Fake news: è una questione di apprendimento

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15 Febbraio 2022

L’hanno chiamata infodemia. Quando ad un certo punto sulla questione Covid non si capiva più niente e le persone non sapevano se mettere o togliere la mascherina, se fare o non fare il vaccino, se uscire o no di casa, se Astrazeneca e Pfizer fossero due vaccini equivalenti oppure no, un’unica convinzione si è radicata tra la gente comune: che l’informazione ha detto tutto e il suo contrario.

Non parliamo poi dei tamponi: ora sicuri, ora no, positivi in un laboratorio e negativi in un altro, utili secondo una parte della stampa, inutili secondo la versione opposta. Fino ad arrivare alla questione No vax. Un pericolo da isolare, secondo alcuni giornali, dei moderni eroi di una nuova resistenza secondo gli esegeti di una diversa verità.

Ad un certo punto è stato chiaro che nulla fosse chiaro.

È l’effetto di una stampa che si muove sempre più veloce e scorre i tasti in cerca di clickbite, nel nome dell’interesse e dello spettacolo. E non solo su Internet: la stessa logica investe i telecomandi delle televisioni o le pagine dei giornali cartacei. L’informazione ha assunto i connotati sempre più marcati del marketing: è diventata la necessità di arrivare per primi alla pubblicazione di una notizia. Non importa se verificata.Per questo gli strafalcioni sono all’ordine del giorno. E vanno dalle simpatiche cadute come quella di confondere Mariangela Melato con Monica Vitti, fino alla pubblicazione di errori clamorosi, come l’asseverazione secondo cui il green pass sarebbe uno strumento in grado di limitare la circolazione del virus o il vaccino uno strumento che con certezza eliminerebbe il Covid, restituendo alla vita normale ciascuno di noi.

Sia chiaro: se il Premier Mario Draghi dichiara che chi non si vaccina muore, tu come giornalista sei costretto a pubblicarlo. Non è detto però che ci si debba astenere dal criticare qualcosa che non ha alcuna evidenza scientifica e che è apparso sin da subito una forzatura per costringere gli italiani a vaccinarsi.

Sul tema dell’informazione, di quello che consideriamo fake news o vera informazione, si è aperta una discussione molto forte all’interno del mondo dei media. E il giornalismo, sebbene con fatica, e a piccoli scatti, poco alla volta, è stato costretto a rinculare, fino poi a recedere dalle posizioni apparse troppo schierate verso una parte; per infine aprire le porte al dissenso, all’esercizio della critica e all’analisi dei dati riferiti quotidianamente.

Un ramo del mondo dell’informazione e del giornalismo ha deciso quindi in questi mesi di provare a osservare e indagare la condizione in cui la categoria lavora. Provando ad interrogarsi se per caso la perdita di credibilità progressiva sia dipesa solo dalla pervicace abitudine di competere e di correre o se invece ci sia anche dell’altro.

Recentemente presso l’Ordine dei giornalisti della Lombardia e del Piemonte, si sono tenuti dei corsi tenuti dal Prof. Massimo Arattano, primo ricercatore del CNR di Torino e dal Dott. Massimo De Donno, uno dei massimi esperti di apprendimento strategico e autore di diverse pubblicazioni sul tema, dal titolo: “I meccanismi cognitivi che governano il linguaggio: la professione del giornalista tra Fake News e ricerca della verità”.

L’occasione d’aula, è stata prodiga di sorprese e sta facendo scoprire alla categoria che ci sono diverse difficoltà cui occorre sopperire. In aula infatti, attraverso anche una serie di test, si scopre che la capacità cognitiva dei giornalisti è piuttosto limitata, come limitata appare la capacità di saper riportare quanto ciascuno apprende in fase di lavoro. Il giornalista è in buona compagnia: anche gli ingegneri, per esempio, hanno la stessa difficoltà di apprendimento

Il Prof. Arattano è un ingegnere, il Dott. De Donno un formatore d’aula,uno dei massimi esperti di apprendimento strategico in Italia, fondatore di Genionet, cui approdano ogni anno migliaia di studenti.
In grado di costruirsi un metodo di studio personalizzato in base alle proprie caratteristiche

Grazie alla ricerca è stato possibile creare un modo con cui far innamorare dello studio i ragazzi che frequentano la scuola o l’università

Ragazzi, per la gran parte, che scoprono, attraverso un percorso di formazione, come pensa il loro pensiero e dunque come apprende ogni singolo studente. La conseguenza, al termine del percorso formativo, è scoprire di essere in grado di ottenere un salto qualitativo nell’apprendimento.

È quanto accade anche nelle aule degli ordini dei giornalisti locali. In pratica, assistendo al dialogo e alle prove sostenute, i giornalisti verificano come la propria capacità di saper tradurre le notizie , comprendendole e riportandole, modifichi non poco il proprio lavoro.

Le aule, fermate anche a seguito della pandemia e del cambiamento della piattaforma Sigef, stanno oggi riprendendo e pare sollevare l’interesse di molti colleghi.

Certo è curioso scoprire che quello che si crede saper fare meglio, ovvero apprendere, costituisce ancora uno dei principali ostacoli della categoria.

Ascoltando i colleghi in aula, si trova piena conferma di quanto acquisito nelle lezioni frontali. I giornalisti fanno fatica ad acquisire e a ordinare le informazioni che ricevono e altrettanta fatica la vivono nel riportare le notizie ai loro lettori.

Pare strano ma non lo è, a quanto sembra. Le difficoltà cognitive sono tra le principali cause dell’infodemia di cui si parlava sopra. A tutti gli effetti comprendere un fatto e notiziarlo resta ancora una delle cose più difficili da fare; come del resto molti testi sulla storia del giornalismo riportano.

Uno stesso fatto può avere diverse e molteplici letture. Oggi scopriamo che nell’apprendimento delle notizie sussiste un’ulteriore complessità. La quale può portare a costruire o declinare notizie false, o fake news. Non solo per l’intento di dare il buco alla testata avversaria, e dunque alla sempre maggiore pressione di voler arrivare per primi alla pubblicazione di una notizia. Ma anche perché i giornalisti fanno fatica ad apprendere e a riportare un evento, un fatto, nella sua completezza per un limite cognitivo.

L’acquisizione di questo dato nasce da uno studio pubblicato diversi anni fa dal Prof. Arattano in relazione ad informazioni che si era reso necessario rendere pubbliche nel campo delle scienze geofisiche. Il titolo dello studio è
“The ethical duty to divulge geosciences and the improvement of communication skills to fulfil it”.

L’ing. Arattano ha maturato “una significativa esperienza anche grazie alla collaborazione e formazione avvenuta con la Dott.ssa M. Nicolis, psicologa, docente universitaria ed autrice di testi espressamente indirizzati alla didattica e all’apprendimento professionale”, cosi recita il suo curriculum. Ingegnere idraulico, esperto nel prevenire e studiare gli eventi franosi in montagna, l’ing. Arattano ha così messo a punto e sviluppato negli anni “una serie di innovative metodologie di apprendimento e comunicazione in grado di facilitare le capacità espositive ed espressive dei discenti e le loro capacità di apprendimento ed assimilazione dei dati, mettendole a frutto nel tutoraggio dei laureandi, dottorandi e tirocinanti dell’IRPI” recita ancora il suo curriculum.

Massimo De Donno e Massimo Arattano erano destinati ad incrociarsi.
E un po’, ci hanno preso gusto. Dimostrando che il lavoro del giornalista è il più bello del mondo ma anche uno dei più difficili.

Carta canta.

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CAT: Editoria, università

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