Il tribunale di Amburgo decide la censura quasi totale della poesia anti-Erdoğan

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18 Maggio 2016

Gran parte della poesia satirica di Jan Böhmermann non dovrà essere mai più pronunciata. La motivazione della decisione, però, contiene almeno un aspetto controverso.

Se Jan Böhmermann ripeterà molti dei passaggi del suo Schmähgedicht, andrà incontro a una multa fino ai 250.000 € o dovrà scontare una pena fino a 6 mesi di carcere.
Questo è il primo verdetto espresso da uno degli organi giudiziari coinvolti nel caso della poesia radicalmente provocatoria dedicata dal comico Jan Böhmermann al Presidente turco Erdoğan (durante la trasmissione televisiva Neo Magazin Royale, il 31 marzo scorso).

Il tribunale in questione è quello di Amburgo, che, però, non si è dedicato né al famoso paragrafo 103 del Codice Penale (offesa a Capo di Stato Estero) né al paragrafo 185 (offese personali). Il Tribunale di Amburgo si è occupato di offese alla persona del Presidente turco, ma al solo scopo di distinguerle ufficialmente e precisamente dalla libertà di stampa e dalla libertà di espressione artistica.

A questo proposito, la decisione sembra aver accolto molte delle richieste dei legali di Erdoğan. Gran parte della poesia, sostiene il Tribunale, non è da considerarsi satira o arte, ma un’offesa diretta e personale nei confronti di Erdoğan. Offese dirette a colpire la singola persona e, quindi, censurabili. Offese la cui ripetizione è, da oggi, proibita.
I passaggi in questione sono, soprattutto, quelli che fanno una pesante ironia di natura sessuale.

I legali di Erdoğan si sono dichiarati soddisfatti, mentre quelli di Böhmermann hanno detto che si opporranno fino ai prossimi gradi di giudizio, dal momento che giudicano sbagliato considerare la poesia sezionabile nei singoli contenuti e non, invece, intesa nella sua interezza di pezzo concretamente satirico.

Infatti, il Tribunale di Amburgo ha anche riconosciuto che i riferimenti direttamente politici della poesia, in particolare quelli sulla repressione della libertà di stampa in Turchia, siano di natura satirica e non possano essere censurati, aggiungendo che Erdoğan, in quanto uomo politico, debba accettare critiche, anche dure, alla propria politica.

Quello che più colpisce e lascia perplessi di alcuni passaggi centrali della decisione del Tribunale, però, è il riferimento, oltre che alle offese dal contorno sessuale, ad attacchi osceni di natura razzista e di “vilipendio della religione”.
Un dettaglio curioso. I riferimenti al “kebab” e alla pastorizia possono essere considerati di tipo razzista. Tuttavia, si può riascoltare 100 volte la poesia di Böhmermann ed è sostanzialmente impossibile trovare anche una sola offesa che sia irrispettosa verso qualsiasi forma di credo o sentimento religioso. La sola religione apertamente citata nella poesia è il cristianesimo (come religione di minoranza perseguitata assieme alla popolazione curda, che è, invece, in maggioranza musulmana).

Stupisce che un Tribunale tedesco sia riuscito a trovare e citare ufficialmente l’aspetto religioso senza che ve ne sia alcuna traccia reale.

Si potrebbe sostenere che il riferimento alla religione sia da cogliere indirettamente, dal momento che la quasi totalità della Turchia professa la religione musulmana.
Eppure, se mai si voglia davvero fare questa forzatura, a organi giudicanti così zelanti come quelli tedeschi non dovrebbe essere sfuggito che, secondo la sua Costituzione vigente, la Turchia è uno Stato laico e non confessionale. Secondo quale aspetto del diritto tedesco e internazionale si è individuata un’offesa di tipo religioso che non è minimamente presente nella poesia?

Per intenderci ancora meglio, a questo punto sarebbe come sostenere che chiunque negli ultimi 20 anni abbia preso pesantemente in giro Silvio Berlusconi sia anche da censurare per aver offeso la religione cattolica, semplicemente perché Berlusconi era Presidente del Consiglio di uno Stato laico, ma abitato per oltre il 90% da cattolici.
Quello con Berlusconi è un paragone importante, non perché io ne voglia difendere l’onore o quella che fu la decadente politica, ma perché un confronto diventa emblematico della natura interessata e geopolitica del caso Böhmermann. Dell’irritazione del Governo italiano non importava un bel niente a nessuno, mentre di quella del Governo turco sembra importare incredibilmente e nervosamente a molti. Che la Germania nasconda sotto la formalità giuridica la convenienza geopolitica, significa giocare pericolosamente con la libertà d’espressione.
Anche in Germania Berlusconi è stato fatto oggetto, durante la sua Presidenza, di ripetute satire che riguardavano la sfera sessuale. Dove sono i processi e le sentenze in difesa del popolo italiano, della religione cattolica e della persona di Berlusconi?
Non ci sono, per fortuna, perché nessuno si è mai sognato di chiederle. Perché nessuno si è mai sognato di considerare Silvio Berlusconi un corpo unico con un popolo, con uno Stato o, addirittura, con una religione.

La verità è che il Tribunale di Amburgo ha tutto il diritto di censurare le parole di Jan Böhmermann che offendono la persona di Erdoğan: le offese sono là, chiare e tonde, oscene e scabrose.
Ma, così come nel caso del paragrafo 103, l’ennesimo riferimento all’etnia e un quasi incomprensibile riferimento alla religione sembrano confermare la natura geopolitica dell’intera questione Böhmermann, che asseconda la richiesta di non considerare Erdoğan come singolo individuo, ma come personalità che possa far valere il concetto di lesa maestà e di unico rappresentante sacralizzato di un’identità collettiva.
L’accettazione da parte dello stato di diritto tedesco di un legame particolare tra il Presidente turco, il popolo turco e la religione maggioritaria del paese non fanno formalmente parte dell’ordinamento legislativo tedesco, non fanno nemmeno completamente parte del corpo costituzionale turco. Si tratta di un’impostazione che segue, piuttosto, gli schemi che proprio Erdoğan sta tentando di inserire nel suo paese con la svolta autoritaria e repressiva degli ultimi anni.

Del resto, nel caso non fosse ancora chiaro, ci ha pensato la settimana scorsa il deputato CDU Detlef Seif a sottolineare ancora di più la posta in gioco di tutta la vicenda. Per chi ha avuto orecchie capaci di ascoltare, le sue parole al Bundestag sono state davvero illuminanti.

Seif ha dichiarato che il paragrafo 103, che punisce chi offende un Capo di Stato estero, non sia principalmente a protezione del Capo di Stato estero stesso, quanto a protezione delle relazioni diplomatiche della Germania e, quindi della ragion di Stato tedesca.
Proprio per questo l’articolo 103 richiede l’autorizzazione governativa per poter essere messo a procedere.
La scelta di far processare Böhmermann (non solo per il paragrafo 103) è da ricondurre alla ragion di Stato della Germania.
Vista dalla prospettiva dell’interesse nazionale, si può anche decidere di accettare, sostenere e giustificare questa impostazione.
Ma bisognerebbe avere il coraggio di farlo apertamente.
Il problema, invece, è che questa impostazione è proprio quella che Angela Merkel ha voluto negare nelle ultime settimane. Solo l’esplodere incontrollato del caso ha fatto sì che un deputato di area governativa sia andato a chiarire la verità davanti al Bundestag.
Rimane il fatto che Merkel ha sempre negato che la sua scelta di far processare Böhmermann sia stata fatta in nome della ragion di Stato tedesca e della convenienza del suo Governo di mantenere buone relazioni con il Presidente Erdoğan.
Quando ha approvato l’applicazione del paragrafo 103, Merkel ha, anzi, sostenuto di ritenere giusto che una simile decisione fosse presa da un Tribunale, andando a nascondere la natura politica e geopolitica del suo strutturale ed essenziale acconsentire alla richiesta turca.

Non è un caso se, dopo settimane di silenzio, proprio Jan Böhmermann abbia dichiarato che la Cancelliera lo ha “servito a fettine per l’ora del tè” al Presidente turco.

Tutta la questione Böhmermann è dettata dalla ragion di Stato e dalla contingenza geopolitica e politica del Governo tedesco. Angela Merkel dovrebbe semplicemente avere il coraggio di ammetterlo. A meno che tutta questa ambiguità non sia dovuta al fatto che Merkel si vergogni o non ritenga strategicamente conveniente ammettere di aver reso la ragion di Stato tedesca così dipendente dalle esigenze politiche e personali di Erdoğan.
E, nel caso Merkel se ne vergogni e non lo ritenga strategicamente conveniente, bisognerebbe chiederle il perché.

Qualsiasi cosa se ne pensi, il caso Böhmermann ha messo il dito nella piaga della geopolitica tedesca ed europea, che parte da Berlino e Bruxelles e arriva fino ad Ankara, per poi spostarsi, più o meno chiaramente, nelle regioni curde e nella Siria dilaniata da un conflitto devastante.
Il caso Böhmermann, ben oltre il singolo giullare e le sue parole volutamente volgari, ha diversi legami con la guerra che continua a svolgersi a pochi chilometri da noi. Quella guerra che è molto più oscena di qualsiasi poesia scabrosa. È anche di questo che stiamo parlando.

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CAT: Geopolitica, Media

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