America

L’Eschatià nella moderna morfologia urbanistica americana

Negli Stati Uniti e in Canada le aree e i quartieri più a rischio si trovano nei pressi del centro della città, mentre le zone più ricche si collocano in periferia. C’è una diffusa connessione tra povertà e consumo di droghe, su tutte oppioidi e crack

24 Luglio 2025

L’ormai diffuso fenomeno dell’Urban Sprawl, conosciuto come l’espansione urbana incontrollata e senza precisi riferimenti verso zone periferiche unita al calo della densità abitativa, non risparmia e, per certi versi, alimenta aree di degrado urbano che si configurano sempre di più come vere e proprie cicatrici conseguenti alla frattura anomica tra aspirazioni sociali introiettate e occasioni concretamente praticabili.

La teoria delle opportunità differenziali di Cloward e Ohlin (1961), incentrata sulla discriminazione di accesso tra classi medio-alte e basse alla struttura sociale e economica, sembrerebbe supportare la sempre più comune e diffusa connessione tra povertà e consumo di talune sostanze illecite – su tutte oppioidi e crack.

Se pure il frammentarsi della piramide gerarchia in termini di ultimi gradini della vendita di stupefacenti, però, abbia portato ad eliminare punti pubblici di riferimento dello spaccio, il tutto favorito anche dal diffondersi dell’approvvigionamento di sostanze (legali e illegali) attraverso la Rete, persistono e insistono un po’ in tutte le città aree assimilabili, e non solo nell’immaginario collettivo, alla vendita di droghe.

Eschatià[1] chiamavano i greci antichi ciò che assume in senso moderno il significato di margini, periferie, fasce di confine estromesse dal centro urbano, dove si svolgono attività qualitativamente inferiori e lontane dal focus della vita politica e economico-finanziaria della Polis.

A ben guardare, però, questi spazi non sono morfologicamene sempre da riportare agli anelli più esterni del tessuto cittadino.

Al contrario di ciò che avviene in altre città europee e italiane, infatti, negli Stati Uniti e in Canada le aree e i quartieri più a rischio si trovano nei pressi del centro della città, mentre le zone più ricche e percepite come più tranquille – anche più isolate, sorvegliate, decontestualizzate e alienanti – si collocano in periferia.

Tutta una serie di reportage giornalistici, realizzati negli Stati Uniti, ci hanno mostrato la presenza di persone dedite al fentanyl e allo speedball (eroina+cocaina) in zone praticamente a ridosso dei distretti finanziari.

Non è un caso che il Bronx, considerato come il quartiere più povero di New York, abbia riportato il maggior numero di morti per fentanyl nel 2022. Nelle aree con un elevato numero di senzatetto, gli episodi di overdose sono aumentati del 21 per cento, passando da 32,4 a 39,3 casi ogni 100.000 residenti tra il 2021 e il 2022.

Secondo le cifre del Department of Health di New York City, dei cinque borough newyorchesi, Staten Island nel 2017 è stato quello con la percentuale più elevata di overdose involontaria ogni 1000 abitanti (Fonte: https://www.silive.com/news/2017/02/18_ods_in_january.html).

Kensington Road nella zona nord-est di Philadelphia, Tenderloin – ribattezzato The tent city – a San Francisco (seconda per overdose dopo Philadelphia), Wood Street nella città di Oakland, sul lato opposto della baia di San Francisco, Hazard nel Kentucky e in Canada Lowertown (Ottawa) e Hastings Street (Vancouver) sono altre aree assurte a simbolo di degrado, consumo di sostanze e decessi. E non sono periferia urbanistica, ma più simbolicamente esistenziale. E solo un caso o il tutto sottende precise logiche politiche, economiche e sociali?

La giungla urbana e le speculazioni urbanistiche

L’impatto economico che l’epidemia di oppioidi sintetici ha avuto sull’economia degli Stati Uniti è stata molto più che significativa. Potrebbe essere decisiva.

Il Comitato Economico Congiunto (JEC) del Congresso degli Stati Uniti (JEC) ha valutato un costo di circa 1500 miliardi di dollari nel solo 2020, pari al 7% del Prodotto Interno Lordo, con un aumento di circa un terzo rispetto alla misurazione precedente del 2017.

Moltissime delle casse municipali delle più grandi città americane, secondo l’organizzazione no profit Truth in Accounting, in collaborazione con l’Università di Denver, sono indebitate a causa della voragine finanziaria determinata dalle spese sanitarie del sistema pensionistico (Fonte: https://www.truthinaccounting.org/news/detail/financial-state-of-the-union-2025).

Dai costi dell’assistenza sanitaria per il trattamento dell’overdose, alle spese per contrastare il traffico di fentanyl e simili, a quelle del sistema della giustizia penale, alla perdita di produttività in termini di forza lavoro (decessi ma anche conseguenze da overdose, ecc.) e altro ancora, tutto ha inciso in maniera significativa sulle casse del Governo e delle città a stelle e strisce (Fonte: Fentanyl and the US opioid epidemic. https://www.cfr.org/backgrounder/fentanyl-and-us-opioid-epidemic#chapter-title-0-4).

Le grandi realtà urbane americane si spopolano, o forse sarebbe più appropriato dire che si spopolano le zone centrali delle metropoli. Basti pensare che il numero degli abitanti della California, tra il 1980 e il 2015, anche in ragione dello sviluppo della Silicon Valley, è passato da 23,8 milioni a circa 39 milioni e che oggi San Francisco vive il fenomeno del doom loop – già conosciuto da altre realtà come Detroit o Philadelphia -, ossia una spirale disastrosa fatta di deindustrializzazione, aumento del costo della vita, degli affitti, del numero dei senzatetto e degli eventi climatici avversi.

Per ciò che riguarda l’edilizia, non sono state create nuove abitazioni nel tempo, determinando pesanti rincari in termini di affitti e tutto ciò per l’opposizione dei già residenti in alcune aree, timorosi di vedere i propri immobili deprezzati – NIMB, not in my backyard, non nel mio giardino.

Impraticabile l’acquisto, oneroso l’affitto, in netto rialzo ormai da anni il tasso di disoccupazione sono nate vere e proprie tendopoli forti anche della sentenza della Corte d’appello federale del 2018 che impone alle amministrazioni cittadine il divieto di sfrattare le persone dalle strade senza offrire loro un’altra soluzione, sebbene una sentenza della Corte Suprema, nel giugno del 2024, abbia stabilito che i divieti di dormire all’aperto non violano l’ottavo emendamento, praticamente vietando alle persone senzatetto di dormire all’aperto.

È evidente che a fronte del 33% dell’incremento dei senzatetto negli ultimi quattro anni negli Usa, urgono risposte che al momento vanno dal sistema di accoglienza della città di New York dove le persone senzatetto possono trovare rifugio in strutture predisposte dal governo locale, alla California che non fornisce soluzioni analoghe, nonostante le 180.000 persone senzatetto secondo le stime del 2024 del New York Times.

Se l’americano medio tende verso le periferie dalle villette a schiera, percepite come più vivibili e meno pericolose (oltre che massicciamente videosservate), l’americano indigente – e non di rado consumatore di sostanze stupefacenti – si rifugia nel centro, corroborando l’idea del degrado e concretizzando una marginalità urbanisticamente all’inverso rispetto a ciò a cui la storia ci ha abituati.

Da una parte gli spazi ipersensibili delle classi agiate che, come scriveva il sociologo Bauman, «hanno un solo scopo: ritagliare enclave extraterritoriali nella continuità dello spazio urbano, erigere fortezze in miniatura al cui interno i membri dell’élite globale sovra territoriale possano coltivare e godere indipendenza fisica e isolamento spirituale dai luoghi.» (2018, pp.45-46)

Dall’altra quelli delle esistenze disordinate (Rossi, 2012), collocate ai margini del sistema sociale ed economico.

Le logiche neoliberali di produzione della marginalità e della stigmatizzazione di componenti e gruppi sociali, nonostante tutto continuano a veicolare il messaggio che non sono le città ad essere care ma le persone a guadagnare poco.

Degrado non significa solo persone che assumono droghe e che vagano inquietando chi dalle sostanze si tiene lontano. Significa abbandono, criminalità, insicurezza, prezzi che crollano, disagio sociale, disinvestimenti mirati, deprivazione culturale – Disinvestment policy – ma anche, non prima di qualche decennio, programmi di investimenti – Reinvestment strategy – riqualificazione e quasi inevitabilmente speculazioni con l’immediata conseguenza dell’allontanamento delle classi più disagiate che hanno abitato per anni quelle stesse aree verso zone circoscritte dove è possibile eluderne la presenza (Wacquant, 2016).

È qui che l’Eschatià torna dal centro cittadino alla sua allocazione consueta, la periferia.

Nella New York degli anni ’70, i quartieri di Brooklyn e Harlem, dopo anni di abbandono, microcriminalità e crollo dei valori immobiliari, sono stati oggetto di imponenti politiche di riqualificazione con investimenti privati. Ad oggi, Williamsburg, è tra i quartieri più costosi e ambiti della città. Altri analoghi esempi, sempre da riportare agli anni ’80, sono i quartieri Belleville e 19° arrondissement a Parigi o Brixton e Hackney a Londra.

Se la polis greca è stata paragonata a una società per azioni dove gli azionisti sono i cittadini stessi, nel centro di molte città a stelle e strisce sono rimasti solo gli azionisti dei centri finanziari e quanti involontariamente potrebbero fare aumentare i loro introiti con le possibili speculazioni future.

Eppure la soluzione potrebbe essere davvero nel concetto più autentico di polis, nel superamento delle logiche ultra-capitalistiche, nella rivisitazione della figura del cittadino e della rete solidale, nelle politiche come l’affordable housing (edilizia accessibile), nello sviluppo di competenze e di infrastrutture territoriali da condividere in comunità, favorendo il radicamento della stessa a fronte della gentrificazione sempre più diffusa e dell’indebitamento predatorio, nonché in un welfare forte ad accesso diretto.

Ad oggi invece l’Eschatià si sposta in centro giusto il tempo di tornare ad essere periferia, frontiera, margine in ragione dell’ennesimo approccio espulsivo perpetuato a danno di chi per dirla alla maniera d’oltreoceano guadagna troppo poco… ma purtroppo consuma tante sostanze.

Nelle realtà italiane, molti centri storici sono stati già depurati con la creazione apparentemente spontanea di luoghi dell’indigenza e del consumo.

Quasi in concomitanza con l’Expo di Milano (2015), il bosco di Rogoredo – noto come il bosco della droga -, a otto fermate di metropolitana da Corso Vittorio Emanuele II, ne è l’esempio più evidente e conosciuto. In molti si chiedono perché le forze dell’ordine non intervengano con azioni di repressione sino al definitivo (?) smantellamento. Realisticamente, qualche anno addietro, il tentativo di riqualificazione della zona ha solo spostato molti frequentatori lungo i binari, nella zona di via Sant’Arialdo, nulla di più.

Si chiamano zone di contenimento, «aree urbane socialmente indefinite» (Le Breton 2016, p.82) – più facilmente declinabili come terre di nessuno – tenute debitamente a distanza, ma osservate morbosamente attraverso i reportage giornalistici (Rossi 2006).

A ben guardare e ai più, potrebbe anche andare bene così: lontano dagli occhi, lontano dal centro nevralgico delle attività cittadine, lontano dalle urgenze politiche.

 

 

 

Bibliografia

 

Bauman, Z. (2018), Città di paure, città di speranze, Roma: Castelvecchi

Cloward, R.A. & Ohlin, L.E. (1960). Delinquency and Opportunity: A Theory of Delinquent Gangs. Free Press.

Le Breton, D. (2016), Fuggire da sé. Una tentazione contemporanea, Milano: Raffaello Cortina Editore.

Rossi, E. (2012), In disparte. Appunti per una sociologia del margine, Roma, Armando.

Wacquant, L. (2016). I reietti della città. Ghetto, Periferia, Stato. Pisa: ETS Edizioni.

[1] Era la parte più esterna del territorio che si trova lungo la fascia di confine, in genere non fortificato ma segnato da indicatori sacrali. Si ritiene che si trattasse di una sorta di terra di nessuno indivisa e non coltivata, destinata al pascolo pubblico e al legnatico. L’idea della sua inferiorità qualitativa affonda le sue radici nel pensiero aristocratico secondo cui la vita politica si svolgeva nel centro urbano e la vita fuori da esso appariva indegna di essere vissuta. In realtà recenti studi sottolineano che l’interpretazione del termine eschatià non può essere così rigidamente univoca, rimandando certamente a una posizione decentrata, ma non necessariamente legata al confine (Fonte: https://it.wikipedia.org/wiki/Polis)

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