Almeno il ‘cattivo’ Putin ha una strategia sulla Siria

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30 Settembre 2015

Gruppo di contatto, allargamento della coalizione, impegno per un processo di pace. Dopo oltre quattro anni di guerra civile, con il conseguente rafforzamento dell’Isis, finalmente la diplomazia si occupa della Siria. E l’accelerazione è arrivata grazie all’Uomo Nero per l’Occidente, il presidente russo Vladimir Putin. Proprio lui: il ‘cattivo’ per antonomasia, almeno secondo il dizionario scritto dopo l’annessione della Crimea e la tensione nell’Ucraina orientale.

Il Cremlino ha fatto irruzione in pieno stile putiniano, ossia con l’invio di mezzi e uomini (ufficialmente solo consiglieri) a sostegno dell’alleato Bashar Assad, il leader del regime di Damasco e vecchio alleato della Russia nella regione. Insomma, lo ‘Zar’ sostiene un macellaio, reo di orribili crimini in questi anni, ma almeno dimostra di avere le idee chiare. E, seppure con un modo sopra le righe, ha imposto a Stati Uniti ed Europa un’accelerazione sul problema, dopo l’innegabile fallimento del sostegno ai ribelli cosiddetti moderati anti-Assad e anti-jihadisti (è recente notizia lo scioglimento di un battaglione durante uno scontro con i miliziani affiliati ad Al Qaeda di Jabhat al-Nusra, che hanno preso le armi e ringraziato vivamente).

La mossa di Putin ha scosso infatti anche la cancelliera tedesca, Angela Merkel, che ha aperto alla possibilità di portare Assad all’ipotetico tavolo sulla pace in Siria. Sulla stessa lunghezza d’onda si è sintonizzato il premier britannico, David Cameron, pur nella consapevolezza che il presidente debba avere un ruolo esclusivamente nella transizione siriana, senza poter restare in sella nell’eventuale post conflitto. Soprattutto si è formata, almeno in apparenza, l’idea di non ripetere una “Libia bis”, un Paese che con l’abbattimento di Muammar Gheddafi è sprofondato nel caos. Sul territorio siriano lo scenario sarebbe addirittura peggiore: nonostante la presenza di un potere formale, il governo di Assad, il Paese è già dilaniato (tant’è che si parla di Siria solo per mera semplificazione, perché da un punto di vista pratico non esiste più un’entità statale unica). Dall’altra parte, invece, c’è la Francia che persevera nella sua posizione: nessun dialogo con il boia Assad. Il presidente François Hollande vuole ripercorrere le stesse orme del predecessore Nicolas Sarkozy, che si lanciò nella missione libica senza avere pianificato nemmeno vagamente un dopo-Gheddafi, con gli esiti ben noti. Infine, gli Stati Uniti di Barack Obama continuano nel ‘vorrei, ma non so che fare’, che ha caratterizzato l’approccio della Casa Bianca alla crisi siriana.

Grazie a Putin, ora il discorso sulla Siria sta andando in un doppio senso di marcia: trovare una soluzione al conflitto che ha distrutto il Paese (che probabilmente non tornerà mai come era prima del 2011); e combattere gli islamisti agli ordini dell’autoproclamato Califfo, che controlla ormai ampie porzioni di territori avendo fissato la ‘capitale’ a Raqqa. Al di là dei reciproci sospetti, è inevitabile che Mosca entri in scena con le sue forze armate. In un primo momento aeree, ma successivamente non è escluso un impegno terreste che resta l’unica vera, per quanto sanguinosa, soluzione nella guerra all’Isis.

Giusto o sbagliato che sia, al contrario dell’Occidente, Vladimir Putin ha una strategia sul territorio siriano. E indipendentemente dal giudizio sull’esercizio dalla sua leadership, gli va riconosciuto questo merito. Nell’auspicio che la diplomazia occidentale possa evitare di concedere la totale riabilitazione di Assad, limitandosi a fargli avere un ruolo nella transizione.

TAG: bashar assad, siria, vladimir putin
CAT: Geopolitica, Russia

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