Un viaggio nel potere segreto degli oligarchi di Putin in Italia

4 Novembre 2021

È la sera del 30 marzo 2021 quando i media italiani diffondono la notizia che Walter Biot, un capitano della Marina italiana, è stato arrestato dai carabinieri del Ros, dopo essere stato fermato assieme a Dmitry Ostroukhov, un ufficiale delle forze armate russe.

Qualche giorno prima, una piccola telecamera nascosta nell’ufficio di Biot da uomini del Ros, nel corso di un’indagine condotta dal controspionaggio dei servizi segreti interni italiani, aveva ripreso il militare mentre scattava, con un cellulare Samsung S9 nero, decine di foto dallo schermo del suo computer. Terminata l’operazione, Biot aveva spento il telefonino, estratto la simcard e l’aveva riposta in una scatola di cioccolatini, ignaro di essere filmato.

Nella scheda consegnata dall’italiano a Ostroukhov, diplomatico in servizio all’ambasciata russa a Roma che il sito investigativo Bellingcat scoprirà essere un colonnello del Gru, i servizi segreti militari di Mosca, ci sono in tutto 181 foto di immagini, luoghi, materiali, informazioni classificate “riservatissime” e 47 schedate come “NATO secret”.

Le indagini accerteranno che la presunta spia italiana e il suo reclutatore russo si incontravano periodicamente da almeno cinque mesi, sempre alla stessa ora, di lunedì, ogni quindici giorni, in un parcheggio davanti a un supermarket di Spinaceto, nella zona sud di Roma in direzione di Ostia, senza telefonarsi mai.

Al momento dell’arresto nella Nissan Patrol di Biot vengono ritrovati cinquemila euro in una busta, probabilmente parte di un compenso ben più lauto. Si verrà inoltre a sapere che il capitano era stato agganciato dai servizi russi, durante un ricevimento all’ambasciata russa da un altro uomo del Gru sotto copertura diplomatica, Alexey Nemudrov.

A detta di Luigi Sergio Germani, direttore dell’Istituto Gino Germani di Scienze sociali e Studi strategici, esperto di Russia e di intelligence, la vicenda Biot, che l’indomani dell’arresto spinge diverse testate giornalistiche a parlare di ritorno alla Guerra Fredda, dimostra che «l’attività di spionaggio russa in Italia resta molto aggressiva e intensa» come ai tempi dell’Unione Sovietica.

Il caso Biot, secondo Germani, è un caso di spionaggio classico e non è il primo evento clamoroso verificatosi in Italia in tempi recenti. Lo studioso romano ricorda come il 21 maggio 2016, sempre a Roma, in un bar di Trastevere fu arrestato il 57enne Frederico Carvalho Gil un funzionario del Serviço de Informações de Segurança portoghese che aveva appena venduto documenti top secret sui sistemi di difesa NATO a Sergey Nicolaevich Pozdnyakov un agente del servizio segreto civile russo (Svr).

Tre anni più tardi, il 30 agosto 2019, all’aeroporto di Napoli verrà arrestato un manager russo di nome Aleksander Korshunov. Sulla testa di Korshunov, manager della United Engine Corporation (Odk), azienda russa del colosso statale Rostec, che produce motori per aerei civili e militari e turbine di potenza per i motori, pendeva un mandato di cattura internazionale caldeggiato dall’FBI per furto di segreti militari della General Electric Aviation System.

Ma torniamo a Biot perché è proprio la vicenda che vede coinvolti il 56enne ufficiale della Marina militare italiana e due uomini del Gru, Dmitry Ostroukhov e il capitano di Marina e addetto navale e aeronautico dell’ambasciata russa Alexey Nemudrov, entrambi espulsi dall’Italia, a fungere da prologo a Oligarchi. Come gli amici di Putin stanno comprando l’Italia, il libro di Jacopo Iacoboni e Gianluca Paolucci, uscito recentemente per Laterza.

Il saggio, “frutto di un’inchiesta giornalistica durata diversi anni sull’influenza dei russi e del Cremlino in Italia”, declinata prevalentemente attraverso il potere economico dei cosiddetti oligarchi e le azioni dell’intelligence russa in Europa e in Italia, è “un resoconto in primo luogo politico e geopolitico”.

Avvalendosi “di un vasto arco di fonti: documenti dell’intelligence, interviste con fonti politiche e finanziarie, documenti societari sugli schemi finanziari, non di rado offshore, di molte delle vicende ricostruite, e dunque materiale esclusivo, o inedito. Ma anche fonti aperte, inchieste giornalistiche, libri, atti di commissioni parlamentari italiane e straniere, inchieste giudiziarie divenute pubbliche, laddove ve ne siano state, che hanno raccontato alcuni dei fatti di questa enorme storia”, Iacoboni e Paolucci ricostruiscono i passaggi e gli attori chiave dell’influenza russa in Italia degli ultimi 30 anni, un’influenza che secondo gli autori ha subito una “oggettiva escalation nella stagione dei partiti populisti trionfanti in Italia, Lega e Movimento 5 stelle”.

Prima di occuparci dettagliatamente del libro, è opportuno effettuare un excursus storico sui rapporti Russia-Italia per comprendere la permeabilità del nostro Paese sia alle operazioni di spionaggio russe sia alle altrettanto perniciose iniziative di influenza finanziaria, culturale e disinformativa.

Qualche giorno fa Fiona Hill, una delle massime esperte mondiali di intelligence e di Russia, ha sottolineato come l’Italia, nonostante la svolta atlantista di Draghi che ha permesso l’arresto di Biot e l’espulsione dei due agenti russi, sia ancora un target dell’intelligence e del governo russo.

A detta della Hill, Roma ha sempre voluto storicamente mediare con Mosca, lo faceva anche ai tempi dell’Impero zarista, ma i problemi nascono quando la mediazione diventa collusione politica.

L’amicizia particolare tra Russia e Italia risale proprio ai tempi dello zar.

L’accordo di Racconigi, noto come il patto di Racconigi, firmato il 24 ottobre 1909 dal re Vittorio Emanuele III d’Italia e da Nicola II dell’Impero russo, stabilì una cooperazione tra il nostro Paese e la Russia zarista per impedire a un’unica potenza di dominare l’Europa.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, Benito Mussolini e Iosif Stalin negoziarono il mutuo riconoscimento delle sfere di influenza nel Mediterraneo (Roma) e nell’Europa centro-orientale (Mosca). In questo periodo, l’Italia fascista e l’Unione Sovietica firmarono quasi un’alleanza globale per controbilanciare la supremazia tedesca in Europa.

All’inizio degli anni ‘30, il governo italiano ignorò i rapporti sul Holodomor, la carestia artificiale inflitta all’Ucraina nel 1932-1933 dal regime di Stalin con intenti genocidari. Sebbene Mussolini avesse letto e annotato personalmente alcuni dispacci provenienti da Kharkiv (l’allora capitale ucraina) non criticò mai il regime sovietico e i genocidi di Stalin in URSS, essendo più interessato alle relazioni commerciali con Mosca. L’URSS e l’Italia hanno continuato ad avere buoni rapporti economici e politici dopo la Seconda Guerra Mondiale, nonostante i due paesi appartenessero a blocchi militari opposti durante la Guerra Fredda.

Nonostante l’adesione alla NATO nell’aprile 1949, al Consiglio d’Europa nel maggio 1949 e alla Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio nell’aprile 1951, l’Italia ospitava il più grande Partito Comunista dell’Europa occidentale. Il Partito Comunista Italiano ha svolto un ruolo centrale nel movimento di resistenza antifascista e antinazista durante la Seconda Guerra Mondiale ed è stato il secondo più grande partito politico in Italia nel dopoguerra.

Come hanno evidenziato Elena Aga-Rossi e Victor Zaslavsky nel saggio Togliatti e Stalin. Il PCI e la politica estera staliniana negli archivi di Mosca, il PCI è riuscito a diffondere la convinzione dell’imminente collasso del capitalismo e a collegare questa convinzione al mito dello Stato proletario sovietico facendo leva sui sentimenti anticapitalisti e antiamericani diffusi negli ambienti fascisti, cattolici, socialisti e comunisti italiani. Con il passare del tempo, l’idealizzazione dell’URSS è diminuita e il PCI ha preso le distanze dal regime sovietico, ma la denigrazione degli Stati Uniti è rimasta una caratteristica importante del discorso politico e culturale del PCI.

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, il PCI decise di accantonare l’obiettivo della rivoluzione comunista violenta e perseguì invece una strategia volta a conseguire “l’egemonia culturale“ nella società italiana, come teorizzato da Antonio Gramsci. Perseguendo la strategia di Gramsci, il PCI cercò di penetrare nelle istituzioni culturali della società e di ottenere gradualmente il controllo su scuole, università, stampa, televisione, editoria, intrattenimento, chiese, sindacati, associazioni civiche e movimenti sociali. Il PCI, che fino alla fine degli anni ‘70 è stato segretamente finanziato dall’Unione Sovietica attraverso i canali del KGB, riuscì in misura significativa a raggiungere il suo obiettivo di conquistare i cuori e le menti delle persone attraverso l’attrattiva culturale.

La forte influenza del PCI sulla cultura italiana e il potere che il partito esercitava su istituzioni artistiche, cinema, università e la distribuzione dei premi letterari, non si indebolirono dopo i tragici eventi di Budapest (1956) e Praga (1968). Anche dopo che il PCI si allontanò dall’Unione Sovietica negli anni ‘70 e all’inizio degli anni ‘80, il Cremlino continuò a utilizzare il PCI come strumento per condurre operazioni di influenza in Italia. Allo stesso tempo, il KGB e altri servizi di intelligence del blocco sovietico condussero misure attive in Italia, utilizzando agenti di influenza reclutati tra politici italiani di diverse convinzioni ideologiche, giornalisti e intellettuali.

Come raccontano con dovizia di particolari Francesco Bigazzi e Dario Fertilio nel saggio Berlinguer e il Diavolo. Dall’oro di Stalin al petrolio di Gorbacëv, i grandi segreti di Botteghe Oscure, anche all’epoca di Berlinguer, teorico dell’eurocomunismo e del distacco da Mosca, il Cremlino continuò a pompare nelle casse di Botteghe Oscure svariati milioni di dollari e a infiltrare in Italia, spesso con copertura diplomatica, talvolta camuffati da giornalisti, un considerevole numero di spie.

Oggi, stando alle cifre riferite a Iacoboni e a Paolucci da una fonte dell’intelligence italiana, il numero esatto di spie russe censite a Roma sarebbe pari a 87.

Ma lo scenario, rispetto ai tempi della Guerra Fredda, è completamente mutato a causa degli avvenimenti politico-economici dell’ultimo trentennio.

Agli inizi degli anni ’90 si è assistito quasi contemporaneamente all’emergere di due fenomeni – la riduzione delle attività di influenza russa in Italia e la crescita dell’interesse per la Russia tra gli intellettuali di estrema destra in Italia – a cui si è aggiunta sempre in quello stesso decennio la nascita in Russia e nel mondo post-sovietico del fenomeno degli oligarchi.

Mentre la riduzione delle attività di intelligence russa in quegli anni si spiega con l’insufficiente sostegno da parte del regime di Boris Eltsin, l’interesse dell’estrema destra europea e italiana per la Russia nasce dalla convinzione che la caduta del comunismo avrebbe potuto incoraggiare gli ultranazionalisti russi a guidare una rivoluzione a Mosca basata sull’ideologia “rosso-bruna” che avrebbe consentito di creare un grande blocco eurasiatico, da Dublino a Vladivostok, liberato dall’influenza statunitense. Risalgono proprio agli inizi degli anni ’90 le prime collaborazioni tra intellettuali italiani di estrema destra e intellettuali e politici ultranazionalisti russi come Aleksandr Dugin, Aleksandr Prokhanov, Sergey Baburin, Sergey Glazev e Vladimir Zhirinovsky, la maggior parte dei quali apparteneva all’ “opposizione patriottica” anti-Eltsin.

Nel 1991, la casa editrice Edizioni all’Insegna del Veltro di Claudio Mutti – un esperto di lingue ugro-finniche e studioso di geopolitica, ex attivista nel ramo italiano dell’organizzazione di estrema destra Young Europe, nome preso dal titolo La Jeune Europe, rivista pubblicata nella Germania nazista nel 1942-1945 – pubblicò Continente Russia, una raccolta di saggi di Dugin tradotti in italiano.

Giovanni Savino nel paper From Evola to Dugin: The Neo-Eurasian Connection in Italy afferma che la pubblicazione di Continente Russia in Italia segnò l’inizio di una nuova era, ossia l’emergere della destra radicale italiana che includeva ex attivisti del MSI che guardavano alla Russia per l’ispirazione ideologica.

Veniamo ora agli oligarchi. Cosa intendiamo per oligarchi?

La definizione fornita da Iacoboni e Paolucci, ancorché sintetica, è sufficientemente chiara da comprendere anche l’evoluzione subita da questi “paperoni” negli ultimi 25 anni.

“Si tratta di uomini d’affari che hanno accumulato enormi ricchezze, a volte a partire dagli anni delle privatizzazioni selvagge dell’èra di Boris Eltsin, ma l’hanno fatto (o le hanno potute conservare nell’ormai pluriventennale regno di Putin) grazie al fatto di agire sempre più come dei “proxy” del potere politico, ossia personaggi o direttamente legati alla cerchia del presidente russo Vladimir Putin, o semplicemente scesi a patti con lui per sopravvivere. Parliamo di capitali conquistati da persone che hanno preso il comando dell’economia russa nella stagione convulsa del crollo dell’Unione Sovietica, e ne hanno conquistato il controllo grazie a un accordo strettissimo con il Cremlino in settori strategici: gas, petrolio, metalli come cobalto e nichel, ma anche ferrovie, autostrade, investimenti immobiliari, e ovviamente banche e finanza. Fortune immense storicamente legate alla spoliazione degli asset e delle ricchezze naturali dello stato russo, e alla compiacenza verso Vladimir Putin”.

Dal momento che i due autori passano in rassegna oligarchi di diversa nazionalità, accomunati dall’essere legati al Cremlino e dal coltivare interessi di vario titolo in Italia, ritengo utile spiegare brevemente la diversa evoluzione del fenomeno oligarchico in Russia e Ucraina.

Storicamente gli oligarchi appaiono in Russia intorno alla fine del 1992 e in Ucraina qualche anno più tardi. Le ragioni di questo sfasamento temporale sono dovute al fatto che il processo di privatizzazione delle aziende statali viene lanciato nella Federazione Russa nell’ottobre del 1992, ossia nove mesi dopo l’elezione a Presidente di Boris Eltsin, mentre in Ucraina il passaggio di asset statali nelle mani di privati si compie in modo sistematico solo a partire dal 1995-96 con la presidenza Kuchma.

Benché il fenomeno abbia assunto in Ucraina caratteristiche proprie rispetto alla Russia a causa della differente struttura industriale – la Russia è pressoché priva di manifattura ma ricca di gas e petrolio – e del differente clima politico-sociale dei due stati, l’ascesa degli oligarchi nei primi anni ‘90 è avvenuta con modalità sostanzialmente simili.

L’idea, teoricamente corretta, era quella di privatizzare le ex aziende di stato attraverso un azionariato diffuso. L’emissione di voucher, che rappresentavano piccole quote azionarie, avrebbe dovuto garantire che gli ex colossi pubblici finissero nelle mani di tanti azionisti privati piuttosto che nelle mani di pochi milionari, ma accadde esattamente il contrario.

Asimmetrie informative, ignoranza sui meccanismi di funzionamento dell’economia di mercato – in Ucraina dove l’iperinflazione aveva creato enormi sacche di povertà la gente spesso barattava questi voucher, di cui non capiva il funzionamento, per derrate alimentari – legami tra ex direttori rossi e apparati statali favorirono il passaggio delle aziende ex sovietiche nelle mani di pochi privati.

Torniamo ora al libro di Iacoboni e Paolucci e al legame tra gli oligarchi del Cremlino e l’Italia.

I due autori sottolineano come, nonostante “lo scenario determinato dall’elezione di Joe Biden, con Anthony Blinken al Dipartimento di Stato, e dall’arrivo a Palazzo Chigi di un super-europeista come Mario Draghi, formatosi negli Stati Uniti e di casa a Washington, ha cambiato il quadro rispetto alla stagione della geopolitica opaca dell’allora premier populista Giuseppe Conte”, la situazione –per ammissione dello stesso Draghi – sia davvero preoccupante.

Due mesi dopo l’arresto di Biot, Mario Draghi, parlando alla fine del Consiglio Europeo, ha affermato che il livello di interferenza della Russia sia con le spie sia sul web è diventato veramente allarmante.

Com’è possibile – si chiedono Iacoboni e Paolucci – che l’Italia si sia compromessa così tanto, e com’è possibile che il predecessore di Draghi, Giuseppe Conte, non vedesse il problema?

Per cercare di comprendere le modalità con cui i russi, congiuntamente all’intensificazione della presenza di spie e delle operazioni di intelligence nel Belpaese, hanno conquistato l’Italia, occorre analizzare il flusso di denaro immesso nella nostra penisola dagli oligarchi putiniani, quasi sempre usando complessi schemi societari, e schermando la provenienza dei soldi nei paradisi fiscali.

Secondo i due autori, “spie e oligarchi russi in Italia sono due facce diverse, ma concorrono a raccontare una storia che si sovrappone, quella di una medesima, gigantesca operazione d’influenza, che gli ultimi anni non hanno fatto che favorire, ma che viene da lontano. Ovviamente, non sempre gli oligarchi russi in Italia sono anche ex spie. Ma a volte succede anche questo. E non si è mai un ex, del Kgb”.

Follow the money, è l’approccio adottato dai due giornalisti che, utilizzando una mole di documenti come Panama Papers, i recenti Fincen Files e tutto il complesso di documenti e leaks che va sotto i nomi di Troika Laundromat e Russian Laundromat, hanno ricostruito le vicende bancarie italo-russe più discutibili, realizzate o abortite e raccontato i casi di sospetto riciclaggio.

”Abbiamo narrato le facce e le vite di questi oligarchi, alcuni dei quali sembrano usciti da un romanzo di John le Carré. Questa non è solo una storia delle vie che hanno preso i soldi degli oligarchi russi in Italia: è soprattutto un viaggio nel potere di un gruppo ristretto di persone, profondamente connesse l’una con l’altra, che hanno conquistato influenza e agganci con il potere politico ed economico in Italia, e nei loro collegamenti anche con lo spionaggio russo. Alcuni degli oligarchi russi in Italia sono essi stessi, infatti, vecchi “siloviki”, cioè agenti e dirigenti del Kgb, poi dei suoi successori, l’Fsb o l’Svr”.

Grazie all’ascesa dell’ex colonnello del KGB di stanza a Dresda, Vladimir Putin, molti di questi “siloviki” non hanno fatto altro che riattivare in patria e all’estero l’antico network dello spionaggio sovietico.

Per capire la forza dei “siloviki” all’interno della Federazione Russa occorre osservare l’entità del budget statale degli apparati di sicurezza che nel 2021 è stato pari a 7,1 miliardi di dollari, ossia più del budget di sanità e istruzione messi insieme.

“Gli oligarchi russi in Italia investono, compiono operazioni immobiliari, mettono le mani su gigantesche proprietà. Agiscono anche dentro vere e proprie operazioni di influenza, talvolta entro la sfera dell’intelligence. C’è Alexander Lebedev, ex tenente colonnello del Kgb a Londra negli anni novanta, poi banchiere e padre di Evgeny, editore dell’«Evening Standard», che si è installato in Umbria comprando due proprietà diventate, tra le altre cose, il teatro di feste assai spericolate, alle quali il primo ministro inglese Boris Johnson si è recato solo e senza scorta, oggetto di possibile kompromat, dossieraggio da parte dei servizi segreti russi […] C’è Vladimir Yakunin, che si è comprato per 150 milioni un pezzo di Umbria che, guarda caso, sta proprio al di là della strada di una delle due tenute dei Lebedev. Yakunin, ex generale del Kgb ed ex presidente delle ferrovie statali russe, vanta un legame solido con Vladimir Putin […] Tra gli oligarchi più importanti che hanno investito in Italia c’è Arkady Rotenberg, noto come il compagno di judo di Putin, poi banchiere e costruttore che ha beneficiato di imponenti commesse da Gazprom – per la costruzione del gasdotto North Stream – e per le Olimpiadi invernali a Sochi […] Prospera naturalmente in Italia Igor Sechin, il re del petrolio, ceo di Rosneft, ex guardia del corpo personale di Vladimir Putin, e anch’egli ex agente sotto copertura del Kgb. Sechin è il punto di riferimento di un establishment italiano dell’energia che lo coccola e riverisce ogni anno al Forum Italia-Russa di Verona, dove in questi anni ha incontrato premier, ex premier, vicepremier, banchieri italiani, ed è stato il protagonista della più clamorosa operazione finanziaria italo-russa di questi anni: il prestito di 5,2 miliardi da parte di Banca Intesa durante la cosiddetta “privatizzazione” di una tranche di Rosneft […] C’è Yuri Kovalchuk, banchiere e magnate dei media, punto di riferimento del mondo legato a Silvio Berlusconi, il grande amico storico di Putin. Kovalchuk imparerà l’arte dei media da un uomo molto ben introdotto nell’entourage berlusconiano, Angelo Codignoni, in anni recenti onorato da Putin della cittadinanza russa […] C’è Kirill Dmitriev, il capo del Fondo sovrano russo e l’uomo che ha presieduto, per Putin, alla complessa operazione di propaganda legata al vaccino Sputnik, e alla connessa, contestata sfilata di “aiuti russi per il Covid” in Italia: una parata di mezzi militari e ufficiali russi, concessa nel marzo del 2020 dall’allora premier italiano Giuseppe Conte, in trattativa personale con l’amico Putin, bypassando la struttura stessa del ministero degli Esteri italiano […] La conquista dell’Italia da parte della Russia ha anche il volto di Konstantin Malofeev, attraverso l’ideologia della Chiesa ortodossa e di “Santa Eurasia”, e il suo rapporto con la Lega di Matteo Salvini e i suoi emissari. Ci sono i nessi di un kazako di nome Igor Bidilo, imprenditore nel gas e nel petrolio specialmente nei paesi caucasici, con un senatore eletto con il Movimento 5 stelle, legato ai vertici politici di quel partito, poi passato a Fratelli d’Italia”.

Analizzando in dettaglio i principali protagonisti (Lebedev, Yakunin, i Rotenberg, Malofeev, Sechin, Firtash, Usmanov, Kovalchuk, Vekselberg, Dmitriev) delle attività russe in Italia, Iacoboni e Paolucci ci restituiscono un contesto caratterizzato da una profonda e pluritrentennale influenza russa.

Alexey Navalny, il più famoso oppositore di Putin, in un’intervista all’Ansa di tre anni fa aveva sottolineato come fosse nell’interesse del nostro Paese fermare l’esportazione della corruzione dalla Russia, dal momento che si tratta di un export accompagnato da quello della criminalità organizzata e dalla crescita dei prezzi del mercato immobiliare, frutto degli investimenti per riciclare i soldi rubati dagli oligarchi russi in patria.

Aveva concluso l’intervista auspicando che l’Italia fosse più amica del popolo russo e meno dei suoi funzionari corrotti.

Era il gennaio 2018, due mesi prima delle cruciali elezioni del 4 marzo che avrebbero portato al potere in Italia Movimento 5 stelle e Lega. Navalny era stato anche molto esplicito nel denunciare i rapporti politici dei due partiti nazionalpopulisti con il regime di Putin.

Ora il clima politico grazie al Primo Ministro Draghi è cambiato. Resta da vedere se questo scenario muterà stabilmente e se l’Italia rientrerà senza ambiguità nella sua naturale collocazione europeista, o tornerà ad essere, come ai tempi del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte e del Ministro dell’Interno Matteo Salvini, il cavallo di Troia di Mosca in Europa.

 

Jacopo Iacoboni, Gianluca PaolucciOligarchi. Come gli amici di Putin stanno comprando l’Italia (Laterza, 2021)

 

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CAT: Geopolitica, Russia

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