La fiaba nera del federalismo nell’Italia dei Comuni
La storia recente dei Comuni italiani è una di quelle senza lieto fine. Se dovessimo raccontarla ad un bambino, dovremmo partire da un giorno imprecisato di una ventina di anni fa.
C’era una volta nell’Italia dei Comuni un mostro chiamato Stato centrale. I Comuni erano tanti, lo Stato centrale uno solo. Da una parte ottomila punti distanti, diversi tra loro e senza una guida; dall’altra un colosso ingombrante, assente eppure sempre in mezzo ai piedi.
Un bel giorno, l’Italia dei Comuni venne attraversata da uno Spirito nuovo. Soffiava come un vento fresco dopo decenni di opprimente calura. Alcuni lo chiamavano Federalismo, altri Decentramento, altri ancora Autonomia. Con i suoi mille e uno nomi, il nuovo Spirito prometteva di spazzare via in un colpo solo burocrazia e inefficienza, liberando energie rimaste per troppi anni senza uno sbocco.
Per molti era lo Spirito del Tempo.
I Comuni italiani ripresero fiato e, refolo su refolo, cominciarono a soffiare con lui.
“Lo Stato siamo noi!”, dicevano alcuni. I più avveduti incrociarono le dita. Che fosse la volta buona?
I Comuni italiani erano sì disuniti e senza una guida ma, in fondo, esistevano da più secoli di tutti. Nati prima dello Stato centrale, erano tanti quanti i campanili e avevano radici antiche come la storia d’Italia. Nessuno li aveva disegnati dall’alto come era capitato a Province e Regioni. La storia erano loro, anche se da tempo non la scrivevano più.
Ma i tempi stavano cambiando.
Per scalfire il predominio dello Stato centrale, lo Spirito del Tempo bussò alla porta della Politica. Chiedeva meno burocrazia e più efficienza, meno centralismo e più autonomia.
La Politica notò il vento in poppa.
E lo seguì.
Federalismo, Decentramento, Autonomia.
Erano belle parole e ormai piacevano a tutti. La Politica le fece sue.
Divennero parole d’ordine.
Lo Stato centrale era un mostro ingombrante ma, a forza di corsi e ricorsi storici, aveva imparato a stare al mondo. Annusò l’aria e, muovendo lentamente il corpaccione da elefante, prese lui l’iniziativa: a chi voleva farlo a pezzi, decise di donarne alcuni.
Cominciò dalle competenze.
Ne donò un po’ alle Regioni, un po’ alle Province, un po’ ai Comuni.
Nessuno riusciva a ricordare l’ultima volta che era accaduto.
Tutti applaudirono la nuova Politica.
Finalmente i Comuni italiani avevano rialzato la testa. “Ora tocca a noi”, dissero in tanti. I più avveduti, però, si guardavano intorno con preoccupazione. Vedevano gli ottomila di un tempo, sempre più divisi e distanti e, come sempre, senza strategia. Non tutti i campanili sono identici e, anche nei momenti difficili, ognuno continua testardamente a fissare solo il suo.
Lo Stato centrale era un mostro ma, ora che lasciava ad altri così tante funzioni, faceva un po’ meno paura. Cedi una funzione oggi, cedine una domani, fu la volta del potere fondamentale: stabilire e applicare tributi.
A ciascuno il suo.
Un po’ alle Regioni, un po’ alle Province, un po’ ai Comuni.
Il vento era davvero cambiato.
Era tempo di efficienza, autonomia, responsabilità.
Gli applausi furono forti, così forti che quasi nessuno sentì il rumore di fondo.
Quello dei tagli.
Quando arrivarono, i tagli colpirono forte.
Soprattutto i più deboli.
I Comuni avevano finalmente il potere di fare, ma non di decidere cosa.
Ai più avveduti che chiedevano il perchè, lo Stato centrale rispondeva con una a scelta tra le solite parole d’ordine: Federalismo, Decentramento, Autonomia.
Non erano mai sembrate così vuote.
Allora i Comuni italiani bussarono di nuovo alla Politica, ma lei non rispose.
Era afona. A forza di inseguire il primo vento che passa, aveva perso la voce.
I più avveduti si interrogarono sul da farsi, ma una risposta non c’era.
I Comuni italiani non erano mai stati così divisi, distanti, senza una strategia.
Sotto gli ottomila e passa campanili, non si muoveva una foglia.
C’era una volta nell’Italia dei Comuni, un mostro chiamato Stato centrale. Era gigantesco, invadente e faceva paura.
Un giorno lo Spirito del Tempo soffiò forte e lo Stato centrale arretrò fino quasi a sparire. Restarono a tutti molte cose da fare; ai Comuni, l’onere di provvedervi.
Ora lo Stato erano loro. Anche quello centrale.
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