
Medio Oriente
Il criminale e la religione
Credo che l’eccidio di Gaza sia tale da ridimensionare tutto e tutti. Ogni cosa, in questo frangente, di fronte al dolore luttuoso della strage dei palestinesi assume scarso valore e peso specifico. In un mondo dove degli Stati criminali, e Israele è uno di questi, fanno l’elenco degli “Stati carogna”, di quei paesi, cioè, che non si adeguano al potere e all’influenza politica dei primi, si è cercato, assurdamente, di far passare il genocidio di un popolo come una regolare prassi di riassetto geografico, necessaria a ridisegnare i confini di uno stato sovranista. In barba al Diritto Internazionale che regola la vita delle nazioni e in spregio a ogni principio etico e alla stessa religione ebraica, il criminale Netanyahu ha agito indisturbato per perpetrare la più turpe e disonorevole devastazione di un territorio e della popolazione civile che lo abita, rendendosi responsabile di un etnocidio che rientra tra i più efferati della storia. Credo anche che abbiamo bisogno, ora più che mai, di saper distinguere tra sionismo ed ebraismo, ricordando che in origine il giudaismo riconosceva e includeva le differenze, adottando senza remore un autentico criterio di universalismo. Naturalmente, oggi, un simile atteggiamento ideologico risulta del tutto estraneo alle politiche del governo d’Israele, che chiede espressamente sostegno alla sua violenta azione devastatrice per evitare un’altra Shoah, lasciando intendere, in maniera fraudolenta, che non sostenere Israele voglia dire rinnegare il legame con l’ebraismo. Resto turbato di fronte alle manifestazioni di antisemitismo, mentre la deresponsabilizzazione di Israele per la strage dei palestinesi mi procura molta nausea. Israelizzare l’ebraismo, se mi è consentita questa espressione, al fine di distinguere gli ebrei nel grado di sostenitori del governo israeliano più che nell’osservanza religiosa e nel rispetto di tradizioni millenarie, appare come una subdola operazione di propaganda nazionalista, tendente a giustificare qualsiasi cosa lo stato di Israele commetta e finanche a vederla come “cosa buona e giusta”.
Non credo affatto, invece, che il sostegno senza riserve alla volontà di Netaniahu possa diventare un fondamento su cui basare l’identità ebraica. E l’equivoco, che disattende la stessa religione, ha la possibilità di essere alimentato almeno fino a quando a scrivere e a parlare dello sterminio di Gaza, sui giornali e nei nei talk, saranno fini pensatori da considerarsi alla stregua di Italo Bocchino, definito, come riportano le cronache, “uomo di cacca” dalla perspicace Rula Jebreal. Si aggiunga che, in Italia, nessuna istituzione ebraica è riuscita ad ammettere che Israele sia responsabile della morte di oltre 60.000mila palestinesi. Si preferisce optare per una linea di narrazione che arriva a respingere ogni giudizio critico nei confronti della indegna condotta militare dell’esercito israeliano a Gaza e in Cisgiordania, tacciando di ignoranza e antisemitismo chiunque si spenda in difesa di una pace permanente in Medioriente. Va da sé che un simile pregiudizio conservi qualcosa di disarmante e d’inquietante. Sappiamo bene, però, che l’ebreo non è necessariamente un filo-israeliano e un sionista, e che non si può essere incolpati di antisemitismo, o di appoggiare l’azione terroristica di Hamas se si è contrari alla strategia di morte sostenuta da Israele, tanto più che diversi ebrei, come per esempio Gad Lerner (che per “Feltrinelli” ha scritto di recente Gaza: Odio e amore per Israele), criticano magistralmente e sapientemente l’operato di Netanyahu, per il quale spicca un mandato di arresto emesso dalla Corte Penale Internazionale, con sede all’Aia, in Olanda.
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