Senza confini: Steve McCurry al Pan di Napoli
Afghanistan, Cina, India, Africa, Cambogia. Sono alcuni dei luoghi che Steve McCurry, professione fotografo documentarista, ha percorso in lungo e in largo per raccontarne i conflitti, le contraddizioni, la bellezza, i costumi. A volte più osservatore ammaliato che lucido reporter, McCurry traccia con i suoi scatti, molti dei quali ritratti, una geografia di persone e di eventi che gli è valsa più volte il World Press Photo Award. Il Pan, Palazzo Arti Napoli, ospita fino al 12 febbraio 2017 la mostra Steve McCurry – Senza Confini, summa del lavoro di questo fotografo inquieto e al contempo paziente e minuzioso. Nonostante lo spazio esiguo rispetto alla quantità di immagini presenti, la retrospettiva suggella il rapporto che McCurry ha con i paesi arabi e con quelli orientali, a partire dall’Afghanistan, suo primo amore. Ritrae donne, uomini e bambini (partecipa alla spensieratezza dei piccoli, desiderosi solo di giocare, anche nelle peggiori situazioni), attratto dai loro volti, dalle loro vicissitudini, dalle loro esistenze lontanissime, eppur vicine. Non mancano i luoghi (ripresi da una nuova, personale prospettiva, come nel caso del Taj Mahal) e campeggia supremo lo sguardo saettante e smeraldino della ragazza immortalata nel campo profughi pakistano di Peshawar, scatto tra i più fortunati della fotografia mondiale.
Dall’audioguida, la voce di McCurry, filtrata da quella dell’interprete, ripercorre gli antefatti di molte istantanee, spesso frutto di attese e di quella caponaggine che fa di un talento, di un istinto, un’espressione artistica dal forte impatto comunicativo. Gli scatti non hanno una sequenza temporale (sono esposte foto dagli anni Settanta a oggi), seguono piuttosto una linea emozionale che il visitatore introietta e fa propria a furia di scrutare, immagine dopo immagine. Indimenticabile anche la fotografia della donna indiana che sotto la pioggia, con in braccio il suo bambino, elemosina spiccioli senza sapere di aver di fronte un fotografo. O quella dei ragazzini che giocano tra le mine, intorno ad un carrarmato, innocenti in mezzo alla morte e alla distruzione della guerra.
La prima volta che McCurry arriva in Afghanistan non ha ancora trent’anni. Ritrae la tenacia e la determinazione dei combattenti, che caldeggiati dagli USA, oppongono resistenza all’invasione della Russia. McCurry fa avere il reportage al New York Times che lo pubblica e ingaggia nuovamente il promettente reporter. Inizia una carriera intensa: pubblica sul Time, su Life, su Newsweek, su Geo e sul National Geographic. Diventa membro della Magnum Photos.
Chi si accosta ad un lavoro di McCurry vibra: viaggia con il fotografo, entra nelle situazioni, si arricchisce, cambia. Cos’è la banale enormità di immagini che produciamo in confronto alla necessità di una testimonianza che leva il fiato per composizione? La tragicità più nera stinge e sfuma in un caleidoscopio di emozioni. Con McCurry vale quella regola d’oro che dice: nel raccontare una storia vale pure il come. Nel mezzo, un segreto.
La mostra, organizzata da Civita Mostre, in collaborazione con Sud Est57, è promossa dal Comune di Napoli e dal Pan.
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