
UE
Sul Financial Times un’inchiesta rivela che duecento eurodeputati sono in conflitto di interessi
Un’inchiesta del Financial Times rivela che oltre 200 eurodeputati del Parlamento europeo svolgono lavori retribuiti paralleli al mandato, sollevando seri dubbi su potenziali conflitti d’interesse. Dall’analisi condotta su più di 13.000 documenti ufficiali, il quotidiano britannico evidenzia che 59 membri siedono in commissioni o lavorano su politiche direttamente collegate alle loro attività esterne, ma solo otto hanno dichiarato apertamente un possibile conflitto.
Secondo i dati di Transparency International, l’attuale sistema di controlli “non è attrezzato per gestire” la questione. La normativa europea vieta ai deputati di svolgere attività di lobbying retribuite, ma consente loro di lavorare per organizzazioni iscritte al registro dei lobbisti UE. Non esiste un divieto esplicito di conflitto d’interesse: gli europarlamentari devono semplicemente dichiararlo se operano su leggi pertinenti al proprio settore privato, cosa che raramente accade.
Il Financial Times cita numerosi casi emblematici. Il tedesco Axel Voss (PPE), relatore sulla direttiva europea sull’intelligenza artificiale e sulle leggi sulla privacy, siede come consulente retribuito nel consiglio di Deutsche Telekom e collabora con uno studio legale specializzato in protezione dei dati. Nonostante ciò, ha dichiarato di “non essere a conoscenza di alcun conflitto di interesse”.
Tra i più remunerati figura il rumeno Gheorghe Piperea (ECR, AUR), che cumula incarichi accademici e legali per un guadagno annuo di 3,2 milioni di lei (circa 641.000 euro), pur negoziando in Parlamento leggi sull’insolvenza. Ha negato qualsiasi interferenza tra le sue attività professionali e quelle politiche. L’estone Riho Terras, vicepresidente della commissione sicurezza e difesa, riceve invece 24.000 euro l’anno da una società del settore bellico.
Il settore agricolo è tra i più esposti. Un terzo del bilancio UE è destinato all’agricoltura, e il FT ha individuato otto membri della commissione competente con interessi diretti nel comparto. Tra loro, Stefan Köhler (PPE), agricoltore, presidente regionale dell’unione bavarese degli agricoltori e membro del board di un’azienda agritech, con entrate per 126.000 euro l’anno. Anche in questo caso, solo dichiarazioni parziali di conflitto.
Dopo lo scandalo Qatargate del 2023, la presidente del Parlamento Roberta Metsola aveva tentato di rafforzare le regole sulla trasparenza, ma la riforma fu respinta dall’aula. Pur riconoscendo un miglioramento dei meccanismi di dichiarazione, le ONG denunciano l’assenza di verifiche sostanziali.
Per Raphaël Kergueno di Transparency International, “il sistema è costruito per non funzionare”. Il Financial Times conclude che, senza un controllo più severo sui mandati e sulle seconde attività degli eurodeputati, l’Unione europea resta vulnerabile a nuovi scandali di corruzione e perdita di fiducia pubblica.
Immagine di copertina, licenza creative commons: © European Union EP-PE 2011/Pietro Naj-Oleari
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