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America

Aboliamo le “first lady”

di Enrico Pitzianti
27 Luglio 2016

In queste ore c’è aria di rivalsa mediatica. Finalmente Michelle Obama avrebbe regalato a noi schifati da Trump una mossa retorica degna dei giusti, della parte che salverebbe l’occidente dall’abisso e da un effetto brexit in scala statunitense.
Michelle ha parlato con speranza e ottimismo del futuro dell’autoproclamata nazione più importante del mondo – ha ribadito, insomma, che lo è ancora e non c’è bisogno di renderla di nuovo tale come urla lo slogan di The Donald. È la risposta ottimista al trumpismo che invece lamenta con terrore l’imminente sorpasso cinese.
A me il discorso della first lady non ha emozionato. Ma non per i contenuti scritti da altri, per la retorica politica tutto sommato placida e standard – non mi hanno disturbato troppo nemmeno la miriade di riferimenti ai “nostri bambini”, che mi hanno ricordato la moglie bigotta del reverendo Lovejoy de I Simpson. Le ragioni del mio giudizio stanno a monte. Mentre Michelle parlava fiera e orgogliosa non sono riuscito a non pensare a chi Michelle sia, una first lady, e a chi fosse rivolto il suo endorsement, un’altra (ex)first lady.
Perché sto ascoltando un discorso politico fatto da una “moglie di”? Perché vi si sono concentrate attorno così tante attenzioni?

Michelle Obama è la moglie di Barack Obama, presidente degli Stati Uniti in carica. Non ricopre nessun ruolo se non quello di moglie. Il solo pensarci mi pare deprimente e anacronistico.
La giornalista Keli Goff ha scritto:  “La maggior parte di noi troverebbe inappropriato dire esplicitamente a una donna che da lei ci si aspetta di impiegare la maggior parte della sua vita a supportare a tempo pieno la carriera di suo marito”. Eppure continua ad accadere e, che è peggio, non destare nessuno stupore.
Si dice spesso – e giustamente – che i politici non devono essere semplicemente dei rappresentanti della popolazione, ma devono essere le persone migliori per poter ricoprire quelle cariche. Un po’ come in nazionale non si manda una rappresentanza dell’atletismo della cittadinanza, si convocano i migliori a giocare a calcio. La stessa logica meritocratica dovrebbe applicarsi alle cariche pubbliche e private, è meritocrazia, niente di più.
La stessa esistenza della posizione di first lady è sinonimo di familismo e fa eco alle logiche politiche monarchiche, strizza l’occhio a un’idea di “famiglia al potere” che ha pochissimo di democratico – e niente di meritocratico.
Vedere una first lady come Michelle Obama rivolgersi a un’ex first lady, la Clinton, fa immaginare che l’essere i fidanzati, i mariti o le mogli di qualcuno di importante sia una strategia assodata e legittimata pubblicamente per arrivare al potere. Ci sarebbe da discuterne se non fossimo troppo impegnati a sperare nella vittoria di una Hillary che non convince e arranca. Eppure il lato positivo in questa questione c’è. In Italia, nonostante gli sforzi delle testate di gossip, non sembra fregare nulla a nessuno di Agnese Landini.

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