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Famiglia

Dal welfare al voucher

di Paola Bocci
1 Novembre 2014

La rivelazione del premier è di una quindicina di giorni fa, raccontata dalla poltrona di  un programma televisivo nazional-popolare dal pubblico prevalentemente femminile: nella finanziaria, per sua scelta – a dir suo “piccola e banale” – ci saranno 80 euro destinati a tutte le neomamme per i primi 3 anni di vita dei loro futuri bambini. Motivo della scelta: “Perché io lo so cosa vuol dire avere i pannolini, i biberon, le difficoltà all’asilo…. Perché  diamo un  segnale… che l’Italia riparte da un segnale di speranza di una famiglia che finalmente mette al mondo un figlio”. Il Bonus Bebé di cui si parla, in continuità con i benefit alle famiglie di Fornero e ancor prima di Berlusconi, è nel Ddl Stabilità, nella voce Fondo Famiglia,   con uno stanziamento annuo di 500 milioni da gennaio 2015, per tre anni. Una cifra da ridistribuire in quote di 960 euro l’anno (erogati dall’Inps su richiesta) per per ogni figlio nato (o adottato) dal 1° gennaio 2015 al 31 dicembre 2017 in ogni famiglia residente in Italia – anche con cittadinanza straniera purché con permesso di soggiorno – con reddito fino a 90.000 euro. Ma torniamo un passo indietro per capire meglio dove va a lavorare il bonus: le donne e i bambini, la natalità e la crisi. Non sull’occupazione femminile. Quell’occupazione femminile che in Italia non solo langue ma è scoraggiata dalle politiche recenti degli ultimi Governi,  e influisce direttamente sul calo di natalità. Oggi non possiamo più interpretare l’occupazione femminile solo attraverso la differenza tra donne che scelgono di stare a casa e donne che lavorano, ma dobbiamo tenere in considerazione la maggiore o minore precarietà  del lavoro che si ha. Fanno infatti più figli le  donne che hanno un lavoro stabile, mentre chi vive nella precarietà ed ha un lavoro incerto finisce per rimandare. Nello stesso tempo per una donna che lavora le possibilità reali di conciliazione tra professione e famiglia si riducono sempre più. Per diversi motivi. Perché  la flessibilità  dei modelli di organizzazione del lavoro non si modella sui bisogni delle donne, e la maternità quindi diventa elemento discriminante. Perché non c’è equilibrio nella distribuzione del carico di lavoro familiare tra uomini e donne. Perché le scuole elementari a tempo pieno,  e soprattutto i servizi per la prima infanzia (nidi e scuole materne), sono ancora troppo pochi e mal distribuiti sul territorio. Quindi  alla precarietà del lavoro si aggiunge un’altra incertezza: se lavoro dove lascio mio figlio? Fino a quando posso lasciarlo? E quanto mi costa lasciarlo? Qui ci si  scontra  con la scarsa accessibilità ai servizi per l’infanzia, soprattutto i nidi, perché insufficienti per quantità e poco diffusi sul territorio (soprattutto nel Sud, dove, guarda caso, l’occupazione femminile raggiunge i livelli più bassi) o perché spesso inavvicinabili come costi.   Se le ragioni della difficoltà a far nascere figli stanno in problemi collettivi che richiederebbero soluzioni a sistema, la risposta degli 80 Euro del Bonus Bebé, anche se risponde a una diffusa situazione di impoverimento ed è diretta ad un alto numero di soggetti, è ancora una volta individuale e sporadica. Mentre gli investimenti  sui nidi sono risposte strutturali, perché soddisfano una domanda collettiva anziché individuale.   Con 500 milioni,  in un anno si possono costruire  e gestire almeno 150 nuove strutture di asili nido, che all’Ente Locale  possono arrivare a  costare mediamente di gestione circa  500.000 euro annui (importo parametrato alla cifra di riferimento per i nidi comunali milanesi, per  un  nido  che accoglie una settantina di  bambini dagli 0 ai 3 anni). E l’investimento di partenza nella nuova struttura dura per sempre, o per diversi decenni, quindi ben di più  dei  tre anni di frequenza  dei  nati  nel 2015.   E dove li facciamo questi nidi? Dove ce ne sono meno e dove  è minore il tasso di occupazione femminile.   Poca cosa? Gli 80 euro resteranno sempre nell’area di un beneficio individuale, una goccia nel mare, un voucher come un altro che non migliora di molto la qualità della vita di una famiglia. Costruire nidi vale  molto di più. Se l’impegno è costante e progressivo è un passo avanti nella riduzione delle disuguaglianze occupazionali delle donne sul territorio nazionale, nell’offerta di maggiori opportunità di conciliare lavoro e famiglia, in una parola nella costruzione di un welfare collettivo che tiene davvero conto del valore del lavoro delle donne, azione concreta di sostegno alle donne nella scelta di lavorare e di allargare la famiglia.   E tra welfare  e voucher,  la scelta giusta è la prima, non  piccola né banale.

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