Tsipras’s way, il crepuscolo di un leader confuso

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14 Luglio 2015

 

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Raccontava ieri Yanis Varoufakis, l’ormai ex ministro delle finanze greco,

“Entrai nell’ufficio del premier euforico. Ero in viaggio come su di una bella nuvola sospinto dai bellissimi venti di entusiasmo del pubblico per la vittoria della democrazia greca nel referendum. Nel momento in cui varcai quella soglia avvertii subito un certo senso di rassegnazione, un’atmosfera carica di negatività, un’aria di sconfitta, che era completamente in contrasto con quello che stava accadendo al di fuori”

Circa una settimana addietro, un’altra fonte, il Telegraph, aveva sostenuto essenzialmente la stessa cosa, cioè che la vera speranza di Tsipras fosse quella di “perdere” il referendum,

“Il premier greco Alexis Tsipras non si aspettava di vincere la consultazione di domenica, e tanto meno di presiedere ad una ardente rivolta nazionale contro il controllo straniero. Indisse il referendum con l’aspettativa e l’intenzione di perderlo. Il piano era di mostrare di aver lottato in modo onorevole, accettare la sconfitta, e consegnare le chiavi del suo ufficio ad altri, lasciando loro il compito di implementare il duro ultimatum del 25 di giugno”.

In altre parole, la minaccia ultima era un’arma spuntata, non solo perché i mercati davano mostra di non rispondere alla paura del contagio, ma anche perché essa era in sostanza un bluff.

Forse non per Varoufakis, così euforico e ormai pronto ad andare fino in fondo e portare il paese fuori dall’euro – cosa per cui il popolo greco mai aveva dato mandato ai suoi governanti, peraltro – il quale, tuttavia, pochi anni prima aveva descritto quella medesima eventualità come una catastrofe, addirittura il “ritorno della Grecia all’età neolitica”,

 

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Insomma, capriole, contraddizioni, mancanza di un obiettivo chiaro, inutili provocazioni (i tedeschi terroristi, le riparazioni di guerra…), enormi e distruttive ingenuità, l’intera saga del governo ellenico appare retrospettivamente (e non) sempre più fatta apposta per andare a sbattere contro un muro, fino alla capitolazione (l’intransigenza tedesca, in parte giustificata, in parte eccessiva, merita un capitolo a parte).

A partire dalla radice di tutto, ovviamente: un’avventura nata da principio nel segno di una contraddizione già evidentissima a gennaio, di una promessa impossibile, tenere insieme un programma politico di sinistra radicale e l’appartenenza all’unione monetaria ed alle sue regole, voler rilanciare la crescita ma rifiutarsi di ammettere la vera origine dei mali del paese, rovesciando l’intera colpa della situazione presente sull’austerità imposta dai creditori. 

Intanto passavano le settimane ed i mesi, la congiuntura economica tornava a deteriorarsi in ragione dell’incertezza politica, l’equivalente di circa il 30% del Pil di capitali abbandonavano il paese in meno di due trimestri e l’avanzo primario faticosamente conquistato negli anni precedenti veniva inghiottito dal crollo delle entrate fiscali, solo in parte compensata da un’austerità aggiuntiva auto-imposta che solo in pochi hanno notato,

“Overall, the data confirms what has by now become a clear pattern. Greece’s primary surplus remains positive, but this is mainly due to cuts in primary expenditure, as revenues continue to underperform”,

 

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Fino appunto al colpo di teatro finale, il referendum, dopo il quale una caduta in slow motion si è fatta d’un tratto rovinosa, con la paralisi del sistema finanziario e le ripercussioni gravissime sul tessuto economico,

No money, no supplies, no workers,

“In the affluent Athens district of Kolonaki, Areti Georgilis said her bookstore, with a gallery and coffee shop, is on the brink of collapse: Sales are down 90 percent in 10 days. She had to dismiss two of her employees last week. “This week I have to make the critical decision of whether to stay open or think of another city in Europe,” she said in front of shelves stocking titles by French philosophers and Russian novelists. “Until now I was a healthy business. Now foreign wholesalers have decreased my discount and credit.”

 

Per questo appare difficile essere d’accordo con Umberto Cherubini che, in un articolo piuttosto simpatetico con le molte giravolte del governo di Atene, su queste colonne ha proposto un richiamo storico-bellico sempre molto evocativo, quello di Leonida-Tsipras asserragliato al passo delle Termopili.

Ben altro riferimento guerresco – o meglio, la sua curiosa variante in salsa greca – torna alla mente, invece. Utilizzata per la prima volta dagli Sciti nel VI secolo a.C., anch’essi nel tentativo di respingere i Persiani, poi divenuta famosa nella storia, adottata da Vercingetorige contro Giulio Cesare e dall’esercito russo per contrastare le armate napoleoniche, su su fino ai soldati di Saddam Hussein che, in ritirata dal Kuwait, diedero fuoco ad oltre seicento pozzi petroliferi, quasi distruggendo l’intera infrastruttura estrattiva del piccolo emirato: la strategia della terra bruciata. Distruggere ritirandosi, dare alle fiamme, e così tagliare gli approvvigionamenti al nemico.

Solo che nel caso dei militari iracheni quell’infrastruttura apparteneva ad un paese straniero, mentre negli altri precedenti storici esisteva effettivamente un nemico fisicamente presente sul suolo domestico. Non qui. Perché se di Tsipras e compagni si riesce a distinguere molto bene l’odore di bruciato e le macerie che si lasciano alle spalle, sotto forma di una nuova semi-distruzione del sistema dei pagamenti e di tutte le banche (per cui ora non si esclude più un bail-in che colpirà i depositi, tra l’altro), di draconiane restrizioni al movimento dei capitali, di una rinnovata e profondissima recessione,

 

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“Greece will need far bigger debt relief than eurozone partners have been prepared to envisage so far due to the devastation of its economy and banks in the last two weeks”, 

 

quando ancora a Novembre 2014 le attese erano di una crescita di circa il 3% per l’anno in corso,

 

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è assai meno chiaro quale voleva essere il punto di approdo di una simile strategia, la quale, per ciò che è dato vedere, con i 300 di  Leonida condivide soltanto la sorte tragica e difficilmente potrà essere d’ispirazione per altri.

 

Certo, potremmo (dovremmo)  discutere a lungo del ruolo della Bce e della non poco problematica architettura dell’euro, ma ciò non toglie che – per ciò che interessa qui, ovvero uno sguardo alle decisioni prese sul campo – i giocatori dovrebbero sapere quali sono i vincoli entro cui si muovono: soprattutto dopo il caso di Cipro, non c’era nessuna ragione per pensare che, una volta messa in dubbio ufficialmente la solvibilità sovrana e, di conseguenza, quella delle banche, Francoforte non avrebbe posto restrizioni alla liquidità d’emergenza per gli istituti di credito.  

 

Ora si vedrà: molto, moltissimo resta da digerire e comprendere dell’accordo raggiunto poche ora fa a Bruxelles, e la sorte del governo greco è in queste ore più incerta che mai, un difficilissimo voto parlamentare alle porte in cui la fronda interna è inevitabilmente destinata a crescere e nuove maggioranze, con tutta probabilità, ad emergere; forse un nuovo governo di unità nazionale potrà nascere ed Alexis Tsipras resterà a fare il primo ministro, sebbene dimezzato e controllato a vista, nondimeno, il suo sogno politico finisce nell’alba di Bruxelles, e la favola (per alcuni) bella di un governo radicale nel cuore dell’Europa torna ad essere l’illusione di sempre.

Almeno fino a quando qualcuno non avrà coraggio o follia sufficienti per progettare davvero l’uscita dalla moneta unica o la stazza necessaria per infliggere danni irreparabili alla controparte (oltre che a se stesso). Una battaglia che potrebbe giocarsi in Spagna sul far dell’inverno: forse l’antipatia per l’umiliazione di un popolo da parte della Germania gonfierà le vele di Podemos o forse, come io credo, il timore di gettare al vento una ormai vigorosa ripresa, frutto anche di incisive riforme, indurrà gli elettori spagnoli a più miti consigli.

Una cosa è comunque abbastanza chiara nonché preoccupante: i giorni pericolosi per l’Europa difficilmente finiscono con la sconfitta del socialismo di Grecia.

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CAT: Euro e BCE

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