Medio Oriente
Il silenzio sceso su Gaza
Gaza, da fronte secondario a notizia di second’ordine?
17 Giugno 2025
Del dolore di Gaza, delle sue morti e i suoi strazi tanti hanno scritto. Sui giornali, sui blog, sui social, ovunque ci fossero spazi di condivisione è stato possibile leggere la pietà, lo sdegno, la commozione di chi non ha girato la testa dall’altra parte e ha assunto una posizione netta contro lo sterminio sistematico del popolo palestinese.
Vi è chi si sta interessando alla striscia di terra più martoriata della storia solo da qualche giorno, con la catastrofe giunta ormai nella sua fase terminale, e chi lo ha fatto per tempo, sin da subito, quando era più utile farlo, non fosse altro per cercare di sensibilizzare un’opinione pubblica bersagliata da un’informazione dedita a una sorta di apostolato dell’iniquità, volto a coprire l’indegnità del governo israeliano e di quelli occidentali. Signore e signori, che vi faccia orrore o meno, una notevole parte dei nostri soldi di contribuenti, versate nelle casse dello Stato italiano, è servita per costruire armi da vendere a Netanyahu, che le ha utilizzate per sterminare persone anziane, donne e bambini, una popolazione civile inerme, disarmata e disperata, prima ridotta al grado più basso della condizione umana e poi eliminata senza nessuna pietà, in disprezzo del Diritto internazionale e della legge di qualsiasi Dio. Bisognerebbe raccontare quanto è più possibile di Gaza, anche entrando nello specifico più atroce, soffermandosi su un frammento significativo di una vita spezzata, raccogliendo la testimonianza di fede di una speranza disattesa, denunciando l’inaudita violenza della dignità calpestata per tracciare un percorso di memoria che non si può bombardare. Cosa avranno visto gli occhi di un bimbo, prima di chiuderli per sempre, durante i giorni di sopravvivenza? Si spera che tanti di loro non li abbiano vissuti imprigionati e incastrati sotto le macerie, ma accanto alle persone da cui potevano ricevere un’ultima carezza, e magari lasciare questo mondo ignobile ascoltando le parole dolci e semplici di una ninnananna araba, cantata col cuore in gola da una madre, una nonna, o una sorellina maggiore al cospetto di un Dio minore.
La verità di Gaza appare assurda e orribile anche ai vili che la coprono, che hanno bisogno di mescolarla con la menzogna per renderla verosimile e offrirla in lettura a chi è ben disposto a preferire l’inganno, perché più agevole e rassicurante, in quanto non pone problemi di coscienza. Viene in mente Dostoevskij, un profeta in cerca della pietà nel disordine della modernità. La sua letteratura non è mai finzione, ma capacità di diventare destino. In “Umiliati e Offesi” il maestro esplora l’ingiustizia causata dalla crudeltà e dall’indifferenza altrui, dove la scarsa attenzione per gli altri è una costante della decadenza che affligge il mondo. Oggi chi agisce e pensa diversamente dal flusso massiccio e continuo dell’opinione pubblica pubblicizzata, viene umiliato nell’esercizio del proprio campo d’interesse e offeso nel decoro dell’identità, ostacolandone l’impegno e il cammino. Occorrerebbe conoscere meglio e leggere di più questo immenso scrittore russo, anche per venire a capo degli inquietanti risvolti politici mondiali nel quale viviamo, che si rivelano generatori di guerre, violenza, soprusi, intrighi, imposture, fanatismi e nefandezze di ogni genere.
In verità, per Gaza si potrebbe già scrivere un requiem, radunare in fondo all’animo tutta la pietà e riversarla sulla candela accesa in memoria degli innocenti trucidati, per tenerne viva la fiamma e sperare che non si consumi nel buio dell’indifferenza e del cinismo, lontano dagli occhi di chi crede nelle azioni concrete, dai cuori di chi prova amore e misericordia per il mondo di tutti, minacciato dai pochi che ne influenzano le sorti. Ma Gaza, ora, nella strategia sionista e nella scaletta dei telegiornali rappresenta un fronte di secondo ordine, una notizia di rimando, una faccenda quasi sistemata del tutto dallo Stato d’Israele, che ha trasformato in eresia l’assunto dell’ONU, “due popoli, due Stati.” Una volta devastata Gaza, il piano di Netanyahu entra nella sua seconda fase: ridefinire il ruolo di Israele nel Medioriente, decretando, sul campo, un potere militare che mira a distruggere le nazioni nemiche esistenti nella stessa area. Pertanto, Siria e Iraq, al pari dell’Iran, rischiano, in questo frangente, “l’azione preventiva” dell’esercito israeliano. Va da sé che la questione israelo-palestinese, di fatto, non esiste più. Gaza, in quest’ottica, scompare e si dissolve nelle ambizioni di uno stato morbosamente nazionalista, che ha ritenuto necessario, così come l’Occidente, sacrificare il popolo palestinese per dare luogo e ampiezza alla sua mania di grandezza. Resta da spiegare al mondo che l’inferno inflitto al popolo palestinese non costituisce dolore, ma è qualcosa di funzionale al progetto di gloria di uno stato destinato a essere grande e invincibile. Non c’è morte infantile, dilaniamento dell’animo e insopportabile tragedia che possa essere raccontata come un’ingiustizia di fronte al destino elitario di una nazione. E non c’è pietà per i vinti, che non erano nelle condizioni di battersi e nemmeno avrebbero voluto farlo. La loro unica colpa consiste nell’abitare da secoli in un luogo promesso ad altri.
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