Il trionfo di Jacinda Ardern e la Nuova Zelanda che verrà
La scorsa settimana si è votato in Nuova Zelanda. Il Paese che è, orgogliosamente, patria di 5 milioni di cittadini e 35 milioni di pecore, aveva rimandato il suo turno elettorale a causa della pandemia di coronavirus. La tornata elettorale chiamava i votanti ad esprimersi sul Primo Ministro e due importanti referendum: legalizzazione della marijuana ed eutanasia per alcuni pazienti. Due proposte estremamente progressiste fortemente volute da un governo a sua volta estremamente progressista. Il quale ha dominato, imponendosi con un plebiscito di preferenze: il 50% degli elettori ha scelto di riconfermare il partito laburista.
Un’elezione decisa in partenza
I risultati dei referendum saranno resi noti a fine mese. Intanto, si sono scrutinati i voti delle elezioni politiche e il risultato è senza appello. Per commentarlo con le parole di un esponente di spicco del Labour neozelandese, il ministro David Parker: “Si tratta di un risultato pazzesco, in primo luogo e soprattutto per il Primo Ministro, ma anche in senso più ampio per il partito e il movimento laburista.”
Esattamente come i sondaggi e le previsioni indicavano, il partito laburista è stato riconfermato sfiorando il 50% dei consensi, quasi doppiando i principali avversari, i conservatori del National Party. Questi ultimi non hanno superato il 27% delle preferenze. L’obiettivo dichiarato dei laburisti era quello di arrivare da soli alla soglia necessaria per ottenere la maggioranza assoluta. Nessuno ci era mai riuscito negli ultimi 24 anni, da quando il Paese vota con il nuovo sistema proporzionale; nessuno prima di Jacinda Ardern, s’intende. Come accade ovunque, i partiti sono costretti a creare alleanze per formare il governo anche a queste latitudini, questa volta non è necessario. Questa volta, il Labour può governare da solo.
Difficilmente lo farà, in quanto Ardern ha già annunciato la sua intenzione di aprire un’alleanza con i Verdi, dal momento che la sua agenda è occupata principalmente da un progetto; legare il Paese all’energia pulita.
Il discorso del Primo Ministro
“Queste non sono state elezioni ordinarie, perché non ci troviamo in tempi ordinari. C’è ansia e c’è incertezza e noi vogliamo essere un antidoto ad entrambe. Il mondo in cui viviamo è sempre più polarizzato. È un luogo dove, sempre più frequentemente, la gente non è più in grado di accettare e sostenere un punto di vista diverso. Ritengo che in queste elezioni i neozelandesi abbiano dimostrato che noi non siamo questo.” Il discorso di Ardern, per quanto poco originale e piuttosto banale, ha catalizzato centinaia di sostenitori acclamanti ad Auckland. Il partito di sinistra non aveva mai goduto di un simile consenso, negli ultimi 50 anni. Il Primo Ministro ha promesso che governerà per tutti, indipendentemente dalle convinzioni politiche e che non darà per scontata la propria popolarità.
La sua sfidante, anch’essa donna, era l’avvocato Judith Collins, la leader del National Party. La sua figura è diametralmente opposta a quella di Ardern, in quanto Collins si vanta da sempre delle sue posizioni fortemente conservatrici, definite da lei stessa thatcheriane. Effettivamente, il risultato che ha conseguito è adatto a chiunque proponga politiche risalenti agli anni ’80. “È un riscontro straordinario per il partito laburista, la campagna elettorale è stata dura per tutti.” Ha affermato Collins.
Il fascino di Jacinda Ardern
Difficilmente il Labour avrebbe ottenuto un simile risultato se non avesse proposto la candidatura Ardern. Il Primo Ministro è un personaggio magnetico, più simile ad una rockstar che ad un politico, come abbiamo potuto vedere durante la breve campagna elettorale. Ovunque tenesse comizi, indipendentemente dall’ampiezza della location, i suoi sostenitori restavano fuori; non c’era occasione, pubblica o privata, nella quale Ardern non venisse fermata con la richiesta di un selfie o per una stretta di mano, pardon, un contatto di gomito. Già, perché è stata proprio la pressoché perfetta risposta alla pandemia ad aver accresciuto enormemente la popolarità del Primo Ministro. La Nuova Zelanda è un’isola non densamente popolata, dunque è ben più avvantaggiata rispetto ad altri Paesi nella lotta alla pandemia, eppure la risposta del governo è stata impeccabile. Nel momento in cui scrivo, non c’è alcun focolaio attivo nel Paese e i cittadini non sono più costretti a indossare una mascherina e a rispettare il distanziamento sociale. La Nuova Zelanda ha già vinto la sua battaglia, sebbene risultino ancora persone in quarantena sul territorio nazionale, a causa di contagi importati. Il risultato è stato ottenuto grazie ad una strategia atta a combattere di petto il contagio, secondo lo slogan “Go hard and go early“, agiamo con forza e agiamo subito.
La risposta al COVID è però solo uno dei pilastri che sorreggono il fenomeno sociologico già definito Jacindamania, perché la popolarità del Primo Ministro è alle stelle anche per altri motivi. Il discorso alla nazione dopo la tragedia di Christchurch è diventato celebre in tutto il mondo e, in seguito, è stata immediatamente varata una legge per la messa al bando delle più letali armi semiautomatiche.
Non paga di questi suoi successi, Jacinda Ardern scelse di lasciare il suo posto per alcuni mesi in seguito alla nascita della figlia, due anni fa, dando a tutte le donne un esempio e dedicando il giusto tempo agli affetti. Empatia e gentilezza sono da sempre le caratteristiche principali della sua azione politica, ma Ardern sa anche mostrare denti e unghie, come ha imparato la Regina Elisabetta quando la neozelandese andò a visitarla indossando un mantello maori e le disse che il processo per rendere la Nuova Zelanda una repubblica libera e totalmente indipendente dalla corona britannica “non solo è possibile, non è neppure lontano” o come ha appreso quel giornalista che nel 2017 le chiese se aveva intenzioni di avere figli; il malcapitato non riuscì neppure a finire di formulare la sua domanda quando l’allora candidata lo zittì bruscamente, in diretta nazionale, definendo la sua curiosità “inaccettabile per qualsiasi donna in qualsiasi posto di lavoro.”
Il futuro della Nuova Zelanda
Non è solo con la personalità, però, che si governa un Paese. Occorrono azioni concrete e un buon programma. Ci sono un paio di promesse mancate che il governo Ardern si trascina dietro dal primo mandato: la povertà infantile, che è un dramma in Nuova Zelanda, e l’accessibilità dei prezzi di acquisto delle case, le quali sono a tutti gli effetti un bene di lusso sull’isola. “I veri cambiamenti richiedono passaggi che portino le persone a collaborare con noi. Io resto fedele a me stessa, so che il mio lavoro non è ancora finito.” Ha detto nel corso dell’ultimo dibattito il Primo Ministro. Gli occhi del mondo sono puntati su di lei, non basterà soltanto la sua popolarità a farne un buon Capo di Stato, dovrà anche restare fedele al suo programma e ai valori di sinistra che contraddistinguono il suo partito.
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