
Geopolitica
Io sparo a te, bang bang, tu spari a me
Non sono una storica, quindi posso solo fare della fantastoria per rispondere alla domanda che oggi ci stiamo facendo tutti: perché dopo quasi 80 anni di pace, segnati dalla guerra fredda, certamente, che però calda non fu, oggi scoppia una guerra al giorno, e quelle che sono aperte non riescono a chiudersi, come nel caso dell’Ucraina?
Siamo tutti orfani delle teorie di Fukuyama sulla Fine della storia, libro pubblicato nel 1992, secondo il quale la diffusione della democrazia liberale e del capitalismo nelle principali aree del mondo avrebbe portato alla fine della lotta tra ideologie come il fascismo, il comunismo e la democrazia liberale, perché quest’ultima avrebbe definitivamente vinto su tutte le altre. Chi vorrebbe vivere in un paese comunista o autoritario, dove gli vengono negate le più elementari libertà, quando invece il capitalismo globalizzato garantisce prosperità, ricchezza e libertà?
Il libro di Fukuyama esce infatti quando la globalizzazione (dei mercati) è agli esordi, ma l’integrazione tra le economie mondiali sta già muovendo i primi passi. Con l’ingresso della Cina nell’OMC (ex GATT), Organizzazione Mondiale del Commercio, nel 2001, si formalizza quanto è già in corso da almeno un decennio: le imprese capitalistiche occidentali stanno spostando le loro “fabbriche” in Cina e nei paesi dove la mano d’opera costa di meno – “delocalizzano” – e inondano l’Occidente di prodotti ad alto e basso valore aggiunto, tutti a basso prezzo rispetto a quanto costerebbero se prodotti nei paesi occidentali.
Comprarsi un paio di jeans o uno dei primi cellulari capaci solo di fare telefonate e spedire SMS costa finalmente pochissimo, e si direbbe che tutte le grandi potenze mondiali, Cina e Russia comprese (la Russia entra nell’OMC nel 2012, dopo lunghe trattative), abbiano un solo e grande desiderio: commerciare pacificamente tra loro. Con il risultato che le catene di approvvigionamento, produzione e distribuzione diventano globali, ovvero i beni e i servizi vengono prodotti e distribuiti grazie alla collaborazione tra paesi diversi, che non si fanno più la guerra, ma si specializzano nei vari segmenti della catena della produzione del valore.
Non possiamo negare che i primi anni della globalizzazione siano stati anni di pace, di fine della storia, perché la specializzazione porta all’abbassamento dei prezzi dei prodotti di consumo e a felicissime ondate di “consumismo” (che comincia ad apparire proprio in quegli anni), anche se si cominciano a intravedere i risultati negativi sui lavoratori occidentali, che spendono meno per i beni che acquistano, ma che però cominciano a perdere lentamente i loro lavori (soprattutto nei settori a basso valore aggiunto) perché le multinazionali trasferiscono i mezzi di produzione dove la forza di lavoro costa meno.
Scopriamo così che il prezzo della globalizzazione viene pagato dai lavoratori che appartengono ai settori a basso valore aggiunto che, sì, potranno comprarsi un cellulare, ma cominceranno a trovarsi senza lavoro, perché la loro fabbrica è stata trasferita in paesi dove un operaio costa la metà di quello che costano loro. Come conseguenza di questo fenomeno, cominciano a formarsi partiti populisti, in genere con un orientamento destrorso, che raccolgono i voti degli esclusi dal mondo dei lavori meno qualificati (i famosi abitanti delle periferie) che danno alle élite la colpa della globalizzazione.
Non si può infatti negare che i partiti progressisti abbiamo spesso al loro interno i rappresentanti di quel mondo economico favorevole all’apertura delle frontiere che permette non solo di esportare i mezzi di produzione (le fabbriche, le macchine) e poi di importare beni di consumo a prezzi calmierati, ma i partiti progressisti vengono anche accusati di voler favorire l’immigrazione di forza lavoro straniera, che ha un effetto negativo sul prezzo della forza lavoro interna.
Se i capitalisti possono importare lavoratori che costano meno dei nazionali, la remunerazione dei nazionali non aumenterà e questi ultimi saranno costretti a convivere in fabbrica e in periferia con popoli di etnia diversa, verso i quali dimostreranno sentimenti di odio e avversione. Sentimenti sfruttati dai partiti populisti che oggi cercano i voti degli espulsi dal mondo del lavoro e di chi si ritrova a vivere in periferie degradate, in diretta conseguenza del fatto che i lavoratori stranieri vengono pagati di meno e non si possono permettere di partecipare alle spese di manutenzione degli edifici in cui abitano.
I partiti progressisti, in genere favorevoli all’immigrazione anche perché vicini agli ideali egualitari della sinistra e dei cattolici e quindi per motivazioni di tipo etico (l’avversione al razzismo, eccetera) perdono consenso perchè identificati come una delle “cause” della perdita di status dei lavoratori poveri, che si sentono (a ragione) dimenticati in periferie degradate e poco vivibili.
Scopriamo così che il capitalismo liberale che avrebbe dovuto esportare democrazia e libertà in tutto il mondo ha prodotto invece l’esatto contrario: l’esplosione di movimenti politici di destra che hanno sostituito gli ideali di pace e fraternità della fine del secolo scorso con nazionalismi aggressivi e ideologie autoritarie.
A questo punto, come fantastorica, riesco ancora a giustificare l’elezione di un personaggio come Trump in America, o come Meloni in Italia, ma ammetto che esiste una correlazione più debole (anche se positiva) tra l’apparire sulla scena mondiale di personaggi simili e lo scoppio di guerre come quelle dell’aggressione della Russia all’Ucraina e adesso quella di Israele, dopo l’attacco di di Hamas, contro Hamas stessa, i Palestinesi in generale, Hezbollah e ora anche l’Iran.
Il soft power delle buone relazioni commerciali, dove l’obiettivo (delle corporation, ma non dei cittadini) era tenere bene oliate le catene mondiali della produzione di valore, è ormai stato rimpiazzato dall’hard power della guerra. Guerra che oggi è anche interna anche agli Stati Uniti, dove si intravedono i primi segnali di una guerra civile o quantomeno il tentativo di imporre misure d’ordine contro cui la popolazione si sta ribellando. Ma stiamo assistendo anche ai possibili movimenti prodromici di una guerra mondiale, nel senso che le guerre che si stanno sviluppando ormai quotidianamente cominciano a interessare player mondiali, e non locali.
Personaggi come Trump hanno ormai definitivamente abbandonato l’idea di utilizzare degli strumenti di soft power (che comprendono anche la diplomazia e la mediazione politica) per passare direttamente a minacciare una potenza straniera, in questo caso l’Iran, che tiene prigionieri i suoi cittadini, e che Trump potrebbe attaccare, secondo quanto appena dichiarato, al posto di Israele, per far vedere chi è l’uomo (lui…) che controlla i destini del mondo.
Nella speranza che non scoppi la Terza Guerra Mondiale, devo notare, non solo come fantastorica ma adesso anche come fantapsicologa che gli attuali disastri sono combinati da vecchi maschi, desiderevoli di mostrare la loro potenza (perduta, si capisce a cosa mi sto riferendo…) usando le bombe: la mia è più grossa della tua.
Ridicoli ma pericolosi distruttori di umanità.
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