Dall’America non divorzieremo

14 Luglio 2017

Chissà se Foggy Bottom ha spiegato per bene a zio Donald chi era Marie-Joseph Paul Yves Roch Gilbert du Motier, Marchese de La Fayette e quali straordinarie, non sorprendenti ma raffinate, entusiasmanti architetture culturali e storiche uniscono il marchese definito “Eroe dei Due Mondi” al discorso della vittoria di Emmanuel Macron davanti alla Pyramide du Louvre del 7 Maggio 2017.

Ed è il solito scherzo della Storia (ama a volte  travestirsi da prete) che tocchi a un nazionalista convinto come Trump dover celebrare un anniversario che segna la (breve) interruzione dell’isolazionismo americano con l’invio in Europa di un milione di boots on the ground ai comandi di Pershing sotto l’egida dei 14 Punti di Woodrow Wilson, grande presidente che per primo pensò che da oltre Atlantico si potesse esportare la democrazia in forza di un primato politico ed economico a stelle e strisce.

Basterebbe questo per far comprendere come la politica sia una cosa seria, quanto affondi le radici nel passato, nelle culture, nelle filosofie, nel sangue e purtroppo spesso nella parte peggiore delle religioni.  Basta il simbolismo di due bandiere con gli stessi colori dipanate in Place de la Concorde, nel paese europeo la cui opinione pubblica meno gradisce zio Donald, per fare piazza pulita di tutti i dubbi e gli articoli e le riflessioni che agitarono la stampa europea dopo la vittoria di Trump, quell’idea profondamente sbagliata che le divergenze di un giorno o di quattro anni possano interrompere o mutare un processo storico al quale siamo debitori di quasi tutto e che è il fondamento del nostro futuro: prima considerazione, Unione Europea e Stati Uniti sono felicemente condannati a stare dalla stessa parte della storia e questo è il più forte messaggio che la Francia di Macron ha voluto mandare ai partner.

Seconda considerazione. Downing Street è in preda a convulsioni da Brexit e rischia di trascinare il regno nei plumbei anni ’70; Angela Merkel è impegnata a difendere dal nazionalismo trumpiano il proprio modello di business che si porta dietro ricchezza, stabilità e pace sociale; Macron, che ha un paese finanziariamente traballante, dimostra invece che l’economia non è tutto e che la politica sorretta anche da una capacità di proiezione militare è tornata ad avere un ruolo centrale nella nostra vita di tutti i giorni. La “tregua siriana”, oggetto concreto dell’incontro di Parigi, non può prescindere da un accordo che coinvolga la Francia nella trattativa con Putin; ma la successiva “pace siriana” sancirà il ruolo mediterraneo della Russia attraverso le sue basi navali e aeree siriane tra Libano e Turchia, il consolidamento del  suo alleato Assad, la sua presenza nell’Egitto per noi off limits dopo il caso Regeni (per noi ma non per russi e francesi, bisognerà prima o poi fare una riflessione su questo…) e in Libia attraverso il pesante supporto offerto proprio in accordo con i francesi al Ras di Bengasi, quel generale Haftar che è tutto tranne che un nostro amico. Stati Uniti, Francia e Russia sono i tre player che stanno ridisegnando i rapporti sulle sponde del Mare Nostrum e noi non riusciamo a essere interlocutori sui migranti: siamo un “canale umanitario” ma nonostante questo non uno degli attori.

La terza considerazione sta nella dichiarazione in conferenza stampa congiunta quando Macron, sollecitato per un commento sul Russiagate, ha affermato di non volersi occupare delle vicende interne di un altro paese. Risposta solo apparentemente ovvia ma identica a quella rilasciata da Trump in Arabia Saudita perché sottende l’abbandono della dottrina di politica estera seguita ad esempio dai Liberal e dai conservatori americani negli ultimi quindici anni quando, tra esportare la democrazia e le rivoluzioni di velluto, si sono occupati eccome e dichiaratamente degli affari interni altrui sino al punto da mettere in dubbio il libero commercio con paesi che non rispettassero standard di tutela dei diritti umani; i cinesi molto apprezzeranno, e non solo loro.

La quarta e ultima considerazione che arriva sulle note della Marsigliese è invece senza risposta, e riguarda Macron e Bruxelles. Che ci sia una mano tesa oltre atlantico rispetto ai musi duri di Berlino lo abbiamo capito, che anche così si voglia rinsaldare in posizioni più equilibrate l’asse con Berlino, pure. Che si guardi a sud nel e del Mediterraneo è evidente, che Mosca sia un interlocutore tradizionale lo sappiamo bene. Ma a Bruxelles che dirà il centrista innovatore Macron? Farà uno scambio accettando una BCE tedesca a fronte di un supercommissario all’economia continentale francese? Guarderà a un rinnovo dei trattati? Questo non è ancora chiaro. Per intanto godiamoci l’eredità del Marchese di La Fayette, quella immagine di soldati americani che sfilano sui Campi Elisi nelle divise dei tempi delle battaglie a Saint Mihiel quando per la prima volta affiancarono i francesi e mandarono in crisi il dispositivo militare di Luddendorf, privo stavolta di quell’Hoffmann vero stratega di Tannenberg. Poi, come sappiamo, la politica fece fiasco e dovettero tornare dalla Normandia.

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P.S: Su zio Donald ne dovremmo dire delle belle ma ci torneremo.

 

 

 

 

 

 

 

 

TAG: Donald Trump, Emmanuel Macron, Stati Uniti, Unione europea
CAT: Geopolitica

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