
Africa
Sudan, massacri e fosse comuni fotografate dai satelliti, mentre una città intera sta per scomparire
Da oltre 500 giorni El Fasher, ultima roccaforte dell’esercito regolare del Sudan nel Darfur, è stretta nella morsa delle Forze di Supporto Rapido (RSF), i paramilitari guidati dal generale Mohamed Hamdan Dagalo, detto Hemeti. Le immagini satellitari analizzate dal Financial Times e le analisi condotte dal laboratorio umanitario della Yale University raccontano l’avanzata di una catastrofe: fosse comuni che si moltiplicano, quartieri devastati, civili massacrati. “Guardiamo i cimiteri crescere dallo spazio”, ha spiegato Nathaniel Raymond, che da mesi informa Nazioni Unite e governi occidentali senza risultati concreti.
Nella città vivono circa 260mila persone, ma El Fasher è diventata anche rifugio per centinaia di migliaia di sfollati appartenenti a comunità già colpite da pulizie etniche passate — Massalit, Fur, Berti, Zaghawa. Il timore degli osservatori è che l’assedio si concluda con un bagno di sangue simile a quello di El Geneina, dove nel 2023 migliaia di Massalit furono massacrati e gli Stati Uniti accusarono Hemeti di genocidio.
La vita dentro la città è ridotta a una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Il cibo non entra quasi più, l’unica via di uscita è un checkpoint RSF dove civili sono stati derubati e uccisi. “Molti hanno iniziato a mangiare mangimi per animali”, racconta il giornalista sudanese Muammar Ibrahim, intrappolato in città. Secondo l’ultimo rilevamento delle agenzie umanitarie, il 38% dei bambini sotto i cinque anni è gravemente malnutrito. Intorno a El Fasher la carestia è già stata certificata al livello massimo di emergenza globale (IPC fase 5), mentre un’epidemia di colera peggiora la situazione.
Le condizioni igieniche sono disastrose, i beni di prima necessità arrivano solo grazie a trafficanti che rischiano la vita e rivendono a prezzi proibitivi. La valuta locale è ormai carta straccia, le rimesse familiari vengono tassate fino al 40% dalle app di pagamento, l’elettricità è un lusso raro. Perfino internet e le comunicazioni dipendono dai terminali satellitari Starlink, nelle mani degli stessi comandanti RSF.
Sul piano militare, l’esercito regolare ha esaurito le risorse. Le missioni di rifornimento aeree sono cessate, mentre i paramilitari dispongono di droni, missili e mezzi armati. “Prima o poi le leggi della fisica prevarranno: l’esercito finirà cibo e munizioni”, ha avvertito Raymond.
Le organizzazioni umanitarie come Medici Senza Frontiere si preparano a un’ondata di vittime in caso di caduta della città. “È una delle peggiori crisi che abbia mai visto: enormi numeri di persone colpite, sofferenze indicibili e una risposta internazionale largamente sottofinanziata”, ha dichiarato Sylvain Penicaud, responsabile MSF a Tawila.
Il conflitto, nato dal collasso politico del Sudan, ha radici antiche: le RSF derivano dalle milizie janjaweed, responsabili vent’anni fa delle prime stragi in Darfur. Oggi, il loro obiettivo sembra completare quel progetto di supremazia etnica mai interrotto. “La conquista di El Fasher andrebbe oltre la guerra civile”, ha sottolineato Raymond: significherebbe cancellare intere comunità e ridisegnare gli equilibri futuri del Sudan.
Intanto, il silenzio della comunità internazionale pesa come un’ulteriore condanna. “Siamo la dimostrazione del fallimento dell’agenda di protezione dei civili dopo Srebrenica e dopo il Ruanda”, ha denunciato l’esperto di Yale.
Se El Fasher cadrà, il Darfur intero passerà sotto il controllo dei paramilitari, consegnando a Hemeti una posizione di forza decisiva sul destino del Sudan. Per chi è intrappolato dentro le sue mura, però, il futuro si misura ormai in giorni di sopravvivenza.
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