Gerusalemme e l’Africa difficile da conquistare

17 Ottobre 2023

Ciò che sta accadendo in Palestina è solo (purtroppo) un paragrafo di una storia millenaria, che va però seguita e capita. La situazione sul terreno è profondamente cambiata: Israele può contare sul dispiegamento di una miriade di occhi che non perdono mai di vista Gaza: droni, telecamere – il sistema Red Wolf, una capillare network di telecamere e sensori, fiore all’occhiello dell’industria hi-tech israeliana dedicata alla sorveglianza di massa in Palestina -, soldati di guardia, agenti sotto copertura, uno stretto coordinamento da parte dei servizi di intelligence come il Mossad, lo Shin Bet o l’IDF che non lesinano intensi controlli sulle reti informatiche e sulle telecomunicazioni, contando su una delle più aggressive e sofisticate industrie di spionaggio, od almeno questo è quello che abbiamo saputo sino ad oggi.

Eppure la massiccia aggressione senza precedenti sferrata da Hamas il 7 ottobre scorso, costata diverse centinaia di morti, rivela una incredibile impreparazione da parte della difesa israeliana. L’attacco su più fronti, attuato col lancio di migliaia di missili Qassam – che ha messo in crisi il sistema di difesa Iron Dome – e l’attraversamento del confine di centinaia di militanti di Hamas in territorio israeliano, apparentemente senza ostacoli, ha avuto certamente bisogno di mesi di pianificazione, con l’aiuto di alleati come Hezbollah e Iran, mesi durante i quali non sembra essere trapelato nulla. Un fallimento inspiegabile dei servizi di intelligence, servizi che negli anni si sono guadagnati, grazie a diversi successi, un’aurea di invincibilità.

Quanto questo fallimento sia da ricondurre allo stesso mondo dell’intelligence oppure alla politica è difficile dirlo: l’attribuzione delle responsabilità alle agenzie è una pratica ricorrente, soprattutto quando si è alla ricerca di un facile capro espiatorio, ma spesso queste situazioni sono frutto di un abbassamento della guardia da parte della politica. L’osmosi tra intelligence e universo politico in Israele è cosa nota. Non di rado appartenenti ai servizi finiscono per ricoprire ruoli di spicco nella politica, soprattutto in ambito diplomatico. È il caso di Ronen Levi, nome in codice “Maoz”, il cui arruolamento rientra in una politica di riavvicinamento e riconquista diplomatica di diversi Paesi africani.

Tra vittorie ed insuccessi

1958: Il Ministro degli Esteri israeliano, Golda Meir, visita il Ghana[1]

Durante gli anni ’50 Israele svolge una intensa attività diplomatica nell’Africa sub-sahariana: per l’allora Ministro degli Esteri Golda Meir, l’Africa è una priorità assoluta. Già nel 1970 vengono strette relazioni diplomatiche con circa 30 Paesi africani, che però vengono bruscamente interrotte dalla guerra dello Yom Kippur, che sfocia nell’embargo petrolifero imposto dalle monarchie del Golfo, creando una profonda spaccatura tra Israele e Africa, specie dopo che, a seguito di una risoluzione dell’Organizzazione per l’Unità Africana e sotto la pressione della Lega Araba, nel 1975 19 paesi africani votano a favore della risoluzione 3379 delle Nazioni Unite (revocata poi nel 1991) che indica il sionismo come una forma di razzismo e di discriminazione razziale[2].

Nel 1978, grazie agli accordi di Camp David e alla normalizzazione delle relazioni tra Israele ed Egitto[3], inizia un nuovo riavvicinamento, rafforzato anche dagli accordi di Oslo[4]; ma ciò non basta, Israele non ottiene ancora il sostegno diplomatico dell’Africa nei forum multilaterali. Dal 2009 in poi, sotto la guida di Benjamin Netanyahu, che dichiara “Israele sta tornando in Africa e l’Africa sta tornando in Israele”[5], il tema diviene di nuovo centrale. Bisogna abbattere il muro del pregiudizio anti-israeliano nei forum multilaterali, soprattutto nell’assemblea Generale delle Nazioni Unite, dove l’Africa ha ben 45 seggi: basti pensare che nel 2018 soltanto sette Paesi (Capo Verde, Eritrea, Lesotho, Liberia, Malawi, Ruanda e Sud Sudan) votano a favore di una risoluzione presentata dagli Stati Uniti che condanna gli attacchi di Hamas sul territorio israeliano.

Il battente lavoro diplomatico porta ad indubbie conquiste: oggi Israele intrattiene relazioni diplomatiche con 39 dei 54 stati africani riconosciuti dall’ONU e ci sono 13 ambasciate israeliane in Africa: Kenya, Etiopia, Angola, Sudafrica, Camerun, Costa d’Avorio, Egitto, Eritrea, Ghana, Nigeria, Ruanda, Senegal e Sud Sudan[6]. Gli Stati africani che oggi rifiutano di riconoscere lo Stato di Israele sono Algeria, Comore, Gibuti, Mali, Niger, Somalia e Tunisia.

Dietro la volontà di avvicinamento del continente Africano ci sono anche importanti sviluppi che ridisegnano gli equilibri sulla scena mondiale: gli USA si ritirano dal Medio Oriente allentando la propria influenza, la Cina firma importanti contratti commerciali con l’Iran nell’ambito del progetto Belt and Road Initiative (BRI), la Russia esercita una vasta pressione politico/economica in gran parte dell’Africa sub-sahariana, alimentata dai recenti sviluppi legati alla guerra in Ucraina. Inoltre c’è la questione israelo-palestinese: il sostegno da parte dell’Africa verso Israele potrebbe rappresentare una marcia in più per sconfiggere Hamas, notoriamente finanziato da paesi come il Qatar, la Siria, l’Arabia Saudita e l’Iran, quest’ultimo oggi divenuto il principale sostenitore.

Il recente attacco di Hamas verso Israele è una importante cartina al tornasole del successo ottenuto dal lavoro diplomatico svolto: in queste ore il presidente keniota William Ruto, con una nota pubblica, fa sapere che “si unisce al resto del mondo in solidarietà con lo Stato di Israele e condanna inequivocabilmente il terrorismo e gli attacchi contro civili innocenti nel paese. Non esiste alcuna giustificazione per il terrorismo, che costituisce una seria minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale”. Un chiaro segnale di vicinanza.

Anche Zambia, Ghana[7] e Repubblica Democratica del Congo sono tra le nazioni africane che si sono allineate alla posizione di Israele. Ma il continente è ancora diviso, con l’Algeria che dichiara “piena solidarietà alla Palestina”. La Commissione dell’Unione Africana guidata da Moussa Mahamat Faki (politico del Ciad attuale Presidente della Commissione dell’UA), pur esprimendo preoccupazione per le violenze, accusa la “negazione dei diritti fondamentali dei palestinesi” e chiede una soluzione a due Stati. Il Sud Africa, denuncia l’escalation di violenza ma è chiaro nel sostenere che il conflitto è nato dalla “continua occupazione illegale della terra palestinese da parte di Israele, dalla continua espansione degli insediamenti, dalla profanazione della moschea di Al Aqsa e dei luoghi santi cristiani, e dalla continua oppressione dei il popolo palestinese”, offrendosi comunque come mediatore[8].

Il riavvicinamento ha quindi ancora tanta strada da percorrere: bisogna fare i conti con Paesi che, per la maggior parte, hanno subito il brutale dominio coloniale, ed il sentimento anti-occidentale è duro da sradicare, c’è una naturale freddezza verso il neonato Israele mentre di contro c’è simpatia verso la lotta dei palestinesi scacciati dalle loro terre e dalle loro case dal 1948 in poi.

Dallo Shin Bet alla politica: l’intelligence come strumento diplomatico

Il direttore generale del Ministero degli Esteri Ronen Levi[9]

Alon Ushpiz, direttore generale del Ministero degli Esteri, il 15 gennaio di quest’anno annuncia le proprie dimissioni. Il suo incarico viene assegnato a Ronen Levi, 48 anni, nato e cresciuto a Moshavim, vicino alla città di Netivot. Parla correntemente l’arabo ed è stato un uomo di punta del Consiglio di Sicurezza Nazionale nel mondo arabo e in Africa. Laureato in scienze comportamentali, gestione aziendale ed economia presso l’Università Ben-Gurion, ha un titolo presso il Peres Academic Center[10].

Scelto dal Ministro degli Esteri Eli Cohen, Ronen Levi è un personaggio che vanta trascorsi decisivi nei rapporti diplomatici israeliani con numerosi Paesi, una intensa attività svolta nell’ombra: il suo volto ed il suo vero nome viene svelato soltanto dopo la sua elezione. Noto col nome in codice “Maoz” (roccaforte), lavora per venti anni nello Shin Bet, l’agenzia d’intelligence interna, ed è ritenuto uno dei massimi esperti di Hamas, con all’attivo numerose operazioni sotto copertura nella striscia di Gaza. Si distingue immediatamente per le sue fruttuose attività sul campo, quasi ad essere indicato come una figura mitologica: si racconta che, nel 2015, arrivato sul luogo dell’attacco alla centrale stazione di Beer Sheva, riesca a riconoscere l’appartenenza familiare del terrorista basandosi solo sui tratti del viso e senza vedere alcun documento di identificazione. Le sue intuizioni in seguito si rivelano esatte[11].

Nominato nel 2017 capo dell’ufficio per le relazioni speciali nel Consiglio per la Sicurezza Nazionale (NSC), allora diretto da Meir Ben-Shabbat, viene messo a capo di una divisione per agire come emissario per missioni speciali: uno dei suoi compiti principali è promuovere le relazioni con l’Egitto e prevenire gli scontri tra Israele e Hamas a Gaza con l’aiuto degli stessi egiziani. È proprio grazie alle strette relazioni ottenute con l’Egitto, con il quale costruisce una fitta ed affidabile rete, che riesce ad avere successo nel controllare e contenere le reazioni di Hamas[12].

Si occupa dei paesi con cui Israele non ha relazioni formali, divenendo inviato speciale del primo ministro Benjamin Netanyahu nel Medio Oriente ed in Africa[13]. Ed è proprio in questa fase che Levi inizia a distinguersi per la sua abilità di mediazione: a causa della sua singolare intelligenza emotiva e della capacità di identificare rapidamente il modo di pensare dei suoi interlocutori[14], viene definito dallo stesso Ministro Cohen “uno degli individui più esperti e creativi nel collegare e rafforzare i legami internazionali per Israele”, divenendo così il protagonista silenzioso in numerosi incontri diplomatici di rilievo[15].

Levi ha un importante ruolo nel ristabilire le relazioni diplomatiche con il Ciad, interrotte da ben 47 anni: nel 2019 inizia una fase di riavvicinamento, grazie anche alla volontà dell’allora Presidente Idriss Déby Itno. Ma dopo la morte di quest’ultimo avvenuta nel 2021 a causa delle gravi ferite riportate in uno scontro a fuoco con un gruppo di ribelli, il percorso si complica di nuovo. Per il Presidente ad interim succedutogli, Mahamat Idriss Déby, riallacciare le relazioni con Israele non è una priorità, ma l’intervento del Mossad, che lavora intensamente in molte aree dell’Africa[16], riesce ad invertire la rotta. L’attento lavoro diplomatico porta all’apertura di una ambasciata del Ciad a Gerusalemme nel febbraio del 2022: secondo alcune fonti diplomatiche, il regista del riavvicinamento è proprio Ronen Levi[17].

Nella seconda metà del 2020 ha un ruolo centrale nel conseguimento degli accordi di Abraham, presi per normalizzare le relazioni tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Sudan e Marocco. Levi prepara meticolosamente l’incontro spianando la strada attraverso numerosi interventi diplomatici segreti in Sudan, ed è quella l’occasione in cui inizia a collaborare con l’allora ministro dell’Intelligence, Eli Cohen, incaricato da Netanyahu di coordinare l’instaurazione delle relazioni con il Sudan[18]. Levi rimane una figura centrale nello stabilimento dei legami tra Israele e Bahrein, gli Emirati Arabi Uniti – incontra personalmente il Ministro degli Affari Esteri degli Emirati Abdullah bin Zayed Al Nahyan[19] – e gli Stati Uniti, nel quadro degli Accordi di Abraham. Insieme a Ben Shabat, la sua intensa attività diplomatica prosegue anche dopo gli accordi con numerosi incontri con gli alti funzionari dei paesi coinvolti[20]. Il Mossad però non gradisce il lavoro di “Maoz”, perché “gli sforzi di Meir Ben-Shabbat e Maoz di mantenere i legami con i paesi della regione aggirano il Mossad”[21].

A seguito del successo degli Accordi di Abraham viene avviato un nuovo processo di normalizzazione, al quale partecipano Israele, India, Emirati Arabi Uniti e Stati Uniti che, riunitisi nel 2021, diverranno il Gruppo I2U2. Il vertice inaugurale, nel quale non può mancare Ronen Levi che pronuncia il discorso di apertura[22], avviene il 14 luglio 2022: il gruppo si prefigge di intensificare la cooperazione economica mettendo al centro temi come acqua, energia, trasporti, spazio, salute e sicurezza alimentare[23]. Nel settembre di quest’anno viene lanciato con grande enfasi il relativo sito web[24].

Nei primi di giugno del 2023 il lavoro di Ronan Levi si concentra sull’Azerbaijan, col quale iniziano relazioni piuttosto proficue[25] sugellate da una serie di incontri[26] che si concludono con un trionfante annuncio pubblico: Israele ed Azerbaijan avvieranno una stretta cooperazione; Hikmat Hajiyev, consigliere presidenziale per la politica estera azero, esprime la sua gratitudine a Ronen Levi per i risultati raggiunti[27].

Nell’agosto 2023 Israele compie un altro passo diplomatico importante: l’incontro definito storico a Roma tra il Ministro degli Esteri israeliano Eli Cohen ed il suo omologo libico Najla Mangoush, mediato dal ministro degli Esteri italiano Antonio Tajani. È il primo contatto diplomatico in assoluto tra i due paesi e, ancora una volta, Ronen Levi è uno dei protagonisti: l’incontro è il frutto di almeno 10 anni di relazioni diplomatiche segrete avute con il Mossad che, malgrado i malumori, continua la sua attività diplomatica in ombra[28]. Ma qualcosa va storto.

L’operazione viene pianificata in gran segreto, ma il Ministro israeliano Eli Cohen, ad incontro concluso, ne parla pubblicamente, facendo esplodere un caso diplomatico. Nelle zone orientali della Libia manifestazioni spontanee bruciano in piazza bandiere israeliane, l’opposizione libica insorge con dure proteste, al punto che il Ministro degli Esteri Najla Mangoush è costretta a fuggire in Turchia; il suo incarico viene sospeso, al suo posto viene aletto un sostituto ad interim, il Consiglio presidenziale della Libia chiede di aprire un’indagine[29]. Mangoush prova a difendersi asserendo di aver “sempre rifiutato di incontrarsi con qualsiasi rappresentante israeliano, e che quell’incontro non era pianificato e quindi non ufficiale”, ma serve a poco. Alcune ore dopo l’ufficio del Ministro rilascia una dichiarazione: “Il primo ministro libico Abdel Hamid Dbeibeh si è incontrato con il primo ministro italiano Meloni e ha concordato che questa riunione ministeriale (con Cohen) avrebbe avuto luogo” e che Najla Mangoush avrebbe asserito il falso obbedendo ad una richiesta dello stesso Primo Ministro per evitare imbarazzi. Peccato che poi per questo l’abbia sospesa[30].

L’azione suscita l’indignazione anche dei Jihadisti che dichiarano: “Condanniamo aspramente l’incontro di normalizzazione tra il ministro degli Esteri sionista e il ministro degli Esteri libico. Questo incontro rappresenta un pericoloso ritiro dai valori della nazione e un tuffo nel pantano della normalizzazione. Confidiamo che il popolo libico non accetti tali incontri”[31]. Levi non si lascia intimidire ed i suoi colloqui proseguono: nel settembre 2023 è la volta del Bahrain dove l’ex agente dello Shin Bet incontra colui che definisce suo “caro amico”, l’Ambasciatore Dr. Sheikh Abdulla bin Ahmed Al Khalifa, Sottosegretario agli Affari Politici in Bahrain[32]. L’incontro mira alla costruzione di una cooperazione sulla scia degli Accordi di Abraham.

Un futuro legato all’incertezza

Nella normalizzazione dei rapporti con i Paesi africani, obiettivo chiave per Israele, c’è ancora molta strada da fare[33]

A causa del conflitto israelo-palestinese le maggiori conquiste fatte sul piano diplomatico con alcuni paesi africani sono per ora sospese se non sfumate: ad essere rimessi in discussione ci sono per primi gli accordi di Abraham, l’Arabia Saudita decide di sospendere i colloqui sulla normalizzazione rischiando di buttare alle ortiche tre anni di successi[34]. La violenta risposta di Netanyahu spinge in strada in Marocco molti manifestanti a sostegno della Palestina avversando la normalizzazione con il governo israeliano, mentre il partito islamico marocchino Giustizia e Sviluppo, in maggioranza fino alle elezioni del 2021, elogia l’attacco di Hamas: “una reazione naturale e legittima alle violazioni quotidiane”[35].

Il Sudan ripristina le relazioni diplomatiche con l’Iran, sponsor di Hamas, e la data dell’evento è a dir poco sospetta: appena il giorno prima dell’attacco sferrato da Hamas in Israele[36]. Lo stesso Egitto, che per anni conquista il ruolo tradizionale di mediatore, rimette in discussione la sua posizione incolpando Israele di istigare i brutali attacchi guidati da Hamas contro i civili israeliani[37]. Dal 2022 anche la Turchia normalizza i rapporti diplomatici con Israele, ma negli anni il presidente Recep Tayyip Erdoğan si dimostra essere un fervente sostenitore della causa palestinese, mantiene rapporti con Hamas ed ospita i membri del movimento, questo non lo rende certo un partner affidabile[38].

Hezbollah non sta a guardare e, malgrado oggi non abbia una precisa necessità di ingaggiare uno scontro diretto con Israele – oggi è il partito politico più potente in Libano -, approfitta comunque dell’instabilità per mettere in atto una seppur blanda offesa militare col lancio di alcuni razzi in territorio libanese controllato da Israele, alimentando così anche la risposta contro Israele da parte di fazioni palestinesi dal Libano, un gioco a cui Hezbollah si presta da anni per dimostrare la sua solidarietà alla resistenza palestinese[39].

C’è poi un altro aspetto importante, ovvero che l’attuale situazione ha distolto l’attenzione dal conflitto in Ucraina, e questa per la Russia è una doppia vittoria: le crisi in Israele, in Kosovo, nel Nagorno-Karabakh e in Africa potrebbero far pensare che dietro ci sia Vladimir Putin a muovere in qualche modo i fili – che del resto da anni corteggia Hamas[40] e di recente ha ricevuto a Mosca il suo leader Ismail Haniyeh[41]. È certo che il Presidente sfrutti la situazione soffiando sul fuoco per trarne vantaggio. Gli USA verranno completamente assorbiti dalla crisi israeliana e quanto ciò sia un regalo per la Russia dipende tutto dalla durata del conflitto. I Paesi della NATO già da un po’ registrano stanchezza nei consensi sul fronte dell’aiuto bellico all’Ucraina, e la situazione attuale non farà che aggravare tali aspetti.

Gli sviluppi del conflitto israelo-palestinese potrebbero portare ad importanti conseguenze. Il rischio di una vasta destabilizzazione mediorientale è sempre alle porte, mai come stavolta il destino, non solo dei palestinesi, è nelle mani di un solo uomo, Netanyahu. Si è in attesa di una azione di attacco nei confronti di Hamas che, come annunciato, potrebbe essere devastante e le conseguenze imprevedibili, ed è qui che il ruolo di molti paesi dell’area potrebbe cambiare atteggiamento diplomatico nei confronti di Israele. L’appoggio dei paesi africani alla resistenza palestinese per ora sembra avere la meglio.

Intanto gli Stati Uniti, non troppo convintamente, stanno offrendo il loro appoggio logistico inviando navi e caccia nell’est del Mediterraneo assieme ad un sostanzioso pacchetto di armi e munizioni, ma Biden si mostra critico nei confronti della bellicosa determinazione del suo antico partner: chiede che gli interventi facciano meno vittime possibili e che si garantiscano corridoi per gli aiuti umanitari, anche se sa bene di parlare nel vento. Quel vento che spira verso Africa, l’unica vera speranza di mitigare la vendetta di Netanyahu.

 

 

 

[1] https://www.facebook.com/IsraelinGhana/posts/tbt-to-when-mrs-golda-meir-israels-foreign-minister-visited-ghana-in-1958-she-re/2733890539982257/
[2] https://ecf.org.il/issues/issue/1320
[3] https://history.state.gov/milestones/1977-1980/camp-david
[4] https://history.state.gov/milestones/1993-2000/oslo
[5] https://www.israelnationalnews.com/news/215621
[6] https://embassies.net/israel-embassy
[7] https://twitter.com/GhanaMFA/status/1711004783467765761?t=IQjt18KsW4z3isIFkdbsIQ&s=19
[8] https://www.semafor.com/article/10/10/2023/africa-responds-to-hamas-attack-on-israel
[9] https://www.israelhayom.co.il/news/geopolitics/article/13585652
[10] https://www.gov.il/en/departments/people/ronen-levi-cv
[11] https://www.israelhayom.co.il/news/geopolitics/article/13585652
[12] https://www.israelhayom.co.il/news/geopolitics/article/13585652
[13] https://www.timesofisrael.com/foreign-ministry-director-general-resigns-key-intelligence-official-to-step-in/
[14] https://www.israelhayom.co.il/news/geopolitics/article/13585652
[15] https://www.timesofisrael.com/foreign-ministry-director-general-resigns-key-intelligence-official-to-step-in/
[16] https://formiche.net/2021/11/mossad-attentati-iran-africa/
[17] https://formiche.net/2023/01/nome-in-codice-maoz-chi-e-il-nuovo-capo-dei-diplomatici-israeliani/.
[18] https://www.israelhayom.co.il/article/844067
[19] https://www.mofa.gov.ae/en/mediahub/news/2023/2/22/22-02-2023-uae-israeli
[20] https://www.israelhayom.co.il/news/geopolitics/article/13585652
[21] https://www.timesofisrael.com/foreign-ministry-director-general-resigns-key-intelligence-official-to-step-in/
[22] https://usuaebusiness.org/events/state-department-announces-i2u2-private-enterprise-partnership/
[23] https://www.usip.org/publications/2022/07/what-you-need-know-about-i2u2
[24] https://telecom.economictimes.indiatimes.com/news/satcom/india-israel-uae-us-announce-space-venture/103878586?redirect=1
[25] https://nuhcixan.az/news/siyaset/87460-azerbaycan-sefiri-ve-israil-xin-in-bas-direktoru-emekdasliq-meselelerini-muzakire-edibler
[26] https://apa.az/en/foreign-policy/azerbaijani-ambassador-met-with-director-general-of-israel-mfa-407158
[27] https://caliber.az/en/post/188760/
[28] https://www.ynetnews.com/article/syi4vkta3
[29] https://www.ynetnews.com/article/bk006ehyp3
[30] https://www.ynetnews.com/article/b1ca2zqth#autoplay
[31] https://www.ynetnews.com/article/syi4vkta3
[32] https://7enews.net/en/news-en/ronen-levi-we-have-commenced-our-working-sessions-in-bahrain-with-ambassador-abdulla-bin-ahmed/
[33] https://www.aljazeera.com/features/2023/10/14/israel-hamas-war-why-is-africa-divided-on-supporting-palestine
[34] https://www.anews.com.tr/middle-east/2023/10/14/saudi-arabia-pauses-talks-on-normalising-ties-with-israel-source
[35] https://foreignpolicy.com/2023/10/11/israel-hamas-morocco-sudan-abraham-accords/
[36] https://sudantribune.com/article278174/
[37] https://www.ispionline.it/en/publication/hamas-israel-escalation-the-risk-of-a-regional-spillover-147871
[38] https://www.ispionline.it/en/publication/hamas-israel-escalation-the-risk-of-a-regional-spillover-147871
[39] https://www.timesofisrael.com/liveblog_entry/lebanon-says-hezbollah-has-promised-not-to-join-war-unless-israel-harasses-country/
[40] https://www.aljazeera.com/news/2006/2/9/putin-to-invite-hamas-to-moscow
[41] https://www.timesofisrael.com/russias-lavrov-meets-with-hamas-politburo-chief-haniyeh-in-moscow/

TAG: Africa, hamas, Israele, Netanyahu, Palestina
CAT: Geopolitica

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