La Brexit, l’Irlanda del Nord e l’accordo che con l’Europa ancora non c’è
La “buzzword” del giorno è Regulatory allignment: stesse regole di trasporto dei beni commerciali tra le sei contee del Nord e la Repubblica d’Irlanda. Credete che sia una questione che non ci riguarda come italiani? Che sia lontana da noi? Guardate al numero di nostri concittadini che vivono da una parte e dall’altra. Guardate a quelli che stanno scegliendo Dublino negli ultimi mesi al posto di Londra. E, forse, cambierete idea.
Non è una questione burocratica l’accordo che questo pomeriggio non si è raggiunto tra l’Unione Europea e la Gran Bretagna per il mantenimento delle stesse regole di commercio tra Repubblica di Irlanda e Irlanda del Nord. Non lo è perché si intreccia con la situazione politica post Brexit: il Dup è la stampella su cui si regge il fragile governo May con i suoi dieci seggi di soccorso. E la leader Arlene Foster oggi pomeriggio è stata chiara: no a qualsiasi accordo che renda il mercato economico nord irlandese diverso da quello della Gran Bretagna. Quindi, se il nuovo ministro della giustizia irlandese Coveney, subentrato la scorsa settimana a Frances Fitzgerald dopo il suo coinvolgimento nello scandalo sulla corruzione della Garda (la Polizia), che ha la delega sulla Brexit si diceva qualche ora fa certo di un accordo perché un confine fisico non torni a tagliare in due l’isola, nel pomeriggio è arrivata la doccia fredda.
Senza accordo sul confine tra Repubblica d’Irlanda e Irlanda del Nord i negoziati per la Brexit non vanno avanti. Anche questo fornisce la misura del passaggio fondamentale. La Foster insiste: se la Gran Bretagna uscirà senza un accordo perché lo deve avere il Nord Irlanda? Nicola Sturgeon da parte sua in Scozia rilancia: se accordo separato per loro ci sarà perché non ci dovrebbe essere per noi?
L’accordo sul commercio non è solo un accordo sul commercio perché mette in gioco anche gli accordi di pace, il Good friday agreement, di cui il prossimo anno ricorre il 20esimo anniversario.
L’impressione è che a molti nella politica dell’isola faccia comodo la confusione. E la linea dura del Dup non tiene conto del fatto che in Nord Irlanda al referendum per la Brexit ha vinto il Remain con il 60 percento. Oltretutto con le uniche constituency favorevoli al Leave ben lontane dal confine. Il Dup non vede lontanamente possibile neanche un confine nel mare irlandese.
Non sarebbe corretto soffiare sul fuoco e pensare che questo genere di situazione possa portare a una riaccensione della violenza. Perché in questo braccio di ferro chi rimane fuori dalla contesa sono proprio i cittadini piegati, soprattutto a Nord dalla crisi economica. Come i cittadini che al confine non hanno nessuna intenzione di tornare a valicare i controlli per andare a lavorare dall’altra pace.
Tutto questo dimostra che i frutti della pace sono soprattutto i politici che non hanno imparato a coglierli: sono loro che non vogliono vedere come le due parti dell’isola siano in grado di trainarsi a vicenda. Che il turismo della Repubblica è da traino per il nord. Non più tardi una settimana fa ho visto a Dublino l’ennesima comitiva partire per un tour per Belfast. Dopo aver noleggiato un taxi guidato da un uomo dichiaratamente unionista. E’ forse consapevole, lui, che ha votato Leave, di come la sua attività commerciale sarebbe danneggiata dal passaggio di una frontiera?
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