Medio Oriente

Gli alberi parlano, raccontando una storia altra

Paola Caridi ci racconta le storie degli alberi più simbolici del Medio Oriente e del Mediterraneo, e di coloro che in quelle terre vivono.

14 Novembre 2025

 

Paola Caridi - Feltrinelli Editore

 

Esistono modi diversi per avvicinarsi al conflitto israelo-palestinese: Paola Caridi ha optato per una visione decisamente originale nel suo volume Il gelso di Gerusalemme. L’altra storia raccontata dagli alberi, pubblicato lo scorso anno da Feltrinelli. L’autrice, nata a Roma nel 1961, è giornalista freelance e storica del Medio Oriente e del Nord Africa. È stata a lungo corrispondente dal Cairo e da Gerusalemme per l’Associazione Lettera22, di cui oggi è presidente; ha pubblicato diversi libri sulle società arabe e ottenuto numerosi premi e riconoscimenti, tra cui l’onorificenza di Cavaliere della Stella della Solidarietà Italiana, ordine presieduto dal Presidente della Repubblica. Il suo combattivo blog https://www.invisiblearabs.com è tra i più seguiti e aggiornati sulle vicende dei conflitti medio-orientali, con un’attenzione particolare all’Islam politico in Palestina ed Egitto. Nata in una famiglia contadina di origini marchigiane, ha passato le domeniche dell’infanzia nel casolare agricolo dei nonni al quartiere della Balduina, accanto a Monte Ciocci: deve appunto alla vita di campagna, e alla conoscenza dei vecchi mercati alimentari della periferia romana, la sua affettuosa cura del rapporto tra umano e non umano, tra ambienti popolari e habitat naturale.

La storia non è fatta solo delle vicende delle persone, e non è tracciabile solo nelle fonti scritte: forse è tempo di “toglierci dal centro del palcoscenico… metterci, noi umani, quanto più ai margini”, lasciando parlare “tutto il resto oltre noi”. Gli alberi, in particolare. Nel caso di Paola Caridi, è stato un gelso centenario dalle more rosse a offrirle lo spunto per affrontare le sofferte vicende orientali dal punto di vista della natura. L’aveva lasciato frondoso davanti al palazzo di quattro piani in cui aveva vissuto a Gerusalemme dieci anni prima, e ora lo ritrovava ridotto a un moncone, amputato da mano ignota, ma ancora vivo nelle radici. Forse abbattuto perché sporcava, con le sue more cadute a terra, la pavimentazione del cortile nel quartiere palestinese di Musrara, collocato nella zona israeliana di Gerusalemme.

Il gelso di Gerusalemme. L'altra storia raccontata dagli alberi - Paola Caridi - copertina

Il gelso viene considerato un albero d’affezione, senz’altro diffuso nel panorama locale, ma privo dell’importanza che si dà ai suoi confratelli: il leccio, l’ulivo, la palma, il carrubo, gli aranci, i mandorli, il sicomoro. Tutti “testimoni di passaggi cruciali della storia del mondo”, e di una trasformazione implacabile e ingiusta che ha stravolto il paesaggio, con lo sfruttamento dei campi, le devastazioni belliche, lo stravolgimento dei confini. Testimoni che hanno sempre avuto la funzione di “lari” protettivi della comunità in cui sono inseriti, simbolo di riconoscimento, centro di raduni, ombelichi di sacralità, offerta di accoglienza sotto le proprie chiome. Alberi-piazza, come le migliaia di sicomori che popolavano Gaza, citati dall’Antico Testamento, dai Vangeli e dall’Apocalisse, adorati in Kenya per millenni come divinità della creazione e della vita. Il sicomoro è stato in Palestina un albero pubblico, rifugio per i viaggiatori e per i pellegrini cristiani che facevano tappa verso i luoghi santi di Israele; albero condiviso, dei cui fichi tutti potevano nutrirsi, sotto il cui fogliame giocavano i bambini, le donne ricamavano, i maestri facevano lezione, i vecchi narravano storie; albero che offriva la sua ombra ai maquam (seicento piccoli santuari che punteggiavano l’intera Striscia) e il suo legno per le casse dei morti. Le piazze dei villaggi venivano costruite intorno a un singolo esemplare, che diventava un vero membro della famiglia, oggetto di venerazione e rispetto. Anche il leccio e la quercia (ballout, in arabo) godevano di uguale considerazione, ma è proprio il sicomoro l’albero simbolo di Gaza, protagonista di un tempo più lungo della vita individuale degli umani. Come scrive nei suoi versi il poeta Mahmoud Darwish: “Le mie braccia cresceranno lungo un albero di sicomoro / Il mio cuore getterà la sua acqua di terra su uno dei pianeti / Come potrei essere da morto dopo la mia morte? / Cosa potrei essere da morto prima della mia morte?” Eppure oggi questa pianta sacra è scomparsa, annientata dalla cementificazione e dalle bombe: un ecocidio che ha distrutto il 70% della vegetazione in Palestina.

Il volume di Paola Caridi li cita uno a uno, gli alberi che hanno reso il Medio Oriente verde e fruttifero, frondoso e rinfrescante, ma anche preda di sfruttamento economico e militare: gli aranceti di Jaffa con la pregiata varietà del frutto shamaouti, ambita dai mercati mondiali; i pini che costeggiano l’autostrada da Tel Aviv a Gerusalemme, piantati dal Jewish National Fund  con una precisa strategia di appropriazione della terra e rimodulazione del paesaggio, nei cui boschi si nascondono i carrarmati; gli ulivi tra Betlemme e Ramallah, cancellati dalla costruzione di barriere murarie; i gelsi, divenuti monocultura in Libano per approvvigionare l’industria serica francese, e responsabili dell’inedia della popolazione nei primo ’900; i fichi d’India che invadono l’isola di Lifta. Gli alberi possono anche diventare simboli di resistenza al potere oppressivo: i platani nel parco di Gezi a Instanbul, in cui si radunano gli oppositori di Erdogan; il quartiere di Heliopolis al Cairo, sacrificato da al-Sisi per far posto a viadotti, ponti e autostrade… E  ovunque, là dove il colonialismo botanico ha imposto le sue motivazioni e finalità economiche sulla diversità di morfologie vivaci, talvolta felicemente caotiche, offerte dalla natura.

 

PAOLA CARIDI, IL GELSO DI GERUSALEMME. L’ALTRA STORIA RACCONTATA DAGLI ALBERI – FELTRINELLI, MILANO 2024. Pagine 160

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