Il primo febbraio scorso, col titolo “Pisapia a un passo dall’addio, Milano è la prossima grana per Renzi”, pubblicavamo l’articolo integralmente riportato qui sotto. L’annuncio, lungamente atteso, diventa realtà oggi, domenica 21 Marzo. Giuliano Pisapia non ci sarà, non si ricandiderà a sindaco nel 2016. Si aprono quindi le danze per la successione: o, meglio, proseguono le danze, visto che da mesi, attorno al futuro di Milano, si gioca una partita a scacchi all’interno del centrosinistra. La presa di danza, adesso, diventa più stretta: il valzer diventa un tango.
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«Che senso ha, mi chiedo, tirare in ballo le elezioni al Comune di Milano dell’anno prossimo, la candidatura a sindaco, fare pressioni, proporre scambi, tirare in ballo ministri come Lupi per il dopo-Pisapia?». Così parlò Matteo Renzi, non off-the-recors, confidandosi a qualche amico o pilotando un retroscena. Così, il Presidente del Consiglio, parlò esplicitamente in un’intervista pubblicata da La Stampa. Renzi commentava e ricostruiva, in maniera sostanzialmente esplicita, la sua versione dei fatti sul Quirinale. E tra una rivendicazione di un presidente non-Nazareno e uno sguardo già incline al perdono rivolto alla confusione di Berlusconi, il premier regala anche una notizia, o forse più d’una.
Per cominciare: parla del dopo-Pisapia come fosse cosa sostanzialmente sicura. Tanto da entrare nelle trattative per la scelta del presidente della Repubblica, da lasciare intendere che Angelino Alfano avrebbe chiesto qualcosa, in cambio dei (non determinanti) voti di Nuovo Centro Destra per l’elezione di Mattarella. Fa il nome di Maurizio Lupi, un ministro del suo governo, gettato sul tavolo di una trattativa impari da un Angelino Alfano del quale è dunque confermata, in pieno, la confusione. Non dice di più, Renzi, ma in che senso il nome di Lupi è stato giocato da Alfano non è difficile intuirlo. L’ipotesi più probabile, più lineare, per così dire, è che Alfano e i suoi sperino in una (oggettivamente assai improbabile) candidatura unitaria NCD-Pd per Milano 2016, e che quella candidatura possa portare il nome del milanese e ciellino ministro delle infrastrutture e dei trasporti, Maurizio Lupi, appunto. Più tortuosa l’ipotesi che vede la candidatura ipotetica di Lupi per un fronte di centrodestra tradizionale, Ncd e Forza Italia, anche perché in questo caso si capisce ancora di meno perché la materia avrebbe dovuto essere discussa con Renzi, o diventare oggetto di negoziato mentre si votava il presidente della Repubblica. Coincidenza: proprio oggi Libero spara a zero su Lupi: i nemici in casa e gli alleati in trasferta? In ogni caso, dicevamo, il dopo-Pisapia sembra imminente e, forse per colpa della sintesi dell’intervista, ma il presidente del Consiglio non usa periodi ipotetici o formule dubitative. Tanto che viene naturale pensare che la poltrona lasciata vancate da Sergio Mattarella in Corte Costituzionale, che si aggiunge a quella che da un paio d’anni il parlamento non riesce ad assegnare, possa costituire il destino naturale per il primo cittadino di Milano.
Anche a Milano e dalle parti della dirigenza regionale lombarda del Pd, in effetti, i dubbi sul dopo-Pisapia sono sempre meno. Un dopo-Pisapia è imminente, e il sindaco sarebbe pronto ad annunciare a breve il tanto discusso “passo indietro”. Lui sarebbe molto stanco, schiacciato da uno stress amministrativo vissuto con responsabilità crescenti e con la costante ansia dell’avvocato penalista che tende a non delegare quando di mezzo ci sono questioni legalmente sensibili e cioè, per un sindaco, quasi sempre. Chi gli sta vicino ha visto un’accelerazione impressionante negli ultimi mesi. A partire da Novembre, quando, per primi, su Gli Stati Generali rivelammo il pressing di alcuni e i dubbi del sindaco, la dinamica ha preso velocità. E oggi il consenso vuole che presto, molto presto, Pisapia rivelerà la sua decisione di non proseguire nell’esperienza di sindaco. Qualcuno, nel centrosinistra, guarda con cautela e preoccupazione all’evento: perché sa che, pur con tanti limiti amministrativi rivelati, Pisapia resta comunque un candidato forte sia contro un moderato, come Lupi, sia contro un falco, come Matteo Salvini. Altri, soprattutto dalle parti dei renziani milanesi, celano a fatica una certa soddisfazione, essendo un processo, quello dell’addio di Pisapia, che hanno in qualche maniera agevolato o, almeno, non intralciato.
Al di là della prospettiva psico-politica con cui si guarda alla vicenda, il dato certo è che sono iniziate le grandi manovre. A guidarle, in particolare, i vertici lombardi del partito democratico, guidato in Lombardia da Alessandro Alfieri. I nomi che circolano, per il dopo, sono diversi. Dentro al Pd, ci sono i giovani renziani: Lia Quartapelle, Pietro Bussolati, o dell’assessore alla mobilità Pierfrancesco Maran. Sempre dentro al Pd, ma guardando meno a Roma e più all’eredità della stagione arancione di Pisapia, potrebbe collocarsi invece una candidatura come quella di Pierfrancesco Majorino, assessore al welfare. Sempre in area della giunta, non è tramontata l’ipotesi di vedere in campo la vicesindaca Ada Lucia De Cesaris. Poi c’è l’incognita Sel: pensano a una candidatura di bandiera per contarsi e pesare, o sono disponibili a convergere verso una candidatura di centrosinistra, purché non porti il marchio dell’imposizione renziana (o dei renziani)? Poi c’è il nome pesante che, a Milano e a Roma, ma sempre in provincia di Renzi, più di qualcuno pensa di calare dall’alto, ed è quello di Emanuele Fiano. Parlametare pd, presidente di commissione riforme costituzionali, dentro al partito sta in Area Dem, la corrente di Dario Franceschini, cui approdò in quanto fassiniano. A Milano manca da ormai quasi dieci anni, essendo entrato in parlamento nel 2006, ma sicuramente una candidatura sostenuta dal partito potrebbe rappresentare, per l’ex presidente della comunità ebraica milanese e capogruppo di lungo corso a Palazzo Marino, ben più che una tentazione. Sullo sfondo, poi, girano anche altri nomi, che potrebbero pensare di dire la loro, dalle parti della società civile: sono Fabio Pizzul e Umberto Ambrosoli che, forse, non a caso, ha ricordato a tutti che, qualora non ci fosse Pisapia, si dovrebbe passare per le primarie.
Le questioni, di metodo e di merito, in effetti, sono tante. E le primarie sono in cima alla lista. Perché è piuttosto chiaro che, in caso di mancata ricandidatura di Pisapia, sarebbe davvero difficile spiegare che avevamo scherzato, e che le primarie stavolta non si fanno. Perché? Perché la nomenclatura renziana ha già deciso chi deve essere il candidato? Quella stessa futura classe dirigente che, quando era all’opposizione, ha fatto il diavolo a quattro per averle, e averle aperte? Già. Solo che farle espone a rischi di frizioni e sconfitta che, al momento, spaventano eccome. È ancora fresca la memoria di quando, nel 2010, tutto faceva ritenere che avrebbe vinto senza troppa fatica Stefano Boeri, e invece proprio dalle primarie iniziò la cavalcata trionfale del candidato non-di-partito, cioè Giuliano Pisapia. È una dinamica classica, che la new wave renziana ha forse indebolito, ma probabilmente non neutralizzato del tutto.
Da qui ad allora, poi, ci sono passaggi delicati da affrontare, per Milano e per il partito. C’è Expo, naturalmente, il cui impatto sulla città potrebbe essere traumatico, ma anche molto più positivo di quanto scandali e polemiche ormai sedimentate potrebbero far pensare. E c’è lo scenario nazionale. Se davvero le elezioni anticipate si allontanano, e l’orizzonte di legislatura con scadenza naturale al 2018 è quello più probabile, allora è piuttosto sensato immaginare che, per la primavera del 2016, a Milano, anche Matteo Salvini vorrà essere della partita, per provare a costruire, passando da Milano, un profilo nazionale che, al momento, non ha e che lo vedrebbe con ogni probabilità soccombere malamente rispetto a Renzi. Diverso sarebbe pensare di sfidarlo dopo un passaggio da sindaco di Milano. Una città nella quale il centrosinistra dovrebbe evitare di prenderlo sottogamba, arrivando alla metà sfilacciato, diviso, o con candidature frutto di alchimie di palazzo che non fanno i conti con le periferie della città. Salvini, laggiù, lo conoscono tutti. Varrà la pena di tenerlo presente.
(Illustrazione a cura di Thomas Libetti, per Gli Stati Generali)
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