furbetti quartierino mediobanca

Finanza

La scalata a Mediobanca: “furbetti del quartierino” bis ? (parte 2)

13 Dicembre 2025

La differenza più marcata ed interessante tra le scalate bancarie nel 2005 e le scalate del 2025 è la differenza negli obiettivi degli attori. Si dice, cosa mai confermata, che le scalate del 2005 avessero come obiettivo quello di creare un nuovo assetto di potere basato su media e finanza, funzionale ad un disegno politico di una nuova Balena Bianca. La scelta degli esecutori di questo ipotetico progetto si rivelò certamente poco fortunata per il governatore Antonio Fazio.

Quando Cesare Geronzi, all’epoca presidente di Banca di Roma, acquisì la Bipop creando il gruppo Capitalia, incrociò sulla sua strada Gianpiero Fiorani. Si racconta che dopo aver vinto la partita sulla vera banca del futuro, cioè la Bipop che aveva al suo interno la perla Fineco (e non certo Banca Progetto oggi, secondo la Vigilanza), Geronzi fece intendere a Fiorani che sarebbe stato il prossimo. Il banchiere lodigiano, spaventato dalla premonizione, corse ai ripari e, grazie alle sue straordinarie doti di imbonitore, riuscì a sostituire Geronzi nel cuore del governatore Fazio. Storica l’immagine della passeggiata di Fazio con Fiorani e Emilio Gnutti nel 2002 al Forex a Lodi.

Il governatore Fazio, però, aveva valutato male gli attori in campo, affidandosi a Fiorani per eseguire il piano voluto con il massimo rigore, come si sente anche nelle intercettazioni di Fiorani con Francesco Frasca, l’allora capo dell’area Vigilanza di Bankitalia. Ma ad impossibilia nemo tenetur e, viste le dimensioni della Popolare di Lodi rispetto ad Antonveneta e ad Abn Amro, era difficile, se non impossibile, eseguire il piano e non violare le regole al tempo stesso.

Così la prima cosa ad essere violata furono i coefficienti di patrimonializzazione, arrivati a livelli insostenibili. A questo si aggiunse l’animus di Fiorani e degli altri furbetti del quartierino che ne combinarono di tutti i colori, pensando di avere copertura totale, spingendo così Fazio ad uno scontro con altri dirigenti di notevole rigore morale come Clemente e Castaldi. Come poteva pensare il Governatore che potessero fare diversamente, è un mistero. Così con il bacio in fronte a Fiorani ci siamo giocati il governatore Fazio e con lui il salutare coordinamento del sistema bancario che aveva assicurato stabilità al sistema e prevenuto assalti rapaci sul nostro povero Paese, in cui i punti di tenuta sono pochi, come pochi sono i genuini servitori dello Stato. Con Fazio come Governatore non avremmo avuto né la liquidazione delle quattro banche nel 2015 (Popolare Etruria, Banca delle Marche, CariFerrara e CariChieti), evento che ha avviato la crisi di confidenza bancaria, né oggi Banca Progetto.

Fazio fu quello che nel 2003 difese Generali dall’assalto di Axa con un blitz da manuale. All’epoca non ci furono esami di concerti o altre iniziative giudiziarie. Solo servizio al Paese. Il quotidiano MF ci ricorda: “Siamo sicuri che il gruppo Generali resta in mani italiane. C’è da compiacersene […] “Fazio ricorda come “un gruppo francese, attraverso Mediobanca e favorito da alcuni amministratori”, tentò la scalata, arrivando a controllare il 20% del Leone di Trieste. Ciò, è la ricostruzione del governatore, provocò “una rivolta di tutti e 41 gli azionisti di Piazzetta Cuccia”, che “dimissionarono l’amministratore delegato dell’epoca”.. Allora, come in questi anni, per usare le parole di Fazio, Mediobanca disponeva di Generali secondo disegni eterodiretti.

Questo ci riporta verso i giorni nostri e le scalate del 2025. Dopo Fazio e senza il coordinamento assicurato dai grandi vecchi Giovanni Bazoli, Cesare Geronzi, Giuseppe Guzzetti e Enrico Salza nel sistema si sono moltiplicati gli incidenti di percorso, i conflitti inutili, una gestione delle istituzioni finanziarie improntata ad interessi particolari, più raramente a quelli del Paese.

Un altro grande, unico, personaggio che spiega la storia odierna è Leonardo Del Vecchio. Cresciuto orfano nel collegio dei Martinitt, ha creato un impero dal nulla. Ha sempre voluto lasciare un segno indelebile del suo contributo allo sviluppo del Paese. Restituire alla collettività parte di quanto ha ricevuto. Consapevole che i soldi non se li doveva portare nella tomba, ha cercato di fare tante cose buone con questi soldi. Ma il più grande dono che ha lasciato al Paese è quello dell’esempio del suo comportamento.

Così quando la CDP si sfila dal rilancio per salvare l’ILVA da Mittal, Del vecchio si fa carico interamente con Jindal dell’onere del rilancio economico da 1,2 a 1,85 miliardi di euro, incrementando la partecipazione dal 15% al 50%. Quando Papa Francesco ha bisogno di una mano per salvare il San Raffaele a Roma, Del Vecchio interviene.

Prima dell’avventura dell’ILVA, lungo la sua strada Del vecchio trova Generali e si convince che è la più grande azienda italiana dei servizi finanziari e va liberata dal giogo di Mediobanca, che ne ha impedito la crescita bloccando acquisizioni all’estero che progressivamente le hanno fatto perdere peso rispetto ad Axa ed Allianz, i principali concorrenti europei.

Stiamo parlando quindi di un’idea nata molti anni prima dei piani di Del vecchio sullo IEO (Istituto oncologico europeo), bloccati da Mediobanca nel 2018. Lo IEO è il casus belli a cui viene attribuito l’astio di Del vecchio verso Alberto Nagel, il banchiere che ha guidato Piazzetta Cuccia dai tempi della defenestrazione di Vincenzo Maranghi fino alla recente scalata. Disinformazione della peggiore specie, fatta per screditare un più nobile intento, così come le accuse a Del Vecchio di lavorare per i francesi, quando ben era chiaro, sin da allora, che chi seguiva le indicazioni dei francesi, neanche più azionisti (Vincente Bolloré esce dal patto di sindacato di Mediobanca nel settembre 2018 e comincia a vendere le azioni), era il management di piazzetta Cuccia. Nel 2016 così come nel 2003, quando dovette intervenire Fazio.

Mediobanca, dopo l’uscita di Maranghi, ha sempre avuto un forte allineamento con l’azionista di riferimento relativo. Questo funziona sino all’arrivo di Philippe Donnet a Trieste. Arrivo che si colloca negli stessi anni dell’arrivo di Jean Pierre Mustier a Unicredit e dell’acquisizione di Pioneer da parte di Amundi. Un caso? Non proprio. Probabilmente un’altra storia da raccontare per spiegare le scalate del 2025. Dopo l’arrivo di Donnet, Mediobanca sembra seguire sempre le indicazioni arrivate dalla controllata e non invece quelle degli azionisti come sarebbe fisiologico. La ragione? Ordini di scuderia? Una grandissima influenza sugli asset managers che tanto incidevano sugli equilibri assembleari di Mediobanca e Generali?

Generali è la più importante società dei servizi finanziari italiani ed una delle più importanti per la gestione delle relazioni geopolitiche del nostro paese, visto che arriva in luoghi in cui nemmeno Eni arriva. Soprattutto ora che Trump dimostra un più chiaro intento nel destabilizzare l’Europa assieme a Putin, questo sistema di relazioni è essenziale per la sicurezza del Paese (e dei partner europei), anche più dell’acquisto di titoli di stato che Generali assicura. È importante che comportamenti poco trasparenti cessino, così come i conflitti con i nostri partner europei. E che Generali torni a svolgere il suo ruolo fondamentale nell’interesse del Paese.

Uno dei paesi più importanti per il futuro del nostro continente è la Cina, paese con cui Donnet non sembra avere molto feeling. La storiella che i cinesi di passaggio a Milano mi hanno raccontato è interessante, se vera: non particolarmente contenti delle relazioni con Trieste, i manager di China National Petroleum Corporation (CNPC) hanno chiesto a Generali di ricomprare la loro partecipazione nella Generali China Insurance Company Limited (GCI), joint venture nel settore Danni. Generali l’ha presentato come un successo: “Generali consolida il posizionamento strategico in Cina”. In realtà il posizionamento strategico di Generali in Cina così si smonta, anche perché la joint venture rilevante con CNPC era quella nel Vita che poteva seguire lo stesso destino, avendo un peso enorme in termini di asset e risultati economici (ah, conoscere questi dati). Cosa succedeva a Generali se si smontava anche questa? Lo stesso Donnet deve aver concordato sulla rilevanza esiziale del problema, se è vera la storia che per coprire il rischio ha usato un derivato. Capiamo quindi la grande simpatia degli asset managers per Donnet.

Ricordiamoci che nel back office della finanza si dice che nel 2017 fosse in corso un nuovo tentativo di scalata di Generali, con importanti partecipazioni “parcheggiate”, come ai tempi del governatore Fazio, e che l’operazione difensiva di Intesa si sia fermata anche quando Axa ha confermato di non avere interesse e per le sollecitazioni di Blackrock a Messina (le operazioni tra banche ed assicurazioni non creano valore). Lo stesso Blackrock che viene nominato nelle intercettazioni di questi giorni. Sarà un caso? Dopo il supposto tentativo di scalata di Axa e la retromarcia di Intesa, in Axa alcuni dirigenti chiamavano scherzosamente Generali “la nostra partecipata italiana”. Del resto le porte erano girevoli, sui managers come sulle partecipazioni. Donnet arrivava da Axa ed il deputy di Donnet, uscito da Generali, Frédéric de Courtois, è passato senza soluzione di continuità in Axa. Non era necessario avere la maggioranza del capitale di Generali per controllarla.

La storia della partecipata cinese di Generali è interessante perché porta ai giorni nostri ed alla tentata joint venture con Natixis, definitivamente seppelita in questi giorni, dopo essere stata la mina che ha detonato l’ultima battaglia. Suppongo, ma magari mi sbaglio, che la joint venture con i cinesi abbia insegnato a Donnet una lezione importante: le joint venture possono essere importanti poison pills. Quindi se non è possibile montare un’operazione su Generali con il governo attuale e se i “barbari”Francesco Gaetano Caltagirone e la Delfin dei Del Vecchio sono alle porte, si può montare una bella joint venture con Natixis. Cosa fa Mediobanca? Fa da advisor per l’operazione ed i membri in consiglio votano anche a favore.

Processo anomalo derivante anche dal fatto che Mediobanca, come si è detto sopra, sembrava rispondere ad un sistema di obiettivi diverso rispetto a quello dei principali azionisti e del Paese. La sana fisiologia della governance societaria non funzionava bene: un management che fa cose che non vanno bene, va sostituito. Ma ostacoli rilevanti venivano posti a Delfin dalla Vigilanza a causa della sua natura industriale. E come sappiamo, la circolarità nel sistema finanziario impedisce il corretto funzionamento della governance societaria che diventa endodeterminato. Nella storia dei servizi finanziari questa circolarità ha sempre portato a grandi guai. Fenomeno questo, di costante interesse della Magistratura.

La scalata a Mediobanca parte dopo questo episodio. Francesco Milleri adempie semplicemente alla volontà di Del Vecchio. Ma prima dell’Ops di Mps, succedono tante cose (anche Opas ipotizzate e stranamente abortite, come quella che Unicredit avrebbe dovuto lanciare su Mediobanca) che forniscono chiavi di lettura divertenti. A che pro l’interesse di Unicredit per il collocamento di azioni Mps di proprietà del Tesoro – il famoso accelerate book building (ABB) gestito da Banca Akros – e successivo esposto in Consob? La storia è molto diversa da quella raccontata dai giornali (e dalle querele) sinora, e ci sarà tempo per parlarne.

Ma intanto si possono tirare alcune conclusioni:

  • Anche se gli scalatori non sono chiaramente verginelle della finanza, difficile giudicare le azioni di quanti intervengono, distinguere il buono dal cattivo, se si ha un quadro parziale di quanto è accaduto e se la disinformazione di una delle parti è molto attiva ed efficace. In questa storia i magistrati hanno letto gli esposti di una parte ma forse non hanno un quadro completo. Hanno fatto quindi benissimo a mantenere una posizione prudente.
  • Bene l’approccio dei magistrati anche perché quanto sta accadendo può comportare ricadute non facilmente prevedibili. Si può ipotizzare che i fari potrebbero concentrarsi presto strumentalmente su Essilor-Luxottica, facendo leva anche sui supposti comportamenti dubbi (e antifrancesi) di Delfin sulle scalate bancarie. Le conseguenze secondarie di quanto è accaduto non sono ovvie e possono essere sostanziali.
  • Ancor più prudenza occorre per tentativi strumentali. Se vedessimo asset manager procedere con l’impugnazione di atti (per esempio, delibere assembleari), come conseguenza delle inchieste della magistratura. Di fronte ad atti di questo tipo, non bisognerebbe pensare necessariamente all’indignazione dei mercati, ma valutare tali iniziative come un’ennesima manifestazione della circolarità patologica descritta sopra. I veri  investitori istituzionali (fondi comuni) rarissimamente procedono a questo tipo di operazioni, per ragioni reputazionali e di competenza. Gestori specializzati di fondi svolgono questa funzione, supportati finanziariamente dai fondi tradizionali, come accadde per esempio con TCI intervenuto su Atlantia.
    Quanto accaduto all’interno di Assogestioni, deve far riflettere, sulla strumentalizzazione dei fondi. A un certo punto dello scontro tra Mps e Mediobanca, negli incontri tecnici interni dell’associazione italiana dei gestori di risparmio, qualcuno aveva sostenuto che per i fondi non fosse lecito votare nelle assemblee, laddove il loro voto avesse potuto essere determinante, cosa priva di senso: qual è la logica del votare solo se non si influenza il risultato? Richieste fatte, peraltro, senza disclosure del conflitto di interessi.
Commenti

Devi fare login per commentare

Accedi

Gli Stati Generali è anche piattaforma di giornalismo partecipativo

Vuoi collaborare ?

Newsletter

Ti sei registrato con successo alla newsletter de Gli Stati Generali, controlla la tua mail per completare la registrazione.