Geopolitica

La guerra e il solido nulla

23 Giugno 2025

Proviamo un sentimento di impotenza oggettiva, data dal non riuscire a contenere le politiche di forza degli stati con gli attuali strumenti del diritto internazionale e delle sue istituzioni. L’idealismo disarmato è inerme, incapsulato in continui appelli di piazza, appelli per loro natura incapaci di incidere sulla dura realtà di stati che si muovono, secondo una logica di primordiale volontà di potenza che normalizza la violenza e l’orrore e ne assorbe il significato. Perché mediare presupporrebbe avere un ruolo riconosciuto, potere e proposte che abbiano la forza politica di poter essere attuate, inutile dirsi per la trattativa per principio o per retorica. Per questo l’ Europa è impotente. Perché non riesce a farsi potenza. Non ha una proiezione esterna, di cui una politica di difesa è il presupposto. Solo il Vaticano, il Papato , riusciva ancora ad esserlo. Ora, forse, non più.

Mentre in Ucraina, l’Unione Europea, con assetti più solidi che ancora non ha, potrebbe avere un peso specifico significativo, in Medio Oriente non ne ha alcuno: al di fuori degli attori regionali, l’unico ad avere voce in capitolo sono gli Usa. Il loro azzardato intervento diretto,  che cambia gli scenari ma i cui effetti sul campo non sappiamo valutare, sicuramente avrà invece come effetto e contropartita quello di legittimare a posteriore il militarismo putiniano e l’invasione dell’Ucraina ieri, una nuova reazione iraniana e dei suoi proxy terroristi oggi e l’ interventismo cinese domani , secondo una visione anticipata di spartizione di spazi imperiali.

Perché appare evidente che finito o in sonno il diritto internazionale conosciuto, l’unico criterio generale ,per rivendicare e legittimare il potere, rimane solo quello di un diritto storico ancestrale , del suolo, del sangue , in un ciclo continuo di guerra e ritorsioni. Un tempo della storia nel quale ognuno, indipendentemente dalla sua natura politica, democrazie o regimi autoritari, si sentirà ormai legittimato ed autorizzato a competere e intervenire militarmente se crederà di averne la forza. Una storia che lungi dall’essere una traiettoria progressiva, si rivela uno scontro dove le potenze ridefiniscono la propria essenza nella contrapposizione, mosse da interessi che travalica ogni confine etico.

L’idea di un “mondo capovolto”, dove la vittima è umiliata e colpevolizzata e il carnefice ossequiato, è una ferita aperta nella coscienza collettiva . L’architettura istituzionale post-bellica, eretta a garanzia di un’era di cooperazione, si manifesta oggi nella sua disaggregazione strutturale. L’ONU, e le varie istituzioni simboli di un multilateralismo ambizioso, appaiono come residui di un’epoca conclusa, incapaci di contenere la re-legittimazione dell’uso della forza come strumento primario di risoluzione delle controversie.

Eppure, se e quando le polveri si saranno posate sul terreno, dovremo ricominciare da qui, dal rilegittimare le Nazioni Unite dal pensare dei soggetti terzi dotati di poteri in grado di far valere le decisioni, i pacta sunt servanda ,il rispetto dei limiti, l’ inviolabilità della sovranità di una comunità statuale. L’obiettivo, se non potrà  essere quella di eliminare la guerra, almeno quello di regolarla, cercando di far applicare il diritto umanitario, nella consapevolezza che tali sforzi rappresentano solo una minima tutela, in un contesto di anarchia risorgente  e di violenza endemica.

La rapida  successione di eventi storici ha annullato un’intera epoca, mettendo in discussione il destino di una civiltà giuridica e la necessità di una sua rifondazione. Esiste tuttavia ancora uno scarto irriducibile negli uomini, dove si annidano paure, speranze e nonostante la percezione di un’anima oscura che avvolge la nostra storia , l’uomo è ancora qui e le comunità sono chiamate ad affrontare il male e a cercare soluzioni. Non si tratta di continuare a condannare, con ripetizioni nevrotiche, ma di agire, di contenere i conflitti definendoli, di comprendere le dinamiche di forza che modellano le azioni della politica degli stati e di operare per un futuro in cui la la diplomazia e la coesistenza di stati e comunità politiche anche se imperfette siano ancora possibili.

Il  solido nulla

In questi giorni di solstizio d’estate , guardo le immagini provenienti dai satelliti e dai telescopi, il nostro emisfero appare in piena luce: una goccia blu che vaga nello spazio dove, senza l’effetto dell’atmosfera che scompone i raggi solari, il cielo appare per quello che è, nero, e la vera luce del sole bianca e nel vuoto le onde sonore non si propagano. Pensiamoci. All’opposto del rumore, del furore assordante che proviene dalle azioni distruttive dell’uomo, lo spazio è pieno di silenzio.

Noi , come diceva Stephen Hawking, “siamo una specie di scimmia evoluta, apparsa su un piccolo pianeta di una stella di media grandezza”. Siamo un punto microscopico di un braccio periferico, quello di Orione, di una galassia a spirale che ha un diametro di circa 100 mila anni luce e contiene circa 100 miliardi di stelle e milioni di sistemi planetari. Siamo distanti 28mila anni luce dal centro della via lattea, parte di un’ammasso galattico che ne contiene altri miliardi e cosi via, fino all’estremo limite dell’universo conosciuto, nato 14 miliardi di anni fa, per una imprevista fluttuazione quantica del vuoto. Un sistema dove fra un miliardo di anni, probabilmente, scompariremo seguendo il destino del nostro sole.

Eppure “considerando e sentendo che tutto è nulla, un solido nulla ” di cui parlava Giacomo Leopardi, nonostante questa consapevolezza di fragilità che dovrebbe ispirarci, interconnessione e una profonda cura per la nostra casa e per noi stessi, la nostra volontà di potenza e dominio, un delirio di invincibilità eterna, la coazione a ripetere errori e azioni distruttive e autodistruttive spinti da una freudiana pulsione di morte, appare prevalente e ci sfianca.

Non è una questione di mancanza di conoscenza; i dati sono chiari. È una questione di volontà, di etica, e forse di una patologia collettiva di cui non troviamo ancora la cura. Sembra che l’umanità, nella sua corsa al dominio, stia deliberatamente ignorando il proprio destino. Questo quadro è comunque incredibilmente potente, perché pur essendo così piccoli, siamo in grado di comprendere e descrivere questa vasta scala cosmica, siamo in grado di porci domande sull’universo, sulle sue origini, su di noi, sulla nostra storia, sul nostro posto al suo interno. La sfida rimane e risiederà nel capire come potremo invertire una rotta che ci sta portando alla deriva. Come far sì che le nostra capacità e la nostra consapevolezza si traducano in responsabilità e azioni concrete per un futuro comune.

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