“Noi avevamo i due stati, i giovani palestinesi di oggi cosa possono sognare?”

14 Novembre 2023

BETLEMME – “Quando sono arrivato qui, a diciassette, diciotto anni, ero un giovane seminarista. Era il 1989, il sogno della Liberazione della Palestina era un bel sogno per tutti, non solo per i palestinesi. Non avrei mai creduto di arrivare ai cinquant’anni e di trovarmi di fronte a una miniera di odio”. Iyad Twal scuote la testa, nel suo ufficio di vicedirettore e professore di Filosofia dell’Università di Betlemme, istituto cattolico dell’ordine di La Salle aperto a tutti i giovani arabi dell’area, che conta oltre tremila iscritti in diverse facoltà, dalla medicina all’arte, dall’economia alle scienze sociali. “Ma pochi giorni dopo il 7 ottobre abbiamo deciso di passare alle lezioni online per tutte. Un po’ perchè per i nostri studenti è diventato difficile, a tratti impossibile, muoversi da casa”, per la tremenda stretta sui movimenti imposta dalle autorità israeliane. “E un po’ perchè…”. Esita un po’, arrivato a questo punto, questo cinquantenne prete “cattolico romano” – precisa sorridendo – dal fluente italiano, nato in Giordania ma che da sempre si occupa di educazione culturale e spirituale della gioventù palestinese. “Un po’ perchè i nostri ragazzi sembravano non volere venire più, fare altro. Erano insieme scoraggiati e spaventati, oppure ripetevano in coro cose ingenue e impossibili sulla fine dell’occupazione della Palestina, come se fosse possibile dall’oggi al domani, senza rendersi conto che la causa palestinese è trattata da ogni lato come un giocattolo, in maniera strumentale”. Mi racconta della Palestina come della terra che ha amato e ama, anche se non ci è nato. Ha lavorato ovunque, anche a Gaza dove in mezzo all’Islam sunnita, ma con la politica sempre più influenzata dall’Iran,  ci sono anche due comunità che fanno riferimento al Patriarcato Latino. Adesso lavora a tempo pieno in questa splendida università, un luogo bellissimo tanto da sembrare irreale in mezzo alle macerie della Palestina di oggi.

Partiamo da qui. Da quei giovani con cui questo educatore cristiano condivide vita e tempo da molti anni. Come li vede, conoscendone molti, dopo quest’ultima spirale inaudita di violenza e di nuova privazione della libertà, dei diritti, del futuro. “Subito dopo il brutale attacco di Hamas e la tremenda e disumana repressione israeliana, nei primi giorni si sentiva l’ingenua speranza di poter liberare la Palestina. Ovviamente la realtà è un’altra”. Scuote spesso la testa e sospira, come capita a chi sa che le parole di speranza hanno bisogno di tempi al passato, o di modi dell’irrealtà. “Noi abbiamo avuto il processo di pace a cui credere. Abbiamo avuto Oslo. Abbiamo avuto la speranza concreta dei due stati per due popoli. È finito tutto malissimo, ma mentre succedeva ci credevamo, potevamo pensare che all’Orizzonte ci fosse un reciproco riconoscimento e la pace. Ma adesso, questi ragazzi, a quale prospettiva possono credere?”.
Sente crescere la fascinazione per Hamas e per gli integralismi anche qui, che siamo lontani da Gaza.
“Certo. Naturalmente sì. L’assenza di prospettiva ti fa credere alle prospettive estreme, sbagliate, distruttive e non credibili, soprattutto quando sei giovane e spaventato. Poi ci sono i giovani della minoranza cristiana, che invece vivono con terrore la possibilità che vinca Hamas anche qui, e che controlli il nostro territorio. Che questo possa diventare un problema per loro, in quanto cristiani. Io cerco di rassicurarli, dicendogli che dà un lato sta anche a loro a prendere parte alla vita politica e far sentire la loro voce, e dall’altro in altri posti dove governa la Fratellanza Musulmana, come in Turchia, i diritti dei cristiani sono comunque rispettati. E insomma, siamo in Palestina, la culla della cristianità, con gli occhi del mondo addosso… prima di toccare la libertà dei cristiani chiunque ci penserebbe molto bene. A tutti loro dico di restare e di tenere il punto. Oppure di andare, se lo desiderano, il mondo è grande, ma senza perdere un legame con questa terra. Quando scopro che ci sono palestinesi che sono emigrati e ai loro figli non hanno neanche insegnato l’arabo mi vergogno per loro”.

Gaza, con Hamas, è però diventata una centrale dell’Islam politico di matrice sciita-iraniana. Quando è successo che quei palestinesi, così vicini agli egiziani, in maggioranza sunniti, son diventati una specie di emanazione di Teheran? “La ragione principale” ragiona Twal “è la debolezza del mondo arabo. Quando Al Sisi, i Sauditi e gli altri hanno decretato la fine dei Fratelli Musulmani, e hanno tolto ad Hamas la sponda dell’Egitto di Morsi e ogni altro appoggio di altri Fratelli Musulmani, l’Iran degli Ayatollah è stato prontissimo ad approfittare di quella solitudine, fornendo appoggio e armi ad Hamas, con le conseguenze che conosciamo e che abbiamo visto all’opera in maniera compiuta con i fatti del 7 ottobre, che per me restano un mistero difficile da comprendere per entità dell’attacco, rapidità dell’azione, lentezza della risposta sul campo da parte israeliana”. In Israele sarà un trauma di lunghissimo periodo. Adesso non si parla d’altro, ed è ovvio. Ma la mia sensazione – gli dico – è che sarà una nuova data di memoria collettiva del calendario collettivo d’Israele per molte generazioni. “Quel che ho capito d’Israele, in questi anni, è che è una società fondata sulla paura. La cui unità è tutta basata sulla paura di un nemico comune. In questi mesi, se ci pensiamo, le divisioni profonde che riguardano la società israeliana – società aperta vs società chiusa; laici vs religiosi; destra vs sinistra – erano più che mai evidenti e profonde. Il 7 ottobre ha ricompattato tutti, almeno per il momento, attorno a Netanyahu”.
E Netanyahu è anche il miglior alleato di Hamas, che il 7 ottobre ha ucciso oltre mille civili israeliani e rapito 200 persone? “Senza alcun dubbio”. Poi, prima che ci salutiamo, aggiunge: “Spero che il mondo non ci abbandoni più di quanto non abbia già fatto. In tempo di pace vengono a trovarci gli ambasciatori di tanti paesi europei. Nelle ultime settimane, non abbiamo visto ancora nessuno”.

 

TAG: bethlehem university, Iyad Twal
CAT: Geopolitica

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