La nuova società chiede un nuovo welfare e meno tasse
Stiamo assistendo al rapido declino dello stato sociale, così come eravamo abituati a conoscerlo, un declino lento, fatto di piccoli cambiamenti al ribasso. Pian piano ci stiamo accorgendo che i servizi non ci sono garantiti, i tempi per gli esami medici sono lunghissimi, la scuola dei nostri figli non riesce a sostenere le spese ed è costretta a chiedere sempre più supporto ai genitori. Man mano che la copertura del welfare si riduce, anche la percezione degli italiani va modificandosi ma al momento si trova in una posizione scomoda. L’insofferenza per lo scadimento della qualità dei servizi lascia il paese nel guado tra rimpianto del passato e propensione a un modello di stampo liberista. Naturalmente non tutti la pensano allo stesso modo e possiamo identificare facilmente due schieramenti nettamente distinguibili dal punto di vista dell’humus culturale e valoriale che li anima.
Qui il confine generazionale appare particolarmente rilevante. A favore di un modello di welfare tradizionale, così come lo conosciamo in Italia, caratterizzato da una forte presenza dello stato, sono i cittadini più meno giovani più orientati alla partecipazione, al senso civico e all’altruismo. A favore di un modello che prevede una sempre maggiore presenza di privati, sono i più giovani, dal forte spirito di iniziativa, alla ricerca delle novità e pronti ad assumere la gestione della complessità moderna. Soggetti interessati ad assumere una posizione più attiva nella scelta dei servizi, aumentando il loro margine di discrezionalità e di espressione individuale.
Ma non si tratta solo ed esclusivamente di un confronto tra due modi differenti e alternativi di sentire e vedere il welfare e di sentire e vedere la vita sociale. La partita che si apre ragionando sui sistemi di assistenza è ancora più profonda e se vogliamo critica, perché agisce anche a livello intra-individuale, creando una sorta di naturale cortocircuito tra aspettative e bisogni presenti in ciascuno di noi – la certezza di servizi garantiti e accessibili opposta alla libertà di scegliere in autonomia di cosa servirsi.
La discussione sul welfare state ruota chiaramente intorno ad almeno altri due macro-temi – altrettanto fondamentali, anche se molto più concreti: la fiducia complessiva nel sistema politico-sociale e le tasse. Quasi i tre quarti degli italiani ritengono che i servizi fondamentali debbano continuare a essere pubblici (52.9% molto d’accordo e 21.2% abbastanza d’accordo). Il 71.4% ha molta o abbastanza fiducia nei medici di base e il 61.4% nella scuola e nelle università.
Nonostante questo dato, e in apparente contraddizione, più della metà della popolazione dichiara però di essere pronta a rinunciare in parte (50.2%) o completamente (10.4%) ai servizi erogati dallo Stato in nome di un abbassamento delle tasse e con la consapevolezza di dover pagare in prima persona i servizi usufruiti. Istanze di tipo opposto che denotano la confusione di chi risponde da una parte ma suggeriscono anche che i modelli del futuro avranno a che fare con la conciliazione di approcci diverse per nuove soluzioni ibride.
Gli italiani sembrano dunque mostrare un’insofferenza diffusa verso i costi e la gestione dei servizi pubblici più che aver maturato una vera e propria presa di distanza ideologica dal sistema del welfare così come lo conosciamo. In gioco c’è una transizione profonda da una cultura improntata alla sicurezza (valore messo al secondo posto, dopo il sentire affetto intorno a sé, dal 15.2% degli italiani – prima citazione) ad una aperta a nuovi rischi e discontinuità. Il percorso verso un nuovo modello comporta tuttavia un’elaborazione collettiva e un dibattito pubblico che deve ancora tutto cominciare.
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