
Medio Oriente
Gaza, lo scrittore David Grossman: «Con il cuore spezzato devo constatare che è genocidio»
In un’intervista a Repubblica Grossman ammette: «Per anni ho rifiutato di utilizzare questa parola: “genocidio”. Ma adesso non posso trattenermi dall’usarla dopo quello che ho letto, dopo le immagini, e dopo aver parlato con persone che sono state lì»
In un’intervista intensa e sofferta, concessa a Francesca Caferri per il quotidiano la Repubblica, lo scrittore israeliano David Grossman riflette sulla guerra a Gaza, sulla crisi morale che scuote Israele, e sull’eredità devastante dell’Occupazione. Le sue parole, segnate da un dolore lucido, disegnano un bilancio amaro ma necessario, alimentato da un senso di urgenza: «Sento l’urgenza interiore di fare la cosa giusta, e questo è il momento per farla», afferma, spiegando perché ha scelto di parlare.
Genocidio: «Una parola valanga»
Grossman non elude la parola che più sconvolge l’opinione pubblica: “genocidio”. Dopo anni in cui l’ha rifiutata, ora ammette con franchezza:
«Per anni ho rifiutato di utilizzare questa parola. Ma adesso non posso trattenermi… dopo quello che ho letto sui giornali, dopo le immagini che ho visto e dopo aver parlato con persone che sono state lì».
Non si tratta, spiega, di una definizione legale:
«Voglio parlare come un essere umano che è nato dentro questo conflitto. E ora, con immenso dolore e con il cuore spezzato, devo constatare che sta accadendo di fronte ai miei occhi. “Genocidio”. È una parola valanga: una volta che la pronunci, non fa che crescere».
E denuncia con forza la deriva identitaria del Paese:
«L’Occupazione ci ha corrotto. Io sono assolutamente convinto del fatto che la maledizione di Israele sia nata con l’Occupazione dei territori palestinesi nel 1967».
Gaza, potere e responsabilità: «Siamo stati travolti dal nostro stesso potere»
Grossman descrive Gaza come uno spazio tragico di occasioni perdute e violenza reciproca. Pur ricordando che Israele lasciò Gaza perché non era in grado di proteggere i propri cittadini, sottolinea anche:
«Il grande errore dei palestinesi sta nel fatto che avrebbero potuto trasformarla in un luogo fiorente: invece l’hanno usata come rampa di lancio per i missili. Se avessero fatto l’altra scelta, magari Israele avrebbe ceduto anche la Cisgiordania».
Eppure, il potere militare ha travolto anche Israele stesso:
«Siamo diventati molto forti dal punto di vista militare e siamo caduti nella tentazione generata dal nostro potere assoluto e dall’idea che possiamo fare tutto».
Paura, silenzio e resa morale
L’intervista affronta anche il silenzio della società israeliana, incapace – salvo una minoranza – di sollevarsi contro la guerra:
«Perché non vedere è più facile. E arrendersi alla paura e all’odio è semplicissimo. Ancora di più dopo il 7 ottobre… Tante persone che conosco hanno ceduto alla paura e improvvisamente la loro vita è diventata più facile».
Ma, avverte, questa resa interiore ha un prezzo alto:
«Più cedi alla paura, più sei isolato e odiato al di fuori di Israele. L’isolamento cresce e ti ritrovi in una trappola sempre più profonda».
Due Stati e riconoscimento internazionale
Grossman ribadisce la necessità della soluzione a due Stati, pur riconoscendo le enormi difficoltà pratiche:
«Resto disperatamente fedele all’idea dei due Stati, principalmente perché non vedo alternative… Ma non c’è un altro piano».
Appoggia inoltre il riconoscimento dello Stato palestinese proposto da Macron:
«Credo sia una buona idea. Magari avere a che fare con uno Stato vero, con obblighi reali, avrà i suoi vantaggi».
Il ruolo degli intellettuali: «Il nostro cuore è nel posto giusto»
A chi accusa gli intellettuali israeliani di non aver fatto abbastanza, Grossman risponde con amarezza:
«Prendere di mira chi ha combattuto l’Occupazione per 70 anni è ingiusto. Quando è iniziata questa guerra eravamo in un totale stato di disperazione… Ci abbiamo messo del tempo a trovare le parole per dirlo».
E conclude con una nota di umanità profonda:
«Il nostro cuore è nel posto giusto: e batte in una realtà che è senza cuore».
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