La lunga marcia di noi gabbiani ipotetici

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28 Aprile 2021

Lo so, bisogna sempre fare attenzione al pathos. Citare Gaber è sul filo del rasoio. Ma oggi è un anniversario particolare: quello dei Comunisti del Manifesto. Quello del genio di Rossana Rossanda, Lucio Magri, Valentino Parlato e Luigi Pintor. 50 anni di amore per la verità, anche quando è difficile vederla, soprattutto quando è contraddittoria.

Il 28 aprile del 1971 ero troppo piccolo per accorgermene, ma era uscito per la prima volta Il Manifesto – Quotidiano Comunista. Quando ho compiuto 17 anni, invece, ho iniziato a leggerlo, insieme a Paese Sera ed a Lotta Continua. La mia pancia diceva: Lotta Continua è molto più figo, e non solo grazie a Pazienza, ma perché era più casareccio. Paese Sera era estremamente serio e mi permetteva di capire questioni internazionali di cui in televisione ed alla radio arrivava pochissimo – cosa che mi portò a leggere Epoca, che è stato un mensile straordinario. Il Manifesto, invece, non lo capivo, era troppo complicato per me, mi mancava il retroterra del dibattito quotidiano nella sinistra assembleare, non avevo i codici.

La prima pagina del primo numero de Il manifesto, il 28 aprile del 1971

Poi è arrivato il rapimento di Aldo Moro ed ho iniziato a capire qualcosa in più. Diciamolo meglio: quell’avvenimento fu talmente icastico che divenne subito un discrimine, non importa quanto fossi giovane. La mia pancia diceva: evviva le BR. Il mio cervello diceva: Valentino Parlato ha ragione – qui nessuno ci dice cosa stia accadendo davvero. Qui ci sono pezzi dello Stato che trattano con il crimine organizzato perché, nella catastrofe di un Paese che appoggiava segretamente le BR, la DC e gli altri partiti di governo consideravano la mafia più affidabile ed accettabile della protesta popolare. Gaber lo disse cinque anni dopo, ma Parlato lo scrisse subito: o la trattativa la conduce lo Stato, con i suoi ministri, ed i brigatisti, oppure si sceglie la linea dura e ci si assume la responsabilità della morte di Aldo Moro.

Oggi noi sappiamo che Licio Gelli partecipava alle riunioni del comitato di crisi; che le BR erano infiltrate dai servizi segreti e dalla massoneria; che la decisione di NON scoprire il luogo di detenzione del presidente della DC fu un momento strategico estremamente delicato. La DC voleva Moro morto, e con lui la solidarietà nazionale, e con essa la grande onda comunista per un cambiamento profondo dell’Italia. Gaber e Parlato concordano: il rapimento Moro ha portato in testa alla hit-parade il pietismo per ogni giovane carabiniere morto. In un colpo era dimenticato tutto il resto, dall’assassinio di Pinelli alle botte e gli spari voluti da Cossiga.

Valentino Parlato ed Enrico Berlinguer

Negli anni di Mani Pulite, Il Manifesto si era spaccato: da un lato Rossana Rossanda, che era garantista, dall’altra Parlato, che era per la “barbarie necessaria” voluta dal pool di magistrati milanesi. Il dibattito esisteva solo su quel giornale ed io, ragazzino ambizioso, me ne fregavo, perché il pool permetteva a me di spingere la mia carriera da giornalista internazionale. Poi venne la vittoria di Berlusconi, ed il mio amico Davide Giacalone, da sempre garantista, disse giustamente che quella svolta anti-politica era figlia dell’aver annientato la credibilità del partitismo. Craxi, da Hammamet, rimproverò a Parlato di fare il falco, ma di aver chiesto al cassiere del PSI Balzamo i soldi per permettere la sopravvivenza del quotidiano. Che stava sempre lì lì per chiudere, e ce la faceva sempre. Anche con i miei pochissimi soldi spesi in edicola per dare un segnale.

Poi un incontro tra Michele Santoro e Rossana Rossanda in un talk-show, dopo “Qualcuno era Comunista” di Gaber, ed allora avevo finalmente l’età per capire.

Ve lo dico, perché dovete imprimerlo nella vostra coscienza. Parlato e Rossanda vennero espulsi dal PCI perché erano apertamente e duramente CONTRO lo stalinismo. Condividevano, sull’Unione Sovietica, lo slogan dell’eroe del punk tedesco Knarf Rellöm: “Quello non era socialismo, ma immondizia borghese. Non siamo arrivati alla fine, noi dobbiamo ancora partire!”

La redazione de Il Manifesto marcia contro il Quarto Governo Berlusconi (11 ottobre 2008)

Li hanno accusati di essere “radical chic”, ed invece erano solo persone serie, con un’intelligenza ed una passione politica straordinaria. Nessuno è immune dall’errore di valutazione, ma quei due avevano sempre argomenti veri, non di facciata o di opportunismo. Partendo da un presupposto che oggi è molto più importante di allora: essere comunista, come diceva Gaber, vuol dire sperare di essere felice solo se lo sono tutti gli altri. è solidarietà, consapevolezza, è cercare di portare avanti le istanze di un popolo intero, in quanto tale, e non gli egoismi delle singole lobbies. È riuscire a fare un salto al di là della propria ombra, accettando di discutere le proprie paure, mettendo l’umanità sempre al primo posto, e raccontando dettagliatamente cosa sia necessario fare per evitare la morte del pianeta, il collasso dell’economia, il suicidio della società umana.

Oggi qualcuno è comunista, come la squadra che lavora a Il Manifesto, perché non dà nulla per scontato, perché ha imparato che il pragmatismo dev’essere affettivo, e l’affetto dev’essere pragmatico. Perché bisogna studiare, non sparare opinioni a pene di segugio. Oggi, anche se Rossanda e Parlato sono soltanto nostalgie della nostra memoria, Il Manifesto è un baluardo di cultura, di intelligenza, di complessità. Compie 50 anni. Chi l’avrebbe mai detto. Si vede che l’intelligenza ed il pensiero sono più duri a morire di quanto pensasse lo stesso Gaber. Ed io, come uomo o donna, ci sono. Ci sono ancora. E leggo un quotidiano Comunista, sapendo perché, non per motivi di isteria. Per quel bisogno ho la Roma, che ci fa tanto soffrire. La politica con deve più essere tifo, ma pensiero. Buon compleanno!

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CAT: Editoria, Partiti e politici

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