L'aggressione agi ebrei in Italia e in Europa ha portato molti ebrei e non a indossare la kippah in segno di solidarietà

Medio Oriente

La Kippah

L’opinione pubblica assiste impotente da anni a guerre totali.Il tono esacerbato del dibattito su Gaza, l’impunita’ dei crimini commessi dall’esercito israeliano, il silenzio sulle responsabilità di Hamas, alimentano il riemergere dell’accusa di colpa collettiva contro gli ebrei.

30 Luglio 2025

Gli episodi di aggressione, una sorta di caccia ai cittadini ebrei che stanno avvenendo in Italia e in Europa, sono disgustosi e inaccettabili, e temo proseguiranno. Il mondo della politica e dell’associazionismo nazionale e internazionale, quei movimenti sempre pronti a gridare alla “reazione”, al neofascismo e al razzismo a ogni stormir di fronda, a ogni parola o simbolo esposto da parte di qualcuno, dovrebbe prendere le distanze pubblicamente — con azioni conseguenti — da queste forme di odio, antisemitismo rosso, nero o bianco che sia, o comunque lo si voglia definire.

Che la causa scatenante di questi recenti episodi sia Gaza, e che l’attuale governo israeliano abbia con le sue azioni contribuito gravemente a questo clima, non giustifica nulla e non elimina alcuni dati di fatto: che non vi siano questi atteggiamenti contro i cittadini russi rispetto ai crimini commessi ogni giorno in Ucraina; che non vi siano mai state palesi violenze e discriminazioni anti-serbe o anti-ortodosse quando ci fu la mattanza di musulmani nel genocidio di Srebrenica e altri eccidi (e le guerre balcaniche durarono un decennio, non una stagione); che altre guerre con centinaia di migliaia di vittime e milioni di rifugiati — fame e carestie, una su tutte il Sudan — siano totalmente ignorate dai media e dalle opinioni pubbliche. Tutto questo dimostra che il conflitto mediorientale, la cui centralità mediatica rispetto ad altre guerre è imparagonabile, fa riemergere e riattiva nelle nostre opinioni pubbliche e nel corpo della società uno specifico odio ebraico, un odio che nessuno mai imputa invece contro altri popoli, fedi e Stati i cui governi sono coinvolti, con varie responsabilità e colpe, in altre drammatiche e sanguinose guerre contemporanee.

Il dovere della vigilanza e del confronto

Ricordo, peraltro, che in Italia, da decine di anni — non dal 7 ottobre — le sinagoghe, le scuole e altri luoghi delle comunità ebraiche sono gli unici luoghi espressione di minoranze culturali e religiose presidiati costantemente da militari a loro protezione. Un unicum inquietante, che dovrebbe far riflettere. La pubblica opinione internazionale sta assistendo impotente, da due anni, a guerre totali e massacri in diretta che turbano e impressionano. È evidente che i toni esacerbati del dibattito pubblico sulla guerra a Gaza, l’impunità dei crimini dell’esercito israeliano, il silenzio incomprensibile sulle responsabilità di Hamas, alimentano questo clima e il riemergere dell’odio e dell’accusa di colpa collettiva.

Si possono contenere e gestire le pulsioni di odio che tracimano ovunque, di fronte alle immagini di Gaza, solo se si assumono azioni e responsabilità — ovunque, ma soprattutto in democrazia. Il mondo della società civile italiana, occidentale, europea — non direttamente coinvolto nel conflitto — avrebbe dovuto tenere una posizione dialogante costante e sostenere quella parte minoritaria ma consistente della società israeliana che è contro queste guerre e l’occupazione. Cosa che non si è fatta.

Errori della società civile internazionale

Abbiamo cercato e invitato ebrei dissidenti della diaspora di ogni sorta e provenienza, tranne che sostenere e invitare quelli che stanno lì, a parte qualche scrittore famoso. Ma tu, pur consapevole del limite del nostro agire, devi parlare, anche discutere e litigare se serve, con il popolo che vive e sta nel paese e che con le sue scelte, o non scelte, ne determina le politiche. Domandiamoci: quante missioni, delegazioni e carovane della società civile estere sono mai andate a incontrare i movimenti politici israeliani, le vittime di attentati terroristici, a informarsi ed incontrare i familiari delle vittime del 7 ottobre?

Non è questione di “par condicio”, ma di dimostrare con le parole e con atti di vicinanza che le vittime civili in una guerra sono tutte uguali e meritano la stessa empatia e pietà. Altrimenti non sei credibile, la tua azione non è credibile. Questo è forse il lascito più terribile del settarismo delle guerre contemporanee, dell’apocalisse su Gaza: spingere ad assumere una gerarchia, una priorità e una scala di valori tra le vittime da onorare e ricordare.

Il dovere di costruire una politica credibile

E tutto ciò, sia chiaro, non modifica né attenua il duro giudizio su Netanyahu e i suoi accoliti reazionari e fascisti che lo appoggiano, né sull’uso strumentale dell’accusa di antisemitismo verso chi critica e si oppone al loro operato. Se invece un intero popolo, cultura, civilizzazione viene in blocco identificato con il suo governo, si determina una totale incomunicabilità e impossibilità dell’azione politica, additando una colpa collettiva da indicare e far espiare. Noi, peraltro, giudici occidentali inadeguati e immeritati, se non altro perché pesa la memoria di massacri di popoli e di feroci colonialismi secolari.

Il problema è politico, e non lo risolve l’azione umanitaria dietro cui tutti si nascondono. Occorrerebbe la forza di reindirizzare il discorso pubblico, oltre la rabbia e l’indignazione per i massacri, insistere sui testimoni di un dialogo, su un processo e su proposte che riconoscano l’esistenza delle due nazioni. Parlare con entrambe le parti, ascoltare le ragioni e i torti (anche se non ci piacciono o non siamo d’accordo), avere la forza economica e politica per implementare le proposte diplomatiche — che pure non sono mancate in passato — e insistere su un’azione di pressione anche simbolica (come quella recente di Macron e Starmer sul riconoscimento della Palestina), fino a giungere a sanzioni, se i governi non rispettano le condizioni e il diritto internazionale.

In un conflitto che non è certo nato con Hamas il 7 ottobre, ma che dura da un secolo, come società civile internazionale, aver manifestato sostegno solo alla parte palestinese — per quanto legalmente, storicamente ed eticamente comprensibile — non ha prodotto né favorito alcun risultato politico. Mentre lasciar correre e giustificare ogni sorta di contrapposizione contro il mondo israeliano ed ebraico, assumendo la buona fede di chi protesta e si indigna, finisce comunque con l’alimentare e far riemergere anche odi antichi. Occorre vigilare e reagire con fermezza, e non sottovalutare queste azioni — pur slegate fra loro — prima che, come sempre nella storia, succeda il peggio e una frana si trasformi in una valanga incontrollabile.

2 Commenti
  1. Buongiorno Mauro,

    ringrazio per l’articolo, e capisco la volontà “di rimettere la palla al centro”, per condannare in generale le barbarie del periodo… ma credo che il punto non sia centrato: la specificità del conflitto attuale Israelo-Palestinese ha una natura così complessa, che valutare la sua specificità alla luce di un “mai sopito” anti semitismo mi sembra riduttivo.

    Prendiamo alcune argomentazioni:

    _”che non vi siano questi atteggiamenti contro i cittadini russi rispetto ai crimini commessi ogni giorno in Ucraina”_ >> difficile trovare cittadini russi in Europa che apertamente sostengano l’attacco Russo come legittimo, perché sono “fuoriusciti” dal sistema russo, o comunque per loro convenienza (affari, relazioni..). Ciò nonostante, abbiamo assistito a parecchie polemiche sull’opportunità di cancellare o meno questo o quello evento culturale russo, e – fortunatamente – a moltissime manifestazioni Pro Ucraina: eppure nessuna accusa di russofobia si è levata. Perché? Perchè è facile distinguere il cittadino russo o la persona di origine russa, dal sostenitore delle politiche Putiniane (che ahimè hanno presa anche su alcuni cittadini italiani!). Discorso simile, credo, all’epoca delle guerre etniche nei Balcani.

    – “che altre guerre con centinaia di migliaia di vittime e milioni di rifugiati — fame e carestie, una su tutte il Sudan — siano totalmente ignorate dai media e dalle opinioni pubbliche” >> una guerra condotta da una potenza “occidentale”- dotata di atomica -, sostenuta apertamente dagli Stati Uniti è sicuramente, in un territorio storicamente conflittuale, qualcosa che attira l’attenzione pubblica occidentale. Non molto diversamente dalle campagne militari in Iraq e Afghanistan. Seguendo questo esempio (record di morti, = massima attenzione), dovremmo quindi disinteressarci dell’Ucraina?

    – “aver manifestato sostegno solo alla parte palestinese — per quanto legalmente, storicamente ed eticamente comprensibile — non ha prodotto né favorito alcun risultato politico.” >> una attenzione mediatica importantissima, con piena condanna delle atrocità commesse è stata massimamente e unanimamente diffusa dal 7 Ottobre fino a quando “la risposta” di uno Stato di Diritto ad un gruppo Terroristico (capillare, diffuso, sostenuto anche da altri Stati [non di diritto]) non ha iniziato a impensierire e poi angosciare moltissimi cittadini che erano profondamente in lutto dopo il 7 Ottobre.

    Queste tre argomentazioni spero diano il senso che l’equivoco “contrasto alle politiche Israeliane = antisemitsmo” può essere sì una deriva dei sostenitori della situazione Palestinese, ma è alimentato anche dall’altra parte del conflitto: i sostenitori delle politiche israeliane, appunto.

    Sicuramente (ed è intollerabile) l’antisemitismo non è mai scomparso dell’Europa, sia per ragioni antiche (paura del diverso, nostalgie abominevoli), che recenti (radicalizzazioni islamiche): attentati alle sinagoghe e svastiche sulle tombe, avvengono drammaticamente con costanza, ma non direi “sempre” con una rivendicazione filo-palestinese, anzi.

    Pensare che il sostegno alla situazione palestinese produca “sistematicamente” antisemitsmo (e viceversa) credo sia una semplificazione che aggrava il dibattito, senza farlo proseguire.

    Anche perchè, subito dopo, si torna alla “conta delle atrocità” tra 7 Ottobre e Occupazione di Gaza, e poi via via, indietro fino alla nascita di Israele, e l’Olocausto…

    Ma il fatto che oggi scuote le coscienze di moltissimi cittadini per nulla antisemiti (e la cosa è “plasticamente visibile” quando gli stessi israeliti o cittadini israeliani dissentono dalle politiche Israeliani attuali) è la spaventosa macchina del terrore di uno Stato di Diritto, che non accenna a placarsi, senza alcun interesse a distinguere il “colpevole” del 7 Ottobre dal palestinese innocente. Questo sì che spaventa: questo sì che crea l’indignazione di essere di fronte ad un genocidio, e quindi che chiama all’azione.

    Per qualcuno, forse, l’azione è la via più stupida e ingiusta: l’antisemitismo.
    Ma per molti è il puro e semplice contrasto o dissenso alle politiche Israeliane.

    Ribadisco: capisco il senso de voler rimettere “la palla in mezzo”, ma bisogna anche capire dove si trova il centrocampo, un centrocampo che ogni giorno slitta con preoccupazione verso il giudizio di genocidio: https://www.glistatigenerali.com/esteri/medio-oriente/per-la-prima-volta-anche-due-ong-israeliane-parlano-di-genocidio-a-gaza/

    Grazie per il confronto, con cordialità e con la speranza di far progredire il dibattito, e se possibile migliorare di pochissimo la situazione.

    Michele Cremonesi

    1. Caro Michele ringrazio per le attenzione e gli spunti critici , mi permetto di focalizzarmi su alcuni aspetti
      L’antisemitismo ha radice profonde e storiche nella società occidentali che si uniscono ad altre paure latenti , capri espiatori , stereotipi verso altre componenti ma che si traducono , rispetto al modo ebraico, in un evidenza fattuale incontestabile :
      solo i luoghi delle comunità ebraiche soprattutto in occidente e nelle democrazie, sono oggetto da sempre di forme di controllo presidi militari e di sicurezza a loro tutela , che non esistono verso nessuna altre minoranza culturale e religiosa, sintomo di una persecuzione e violenze che , se hanno preso nuove forme e modi , non sono mai venute meno, nonostante l’orrore e lo scandalo della shoah e sui cui bisognerebbe trovare altri tempi e luoghi da approfondirne le ragioni sociali culturali politiche e storiche

      su questa ferita mai curata si sino inserite successivamente le lacerazioni determinate dalla guerre israelopalestinesi, Che a tutto ciò contribuiscano oggi in maniera determinate le politiche del governo di tel aviv e la progressiva radicalizzazione, deriva fascista e razzista che si sono fatte scudo dell’antisemitismo contro chi li criticava, per perseguire con la loro macchina del terrore come hai scritto , i loro obiettivi di pulizia etnica e ,con grave discredito dell’immagine di Israele nel mondo è altrettanto evidente e non sarò certo io a negarlo. E ad esso ha sicuramente contribuito l’inazione della comunità internazionale, la sostanziale impunità di crimini dell’Idf, la tolleranza di fatto dell’occupazione militare illegale dei Territori.

      Tuttavia di tutti gravi conflitti contemporanei che hanno suscitato sgomento e attenzione nelle opinioni pubbliche ( di cui io ho memoria diretta da adulto a partire dagli anni 80 ) , solo verso il mondo ebraico si è sempre manifestato questa forma di ” essenzializzazione ” direbbero in sociologia , confondendo identità e cultura, riducendo ad un unum stato governo popolo e religione
      l’esercizio di una sorta di colpa collettiva da imputare agli ebrei o di cui gli ebrei , per dimostrare di essere “buoni “ , dovrebbero discolparsi per quanto fa il governo di Israele, proprio ignorando che esiste da sempre una forte opposizione politica culturale sia nel paese che nella diaspora all’estero

      Questa presunzione di colpa non lo si chiede alle comunità russe rispetto all’ucraina, non si è mai chiesto ai cattolici o al Papa di discolparsi delle azioni criminali del nazionalismo cattolico durante le guerre balcaniche o per le azioni del terrorismo irlandese , non lo si è chiesto ai serbi e all’ortodossia nonostante le loro responsabilità nel genocidio delle popolazioni musulmane bosniache , non lo si è mai chiesto verso le comunità angloamericane e protestanti durante i lunghi anni del vietnam e delle dittature sanguinarie sudamericane sostenute dagli Usa ma anche nelle più recenti campagne irachene e afghane
      sto parlando qui di reazioni e pulsioni che provengono dall’opinioni pubbliche e dalle società, non del posizionamento politico dei governi e degli stati su i conflitti

      qualcosa di simile invece è avvenuto nei confronti dell’islam dopo l’11 settembre , tuttavia dell’islamismo radicale si ha paura , molte persone di religione islamiche sono state oggetto di discriminazione ed episodi violenti, cosi come il semplicismo generico e onnicomprensivo verso un “mondo arabo ” da attenzionare e di cui diffidare

      ma verso il mondo ebraico in occidente non si manifesta solo fobia, timore o stigma, ma in alcuni ambienti palese odio disprezzo ed episodi ripetuti di violenza omicida ( particolarmente grave da anni la situazione in Francia) fenomeni di cui sono protagonisti gruppi marginali e tuttavia a mio parere si alimentano in un sentire comune diffuso, di pulsioni latenti che non si esercitano verso altre comunità, di un rimosso che riemerge , di un nervo scoperto che si riattiva . che poi a riattivarlo abbia esercitato un influenza preponderante i massacri in diretta a cui stiamo assistendo, rimarrà al di la del giudizio morale, la storica responsabilità di Netanyahu e dei suoi sostenitori

      In questa situazione e nell’articolo vi è poi una mia personale valutazione di come debba caratterizzarsi l’impegno della società civile
      fatta salva l’urgente azione umanitaria delle ong , oggi necessariamente prevalente, ritengo che noi società civile internazionale negli anni scorsi avremmo dovuto sfruttare meglio e di più l fatto di essere soggetti terzi ed esterni rispetto al conflitto , per esercitare non un’equidistanza ma un equivicinanza, un ruolo di ponte e di mantenimento di contatti con tutte le parti

      Il fatto di essersi sostanzialmente storicamente schierati con la parte palestinese , arrivando in passato, ne sono testimone diretto , a giustificare ” “comprendere ” il terrorismo contro i civili israeliani come forma legittima di lotta politica ( che non sono nate certo con Hamas il 7 ottobre 2023 ) ha fatto gravi danni e come società civile laica, gentile, ne ebraica ne islamico palestinese questa postura non ci ha permesso di esercitare nessun azione di sostegno e appoggio efficace verso l’opposizione politica e culturale al nazionalismo violento delle destre israeliane . eppure la soluzione del problema passava anche da li.

      Per tanti anni , prima dei fatti drammatici iniziati nel 2023 , ho sempre sostenuto nella mia attività di presidente di una ong , questi canali di dialogo invitando e sostenendo gli esponenti di parent circle hand in hand , Neve Shalom , tutte quelle forme associative di dialogo, binazionale plurale e religiose culturale che si erano sviluppate soprattutto dopo Oslo

      Abbiamo come dici tu , cercato di rimettere la palla al centro dialogando con entrambi le componenti nazionali e religiose cercando di comprendere i loro reciproci timori paure odi pregiudizi ( compresi i nostri verso di loro , le opposizioni raggruppate dal movimento peace now , B’tselem e altri.

      Siamo sempre stati pochi e non è stato un problema di comunicazione e di non conoscenza, ma il fatto che nessuno, soprattutto a sinistra, vi ha mai creduto fino in fondo
      Invece ha prevalso invece come spesso nel discorso pubblico , la polarizzazione politico ideologica, la vittimizzazione come categoria onnicomprensiva che giustificava ogni azione anche quelle violente , la sottovalutazione della deriva religiosa estremista e jihadista nel mondo palestinese prodomo delle derive future, che guarda caso a trovato poi sponda ed alleanza di fatto nel messianismo reazionario della destra nazionalista entrambi accomunati nell’obiettivo di non volere due popoli e due stati
      Chi si ricorda oggi che Fatah di Yasser Arafat e il partito laburista di Shimon Peres un tempo appartenevano entrambi all’internazionale socialista?

      pur nella consapevolezza che l’azione politica e diplomatiche non passa certo da noi, abbiamo però mancato l’occasione di far comprendere che vi era e vi è tutto ora un’ altra Israele , contribuendo invece , se vuoi incolpevolmente, a consolidare una lettura e una narrazione di quel mondo e del mondo ebraico come nella sua totalità colpevole e responsabile unico nel suo insieme di quella drammatica vicenda storica

      Il nostro obiettivo avrebbe dovuto essere quello di filtrare le pulsioni più regressive che provengono dalla società , non di comprenderle, andare oltre l’esecrazione e l’indignazione per i massacri o la conta o il raffronto agghiacciante fra il numero dei morti delle parti e darsi invece un obiettivo politico ,pur nei limiti evidenti del nostro operare .

      Obiettivo che è quello di cercare alleanze dialogo con quel mondo , sostenere quelli che credono in una coabitazione necessaria dovrebbe rimanere il focus centrale dell’azione di una società civile coerente che sostiene la causa della pace che sarà necessariamente frutto di una mediazione fra interessi e sicurezze

      Eppure passa tutto da li, anche se domani annettessero Gaza , su quell’area in parte desertica, e grande in realtà quanto la nostre puglia e basilicata , ci sono 8 milioni di cittadini ebrei israeliane e quasi altrettanti arabi palestinesi che devono trovare il modo di convivere o si andrà alla carneficina finale da entrambe le parti , Certo quanto accaduto quest’anno , rende tutto estremamente piu difficile , io non escludo a questo punto ci possa essere una guerra civile anche dentro israele

      La pace si fa con il nemico e da sempre ad ogni latitudine quello più discriminato e osteggiato nelle rispettive comunità e quello che parla con il nemico , ma è da li che bisogna passare. Per questo sarebbe essenziale mantenere canali di comunicazioni aperte con verità e rispetto . Che sia antisemitismo o no, isolare , additare, stigmatizzare, chiedere abiure al mondo ebraico in giro per il mondo , relativizzando e sminuendo le azioni violente contro di loro, non salverà un palestinese in più e non avvicinerà di un centimetro il traguardo della pace

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