Gli algoritmi decidono la tua vita: i morosi del porno

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26 Settembre 2018

Gli algoritmi sono stati materia di studio per matematici, fisici e ingegneri. Con l’invenzione del computer gli algoritmi sono stati trasformati in programmi da usare non soltanto per calcolare operazioni aritmetiche, ma per risolvere molti problemi quotidiani e per automatizzare tanti processi che prima erano manuali.

Ma oggi anche la modalità con cui interagiamo, collaboriamo, lavoriamo e persino pensiamo, sono ormai condizionate dal funzionamento degli oggetti digitali (cellulari, computer, sensori, robot, ecc.) che usiamo e dai relativi algoritmi che eseguono il controllo di tanti aspetti della vita dei singoli e del vivere collettivo. Non bisogna demonizzare le nuove tecnologie, è necessario conoscerle e usarle per migliorare la nostra vita senza divenirne vittime.

Il rapporto tra tecnologie digitali e potere giocherà un ruolo di primo piano nel disegnare le società democratiche del futuro.

I Big Data hanno bisogno di essere gestiti in funzione di regole, leggi e strumenti critici basati sulla cultura della rete e sulla coscienza dell’uso individuale e sociale delle tecnologie che eviti la vendita delle identità in rete ed evitando manipolazioni di massa orientate a costruire nuovi poteri funzionali al dominio di pochi.

Un popolo digitale, che non è cosciente del suo status di avventore, in un mercato globale di beni sempre nuovi che tentano di soddisfare il benessere dello spirito, ma dove non viene fornito il sapere necessario per raggiungere l’obiettivo, che deve essere sempre di migliorare concretamente la qualità della sua vita.

 

Una forma di alienazione tecnologica che rischia di far regredire le capacità umane in quantità proporzionale all’aumentare delle capacità delle macchine, in una sorta di compensazione o conservazione della conoscenza.

Gli algoritmi ogni giorno guidano le rotte degli aerei e controllano le reti ferroviarie, ci permettono di telefonare in un qualsiasi sperduto paesino della Terra, ci aiutano anche a curare gravi malattie, governano fabbriche e processi produttivi in quasi tutte le nazioni sviluppate. Sono necessari per gestire molti aspetti ma è assolutamente necessario non lasciare che siano le sequenze di istruzioni, a decidere cosa sia meglio per noi.

E’ tempo di un loro uso consapevole e responsabile. Non per evitare gli algoritmi, ma per poterli usare meglio e con maggiore controllo e consapevolezza. Nonostante leggi, direttive e regolamenti, la tracciabilità digitale di ognuno di noi ci dovrebbe portare a dire che ormai la privacy non esista più.

Non è una battuta ma Google, Amazon o Instagram ci conoscono meglio di quanto ci conosciamo noi stessi.

Siamo tutti noi a rinunciare alla privacy quando cediamo i nostri dati personali al nostro supermercato, a Facebook o alla nostra compagnia telefonica.  Eppure la privacy delle persone serve anche a tutelare la democrazia di un Paese. Le leggi sembrano non bastare, è necessario l’impegno delle persone nel cercare di preservare la loro privacy e non svenderla.

L’uso di dispositivi digitali permette di svolgere funzioni personali e funzioni lavorative come mai è accaduto prima nella storia dell’uomo. Si semplifica dicendo:

  • le tecnologie aumentano la disoccupazione perché le macchine sostituiscono le persone;
  • le tecnologie informatiche creino più posti di lavoro di quanti ne distruggano.

Secondo le stime dell’Unione Europea, il modello della “Fabbrica 4.0” già nel 2020 porterà il settore manifatturiero in Europa a generare il 20% del PIL, rispetto all’attuale 15%.  La domanda da porsi è quale sarà l’impatto dei nuovi modi di produzione sul capitale umano?

In molti casi oggi interagiamo con i nostri simili usando la tecnologia, le nostre giornate, cambiano anche il nostro modo di pensare, di approcciare i problemi e di risolverli.
L’analisi dei Big Data oggi si basa su algoritmi di data mining complessi che permettono di scoprire le preferenze, le abitudini, le opinioni, l’umore e gli spostamenti di chiunque usi la rete. Ogni accesso al web, ai social, alla email, ogni acquisto e ogni viaggio che facciamo può e viene tracciato. Se l’uso che si fa di queste informazioni non danneggia le persone, queste tecnologie sono molto efficaci e utili.

Le tecnologie digitali possono e devono essere usate a servizio dei cittadini e del benessere sociale. Ma accade anche il contrario.

Hai un curriculum eccellente ma non trovi lavoro? La Banca ti rifiuta un prestito senza motivazione? E’ colpa di un algoritmo.

Oggi con l’impiego dei Big Data che ormai operano ovunque, dalla Finanza, alla Scuola, all’Università, alla ricerca di un impiego, alle relazioni con l’Amministrazione pubblica:

  • dati, informazioni, numeri che decidono –   in base a predizioni e schemi –  chi siamo nel presente e chi saremo nel futuro.

In barba alla Privacy.

Ciò che facciamo ogni giorno viene registrato su banche dati, come l’indirizzo che cerchiamo su Google Maps, il prodotto che acquistiamo on-line, la recensione che lasciamo, i “mi piace”, i repost, i retweet, il selfie, i geotag che condividiamo con gli amici, le parole che scriviamo e ripetiamo. Anche i desideri e le paure o le nostre/nostri fidanzati, reali e virtuali, o solamente con le persone con cui interagiamo, anche il Cap in cui viviamo, i luoghi che frequentiamo.

Tracce che servono per riempirci di messaggi pubblicitari mirati a farci consumare certamente, ma soprattutto per schedarci e per creare dei modelli matematici che vogliono predire e/o scoprire i migliori lavoratori, i peggiori pagatori, gli insegnanti modello, gli allievi potenzialmente più dotati.

Sono dati scientifici,  utilizzati anche dagli Istituti di Credito, per decidere se un cliente è potenzialmente solvibile o meno; algoritmi che raccolgono i nostri dati online e li codificano in pregi o difetti, capacità o incompetenza.

Un esempio: navigate sui siti porno?

Per un algoritmo, navigare su un sito porno equivale ad essere disoccupato e quindi non sarete in grado di estinguere i vostri debiti. Pertanto, se state cercando lavoro, se avete bisogno di un prestito, attenzione alle tracce che lasciate nell’etere. Verba volant, ma bit e bytes manent.

Anche gli algoritmi di selezione del personale si basano spesso su informazioni creditizie, conti e bollette non saldati, che comportano punteggio negativo per una eventuale assunzione ed anche brillanti professionisti che, a causa del fallimento della società in cui lavorano, si ritrovano improvvisamente con spese e carte di credito da pagare a cui non possono far fronte, e che finiscono di danneggiare la loro reputazione finanziaria. Il cosiddetto Google Curriculum che ciascuno di noi ha in Rete. Come conoscerlo? Basta cliccare il proprio nome su Google.

L’American Express ha deciso di abbassare il platfond delle carte di credito di alcuni clienti, perche? Facevano la spesa nei discount, nei negozi cheap, quelli più economici insomma, pratica che l’algoritmo ha segnalato come campanello di allarme relativo ad abbassamento del tenore di vita dei clienti ed una ipotetica previsione di insolvibilità degli stessi.

Mark Zuckerberg e Jack Dorsey, creatori rispettivamente di Facebook e Twitter, hanno creato dei mostri.

Un connubio imperfetto tra Finanza privata e società di Big Data che distorcono il sistema, favoriscono la crescita della povertà, aumentano il divario tra classi sociali.  Se da una parte l’Informatica ha sdoganato l’uomo da lavori alienanti e logoranti, dall’altra lo ha condannato a subire il controllo totale della sua esistenza.

In conclusione, eccovi le nuove scienze che stanno diventando strumento in mano al Potere. Gli algoritmi non inventano il futuro, non lo predicono. Interpretano le persone basandosi su modelli prestabiliti e con un margine di errore significativo che condanna esistenze, posti di lavoro, il futuro della stessa società.

Che difese adottare?

Difficile dare consigli, veramente complicato, non voglio essere pessimista, ma la situazione sembra al momento essere sicuramente fuori del nostro controllo.

La privacy innanzitutto non deve essere necessariamente sottovalutata, oggi con il GDPR, abbiamo, noi utenti strumenti per difenderci adeguatamente ed in modo preventivo.

Ma innanzitutto dovrebbero essere i creatori degli algoritmi ad inserire in questi modelli delle variabili “etiche”.

Tornare a seguire una linea etica, ma questo significherebbe rinunciare ai profitti. E secondo voi,questo potrà mai accadere? Poi abbiamo la soluzione estrema…ma questa non sarò io ad indicarla.

 

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CAT: Geopolitica, Media

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