolastico. E tutto sommato, sia Marcovaldo che il Barone Rampante per me rimangono due figure vive e significative, forse anche perché – me ne rendo conto solo ora – quando io e i miei fratelli eravamo piccoli, nostro padre era una specie di Marcovaldo terziarizzato in velosolex. Senza la scuola, e quindi anche senza il Calvino didattico, forse non sarei mai arrivato ad apprezzare un personaggio come Qfwfq, il narratore-protagonista delle Cosmicomiche, un’invenzione geniale, fulcro di un’opera che raggiunge momenti di grande poesia, ad esempio nel racconto Le figlie della luna.

Quale lascito di Italo Calvino risulta oggi invece un fardello insostenibile dagli scrittori e in generale a quale peso costringe un intellettuale che è stato così determinante nella vita culturale italiana e internazionale?

Sono più che altro i politici, gli amministratori, gli industriali, i banchieri, gli architetti e gli urbanisti che qualche volta ci lasciano in eredità i loro debiti e i loro fardelli difficili da sostenere. Gli scrittori, se hanno qualcosa da dirci, andiamo a rileggerli, altrimenti possiamo dimenticarli, la persistenza delle loro opere dipende quasi soltanto dalla nostra memoria. Per me Calvino è stato uno dei maggiori scrittori del Novecento, non solo tra gli italiani, e non mi sono ancora stancato di leggerlo e rileggerlo, anche come saggista. La sua raccolta di saggi Una pietra sopra può essere letta come una testimonianza dall’interno della cultura italiana del Novecento. La prospettiva è quella di uno scrittore ben consapevole dei limiti della propria sensibilità individuale, conscio delle proprie inclinazioni e idiosincrasie, che cerca il modo più adeguato, in termini artistici ma prima ancora etici e civili, di collocarsi con il proprio lavoro nel proprio tempo. Per noi oggi può essere stimolante confrontarci con quel libro, che indica alternative superate oppure no, alternative che si ripresentano in modo nuovo, e che registra i primi segni di alcuni grossi mutamenti culturali di cui ancora viviamo le conseguenze.


La letteratura è oggi davvero totalmente periferica al dibattito pubblico? O dopo Calvino c’è ancora possibilità di costruire un percorso letterario identitario e reputazionale?

Ma quale dibattito pubblico? La mia impressione è che il vero dibattito pubblico si svolga ai margini di un invadente e ingombrante Pseudo Dibattito Pubblico fatto di marketing e propaganda e alimentato da quelli che qualcuno ha giustamente chiamato “mezzi di distrazione di massa”. Nella migliore delle ipotesi, dunque, la letteratura e l’arte in generale non possono che intervenire e operare su questi margini, perseguendo una loro “utopia pulviscolare”. È proprio in Una pietra sopra che appare la felice espressione di Calvino “utopia pulviscolare”, in un pezzo del 1973. Baumann e la “società liquida” sono venuti dopo, all’inizio del Duemila, ma forse in qualche modo è significativo che qui le metafore, tutte relative allo stato di aggregazione della materia, si combinano così bene.

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CAT: Editoria, Letteratura

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