Contro i tedeschi. Firmato Friedrich Nietzsche

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14 Luglio 2015

«La diffidenza glaciale e profonda che il tedesco provoca ancora oggi, non appena arriva al potere, – è sempre un’eco di quell’orrore inestinguibile con cui per millenni l’Europa aveva guardato la bionda bestia germanica (anche se tra gli antichi Germani e noi tedeschi non esiste quasi nessuna affinità ideale né tanto meno  di sangue)». Friedrich Nietzsche “Genealogia della morale”

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I rapporti tra gli italiani e i tedeschi sono secolari e vanno, a partire da Tacito, a salire su su da Federico Barbarossa, a Federico II Hohenstaufen re di Sicilia, fino a Goethe, Wagner, Nietzsche e in ultimo Angela Merkel che, da ragazza dell’Est, ha gusti semplici e si gode lo stesso albergo di Ischia da anni. La frase molto nota che in sintesi dipinge una frequentazione e un odio-amore secolari secondo cui i tedeschi ci amano e non ci stimano e noi li stimiamo ma non li amiamo, sarà un luogo comune ma in fondo è vera. Se lo sguardo dei tedeschi verso noi può essere definito di tipo paternalistico e deprezzatorio, il nostro verso di loro è forse servile del tipo “chi disprezza compra”. Non io certamente ma chissà quanti italiani autolatri e patriottici e disprezzatori di tedeschi e lettori arcigni di “Libero” o “Il giornale” hanno però das Auto in box e non comprerebbero un’autovettura italiana (ad eccezione delle Ferrari-Lamborghini-Maserati e un tempo anche Alfa-Romeo) neanche per carità di patria.

I caratteri nazionali hanno giocato il loro ruolo in questa crisi paneuropea. A proposito dei greci si è parlato di levantinismo e per i tedeschi l’accusa paralogica di “eccessiva rigidità”  (uno o è rigido o non lo è) quando non di “volontà di potenza” si sono sprecate. Di recente Antonio Polito, con coraggio e sprezzo del pericolo ha evocato le foreste per i tedeschi, dove la loro storia sarebbe cominciata.

«A differenza degli inglesi, degli italiani o degli stessi greci, che hanno dovuto affrontare il mare, temono più di tutto il rischio; la parola chiave del loro stare assieme è «sicurezza». Hanno inventato apposta una teoria, l’ordo-liberalismo, in cui le regole sono l’assicurazione contro i rischi. È così che l’«economia sociale di mercato» garantisce la protezione dei più deboli. Ma per funzionare ha bisogno di fiducia reciproca. Le tasse devono essere pagate, le norme rispettate, i debiti rimborsati. È impossibile per la signora Merkel, meno che mai con il fiato di Schäuble sul collo, concedere all’estero ciò che è vietato in patria. I tedeschi non si fidano più della Grecia. E hanno le loro ragioni».

Ma cosa succede quando è uno scrittore di genio a  incontrare i propri connazionali? Se si chiama Nietzsche è sicuramente uno scontro. Ho repertato qui di seguito alcuni “luoghi” nella produzione filosofica nietzscheana in cui l’incontro/scontro con i tedeschi è furibondo.

Iniziamo da  “Umano troppo umano” (1878). Qui  Nietzsche prende  le distanze dal pensiero mitico di Wagner, dalla speculazione metafisica  di Schopenhauer, da Kant e dalla “Scuola di Tubinga”,  in breve  dalla  tradizione tedesca. Oggi  per noi uomini del secondo  millennio, anche da semplici  utenti di Internet,   è molto agevole  uscire dalla nostra pelle nazionale e chiedere la cittadinanza al mondo. Ai tempi di Nietzsche non era così facile. La circolazione delle idee era giocoforza asfittica, in termini di traduzioni di libri e della loro diffusione.  Insomma si nasceva tedeschi ed era fatale che si stesse dentro il circuito della propria tradizione culturale come dentro la “Vergine di Norimberga” per tutta la vita. Tutta la filosofia tedesca peraltro  si muove come un unico movimento sinfonico da Nicolò di Cusa  o Alberto Magno fino ad Heidegger, via Jacobi, Leibniz, Wolff. Solo i viaggi e le occasioni di incontro con intellettuali di prestigio (Jacob Burckhardt nel caso di Nietzsche) potevano  consentire anche a  un ipertedesco  come Nietzsche di fuoriuscire  dai propri asfittici confini  e di andare incontro alla propria vera natura e di diventare uno spirito libero. («Si chiama spirito libero colui che pensa diversamente da come, in base alla sua origine, al suo ambiente, al suo stato e ufficio o in base alle opinioni dominanti del tempo, ci si aspetterebbe che egli pensasse» “Umano troppo umano” § 225).

Ecco perché la rottura con Wagner e la tedescheria in genere  acquista in Nietzsche i caratteri del dramma e dell’esasperazione psichica. Con quel libro di rottura dedicato al centenario della morte di Voltaire Nietzsche volge le sue attenzioni  filosofiche al mondo  mediterraneo  e latino,  soprattutto francese.  In  “Umano troppo umano”  vi sono tracce evidenti dell’ innamoramento per la cultura francese: Cartesio,  Montaigne,   La Rochefoucauld,  Pascal, Voltaire, Stendhal, il non amato Rousseau,  risuonano in queste pagine e vengono direttamente citati o sottintesi. «Oggi è giocoforza mettersi a scuola dei vecchi Francesi», scriverà nell’aforisma  203.

C’è chi afferma  che i letterati campioni nazionali sono tali perché rappresentano l’anti-tipo ideale nazionale.  Shakespeare così sanguigno contro il flemmatico inglese medio; Dante rigido e implacabile e di parole di marmo contro il molle e flettevole fiorentino, mercante e ciarliero, portatore dell’esprit florentin appunto. Cervantes onirico e ironico  contro lo spagnolo del suo tempo cupo e teologico. Ecco perché per Nietzsche resta in piedi, nella sua personale caduta degli dei, solo la figura e il magistero artistico di Goethe, artista che infatti per lui  si muove fuori dal genio tedesco. Se «Schiller ha in generale ringiovanito i Tedeschi , Goethe fu al di sopra dei Tedeschi in ogni rapporto, come lo è ancora oggi: egli non apparterrà loro mai. Come potrebbe mai un popolo essere all’altezza della spiritualità goethiana nel suo ben-essere e nel suo ben volere! Il commediografo Kotzebue  è invece l’artista che meglio li rappresenta. «Bonari, incontinenti nei piccoli godimenti, facili al pianto, con il desiderio di potersi sbarazzare almeno a teatro di una freddezza innata e coscienziosa […] felicissimi per una bella e generosa azione, nel resto sottomessi verso l’alto, reciprocamente invidiosi e tuttavia nell’intimo bastanti a se stessi – così erano essi, coì era lui». (“Opinioni e sentenze diverse” § 170).

Attraverso Burckhardt Nietzsche s’era accostato al nostro Rinascimento che interpreta, alla luce del suo pensiero ultimo,  come un momento in cui la civilizzazione culturale italiana aveva detto un sonoro sì alla vita (Das ja zum Leben)  anche grazie al suo cattolicesimo derogatorio e concessivo e in generale al suo spirito religioso straordinariamente superficiale ed esteriore che  per Nietzsche era  un fatto dello spirito pubblico da accogliere con giubilo. Ma  il filosofo tedesco  non si ferma all’elogio del Rinascimento italiano, ha dentro di sé quel verme roditore che lo tormenta fin dalla prima giovinezza: la Riforma protestante, quella  Riforma che invece – ed è proprio vero che la vita è un ospedale dove inutilmente si cerca di cambiare letto – verrà invocata lungamente come necessaria per gli italiani da Gramsci  seppur  dietro la formula generica di una “riforma intellettuale e morale” mutuata da Ernest Renan (intellettuale che Nietzsche non amava).

Ma ecco per intero il brano di Nietzsche che ci dà un singolare punto di vista di un tedesco eretico e illuminista, uno scorcio utile  in un’epoca come la nostra di forte contrapposizione di  scenari mentali-culturali tra la cultura dell’Europa fredda e protestante e quella dell’Europa mediterranea  prevalentemente cattolica (e greco-ortodossa)   entro i quali si sono situati  i rimballi reciproci sulle responsabilità della crisi che ci attanaglia.

«Il Rinascimento italiano racchiuse in sé tutte le forze positive a cui si deve la cultura moderna: ossia liberazione del pensiero, disprezzo dell’autorità, vittoria dell’istruzione contro l’alterigia della schiatta, entusiasmo per la scienza e per il passato scientifico degli uomini, affrancamento dell’individuo, amore ardente per la veracità e ostilità verso l’apparenza e il mero effetto (un ardore che divampò in tutta una folla di caratteri artistici, i quali nelle loro opere pretesero da sé con somma purezza morale perfezione e nient’altro che perfezione); sì il Rinascimento ebbe in sé quelle forze positive che finora, nella nostra cultura moderna, non sono ancora ridiventate così potenti. Esso fu l’età aurea di questo millennio, nonostante tutte le sue pecche e i suoi vizi. La Riforma tedesca appare invece come un’energica protesta di spiriti arretrati, che non si erano ancora affatto saziati della visione medievale del mondo e che avvertirono i sintomi del suo dissolversi, la straordinaria superficializzazione ed esteriorizzazione della vita religiosa, con profondo abbattimento, invece che con giubilo, come si sarebbe convenuto. Con la loro nordica forza e caparbietà, essi respinsero gli uomini indietro, provocarono la Controriforma, vale a dire un Cristianesimo cattolico da legittima difesa, con le violenze di uno stato di assedio, e ritardarono di due o tre secoli il pieno risvegliarsi e dominare delle scienze, così come resero forse impossibile per sempre l’armonioso concrescere a unità dello spirito antico e di quello moderno. Il grande compito del Rinascimento non poté essere portato a termine; lo impedì la protesta della germanicità, rimasta frattanto indietro,  nel Medioevo aveva almeno avuto il buon senso di attraversare le Alpi per la propria salute».

Più avanti Nietzsche argomenta che se non ci fosse stata quella particolare congiuntura storica di lotta tra l’Imperatore tedesco e il papa,  i quali  utilizzarono Lutero ciascuno ai propri fini, costui «sarebbe stato bruciato come Huss e l’aurora dell’Illuminismo  sarebbe forse sorta un po’ di tempo prima». (“Umano troppo umano” § 237)

In “Al di là del bene e del male” e ne “L’anticristo” continua le combat di Nietzsche con la tradizione  tedesca.   In questi testi  il filosofo pianta delle stoccate micidiali contro la cultura tedesca in cui s’era formato e  con la quale aveva contratto naturali debiti. Paul Valéry diceva: on est français comme on respire, e così si potrebbe dire di Nietzsche (ma anche di me italiano) che era immancabilmente tedesco così come respirava. Benché spirito libero Nietzsche, come tutti gli intellettuali di genio, combatté contro i tre nemici di sempre. L’ennemi antérieur, l’ennemi extérieur e l’ennemi intérieur. Quest’ultimo particolarmente insidioso. Ne “L’anticristo” Nietzsche scrive: « I tedeschi mi capiranno immediatamente se affermo che la filosofia è stata corrotta dal sangue dei teologi. Il pastore protestante è l’avo della filosofia tedesca, il protestantesimo stesso ne è il peccatum originale. Definizione del protestantesimo: semiparalisi del cristianesimo e della ragione… Basta solo pronunciare le parole ‘Scuola di Tubinga’ per capire cosa sia la filosofia tedesca in realtà: una scaltra teologia… […] Perché nel mondo accademico tedesco, costituito per tre quarti da figli di pastori e insegnanti, si esultò tanto all’apparire di Kant? », ecc, ecc, dove è facile capire che tra quei “figli di pastori” protestanti (lo è anche Angela Mekel) c’era un’allusione a se stesso poiché Nietzsche era proprio figlio di un pastore protestante!.  In “Al di là del bene e del male” c’è un’altra stoccata contro Kant che «si sentiva fiero di aver ‘scoperto’ nell’uomo una nuova facoltà, la facoltà dei giudizi sintetici ‘a priori’. Anche ammesso che in questo si sia ingannato, lo sviluppo e la rapida fioritura della filosofia tedesca dipendono da quest’orgoglio e all’emulazione di tutti i giovani nello scoprire possibilmente qualcosa di ancor più superbo – e in ogni caso ‘nuove facoltà’! ». E più avanti definisce una “niaiserie allemande” (una stupidaggine tedesca) questa pretesa di “scoprire” (in un’epoca in cui non si sapeva ancora tener distinti “trovare” da “inventare”, parole di Nietzsche più sopra).

Ora, Nietzsche è geniale nel fare questa semplice operazione di Kulturkritik, di sapere cioè cogliere il proprium delle tradizioni filosofiche sia dei francesi che dei tedeschi. Tipica di questi ultimi è la pretesa di trovare facoltà intellettive tutte nuove, di erigere poderosi “sistemi” filosofici, di pensare per “categorie” e di inventarsene anche qualcuna, di acquisire atteggiamenti pensosi e grevi sulle questioni che trattano. Il Geist tedesco non è raisonnable. Anche se va subito detto che i tedeschi maneggiano il Geist come i greci il Logos,  raggiungendovi  vette di astrazione spesso ineguagliabili a dispetto di ciò che pensa lo stesso Nietzsche che invece, lodando Voltaire,  certificava che «la natura del francese è molto più affine a quella greca che non la natura del tedesco» (“Umano troppo umano” § 221). Altro merito, in quest’opera di comparazione tra le due tradizioni filosofiche, è il grandioso recupero dei “moralistes” francesi («coloro che scrutano gli uomini» (“Opinioni e sentenze di verse”, § 5), ove Nietzsche, ancora una volta rimprovera ai tedeschi (Schopenhauer in questo caso) di avere corrotto i loro detti, e di aver dato senso assoluto e necessario a ciò che per i moralisti era una un’indicazione provvisoria e limitata nel tempo e nello spazio. Il peccato tipico, il proprium diremmo con maggior precisone   dei tedeschi è l’assolutizzazione e l’astrazione.  Ma anche nella scelta dell’aforisma di conio francese c’è un rifiuto della forma e soprattutto del “pensiero” sistematico.

L’allusione alla Scuola di Tubinga (dove si erano formati Hegel, Schelling, Hoelderlin, ecc.) e ai figli dei pastori protestanti è molto significativa  e dà l’idea dei due diversi atteggiamenti spirituali. Il Geist tedesco ha come riferimento l’aula sorda e grigia di un collegio (Stift) di teologia dove gli astanti indossano una severa palandrana nera, mentre l’Esprit francese ha come riferimento implicito un salotto parigino retto da una profumata e incipriata “femme savante”. I tedeschi vogliono persuadere, vincere e convincere; i francesi vogliono sedurre e conquistare (spesso un’alcova). E Nietzsche, avendo intuito tutto questo,  scriverà  nella prefazione di  “Al di là del bene e del male”: « Posto che la verità sia una donna -, e perché, no?  non è forse fondato   il  sospetto  che  tutti  i  filosofi,  in  quanto  furono  dogmatici, s’intendevano poco di donne?  che la terribile serietà,  la  sgraziata   invadenza  con  cui  essi,  fino a oggi,  erano soliti accostarsi alla   verità, costituivano dei mezzi maldestri e inopportuni per guadagnarsi appunto i favori di una donna?». Quale filosofo aveva in mente Nietzsche? Kant? Se stesso, forse? Se aveva in mente Hegel sbagliava di grosso perché l’allievo di teologia di Tubinga, in palandrana nera, non appena uscito dallo Stift  ingravidò la signora di Berna presso cui era precettore dei figli…

TAG: europei, greci, italiani, Nietzsche, Tedeschi
CAT: Filosofia

2 Commenti

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  1. astaiti 9 anni fa

    Molto bello. Mi viene in mente Simmel che nei “Problemi della Filosofia della Storia” scriveva: “von einem dunklen Drang der deutschen Völker nach Italien wird gesprochen wie vom Instinkt der Zugvögel, die völlig unbewußte Antriebe in bestimmte Himmelsrichtungen führen” (“dell’anelito oscuro dei popoli tedeschi verso l’Italia si parla come dell’istinto degli uccelli migratori, guidati da impulsi completamente inconsci in direzioni determinate del cielo”.) C’è forse un errore di battitura nella citazione in esergo: non “differenza” ma “diffidenza”?

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    1. alfio.squillaci 9 anni fa

      Certo, ti ringrazio, “diffidenza”. corretto subito

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