Il nostro mandante è nazionalsocialista, ma va assolto

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10 Maggio 2018

Il 9 maggio ha preso il via a Macerata il processo a Luca Traini, il 28enne di Tolentino che il 3 febbraio aveva sparato a 6 migranti. Le cronache si trovano sui diversi quotidiani italiani. Per vedere a cosa può giungere la stessa logica razzista, si può gettare uno sguardo al processo che si celebra da cinque anni a Monaco di Baviera per i crimini del gruppo terroristico neonazista Clandestinità nazionalsocialista (NSU) -10 omicidi (8 cittadini di origini turche, 1 di origini greche ed 1 poliziotta), tentato omicidio di un altro agente, 15 rapine ed almeno tre attentati- di cui si stanno celebrando le fasi finali con le comparse conclusionali dei 5 imputati.

Nei giorni scorsi è già stato il turno delle difese dell’accusata principale, Beate Zschäpe ritenuta l’unica sopravvissuta del nucleo terroristico di cui ella contesta invece l’esistenza, e del pentito Carsten Schultze che ha materialmente fornito l’arma per 9 delitti. Mentre a Macerata Traini appariva avanti ai giudici della Corte d’Assise a Monaco il 9 maggio è stato invece il turno dei difensori di Holger Gerlach che ha fornito al gruppo terroristico ripetutamente i propri documenti e consegnato un’altra rivoltella.

Gerlach è stato uno dei sei componenti che costituivano la formazione di destra Kameradschaft Jena dalla quale poi, passando dalla Anti-Antifa attraverso il Thuringer Heimatschutz, si sarebbe sviluppato lo NSU. Per la Procura Generale della Repubblica non è stato un semplice gregario, tuttavia ha contribuito alle indagini. Perciò la pubblica accusa ne ha chiesto la condanna solo a 5 anni seppure con l’aggiunta di 3 di sospensione da cariche pubbliche e di voto. Tra il 2001 ed il 2002 ha consegnato ai fuggiaschi una rivoltella, con la sua patente di guida dal 2004 Uwe Böhnhardt e Uwe Mundlos hanno noleggiato dei camper con i quali, ha ricostruito l’accusa, si sono recati nelle località dove hanno effettuato almeno 6 omicidi. Gerlach ha poi comprato per 200 marchi la carta dei servizi sanitari da un’amica per darla a Beate Zschäpe, infine ha dato a Böhnhardt il proprio passaporto facendo apposta delle foto per assomigliargli il più possibile e ciò ancora nel 2011.

L’avvocato difensore Stefan Hachmeister è stato molto bravo nell’esporre i fatti dal punto di vista del suo cliente. Il processo è stato accompagnato da un grosso interesse mediatico in Germania, ha esordito, ed a fronte della natura dei reati nell’opinione pubblica si è creato un forte pregiudizio negativo verso gli accusati col rischio di farne dei capri espiatori per i veri autori Uwe Böhnhardt e Uwe Mundlos ormai morti. L’imputato Holger Gerlach nei diversi interrogatori di polizia ha ammesso le proprie colpe e si è dichiarato pronto a risponderne. All’inizio del processo lo ha ancora ripetuto ed ha manifestato pentimento. Nel clima che lo ha accompagnato però il team legale gli ha sconsigliato di rispondere anche alle domande delle controparti, stante il rischio evidente di non essere creduto. Tuttavia, Gerlach, così il difensore, non ha altro che voluto aiutare degli amici per sottrarsi all’arresto ma non ha mai potuto immaginare che essi avrebbero commesso degli omicidi. Li ha creduti ed è stato da loro usato. È contrario all’esperienza comune d’altronde pensare che qualcuno dia i propri documenti a terzi immaginando che li usino per commettere omicidi, ha dichiarato l’avvocato difensore. Quando gli amici gli chiesero la sua patente gli dissero che era solo per superare un eventuale controllo della polizia; anche per la carta sanitaria gli fu assicurato che sarebbe stata usata una sola volta da Beate Zschäpe per andare dal dentista, non invece che sarebbe stata impiegata sistematicamente.

Oltre a tutto ha fatto notare il collega Pajam Rokni-Yazdi non era neppure razionale, il trio raccoglieva denaro con le rapine -ed infatti tra il 2001 ed il 2002 Böhnahrdt e Mundlos, nonostante la dichiarata opposizione di Beate Zschäpe, consegnarono in deposito a Holger Gerlach 10 mila marchi, ma quest’ultimo anziché tenerli per loro li dilapidò- ed avrebbero corso meno rischi presentandosi come pazienti privati e pagando in contanti. Sorvola peraltro sul fatto che comunque Beate Zschäpe avrebbe potuto sentirsi chiedere di presentare un documento.

Per quanto riguarda il passaporto, gli avevano assicurato sarebbe servito solo in caso di necessità e quando dopo che era scaduto ne vollero un altro lo incastrarono in un dilemma morale, ha indicato il collega Stefan Hachmeister: Uwe Mundlos disse a Holger Gerlach che ne avevano bisogno e se loro fossero stati scoperti avrebbero fatto il suo nome, Uwe Böhnhardt giocò la carta della fiducia amicale, poteva essere certo che non avrebbero fatto fesserie. E Gerlach, ha ricostruito l’avvocato Hachmeister, cedette. Solo dopo capì che anche le visite occasionali e le vacanze insieme servivano come “system check”, per verificare che lui fosse sempre incensurato e la sua identità utilizzabile senza rischi, e si sentì usato e tradito.

Per sottolineare ancora la sproporzione delle accuse l’avvocato Hachmeister ha indicato che Gerlach non vide mai la latitanza degli amici come una cosa drammatica, a parte il fatto che insistevano a pretendere che levasse la batteria al cellulare per non essere individuati si muovevano liberamente. Gli fu chiaro ad un certo punto dalla lettura dei giornali che attorno al 2003 avrebbero potuto costituirsi perché i reati per cui erano ricercati si erano prescritti, ma non si stupì che volessero rimanere in clandestinità pensando che ormai avessero intrapreso la strada di rapinatori e per quello non volessero tornare indietro.

Non gli confidarono certo mai che commettevano omicidi, per il suo vizio del gioco e consumo di droghe sarebbe oltre a tutto stato un rischio per loro, ha inferito il legale; persino la stampa lo ha nominato un “grande bebè”, ha soggiunto. A Gerlach era chiaro che da quando erano scesi in clandestinità si fossero armati, ma non poteva sapere si trattasse di un “intero arsenale” come ha suggerito la Procura in una lettura delle prove tendenziosa e <volta a raggiungere la condanna>. Gerlach era convinto che i soli reati che commettessero erano contro il patrimonio, anche perché era chiaro che non potevano lavorare e dovevano vivere. Il collegio difensivo ha omesso però di ricordare che quando ha consegnato egli stesso una rivoltella ai tre fuggiaschi tra il 2001 ed il 2002 avrebbe detto loro “che non ci si può arrogare di salvare il mondo in cinque” cercando di convincerli a desistere da propositi di cui doveva ben avere idea.

 

L’avvocato Stefan Hachmeister, primo difensore d’ufficio dell’imputato Holger Gerlach – foto dell’autore ©

 

È vero, ha detto l’avvocato Hachmeister, che Holger Gerlach avesse chiare le azioni di militanza di Böhnahrdt e Mundlos -avevano appeso ad un cavalcavia dell’autostrada una bambola con la stella gialla ed attaccati dei fili e delle casse di Asti spumante per fare sembrare esserci una bomba in concomitanza con il previsto transito del convoglio dell’allora Presidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche Tedesche Ignatz Bubis; ed ancora posizionato delle finte bombe allo stadio e nel piazzale del teatro di Jena e pure spedito lettere con polvere nera alla direzione dell’amministrazione cittadina, la polizia e la redazione di un giornale- ma erano tutte azioni dimostrative. Il legale ha ammesso anche che nella Kameradschaft Jena c’erano state discussioni sulla necessità del passaggio alla lotta armata, ma Gerlach si era sempre opposto e le aveva vissute come mere discussioni teoriche. Holger Gerlach sapeva anche che gli amici erano scesi in clandestinità perché era stata scoperta la loro officina per fabbricare delle bombe in un garage affittato da Beate Zschäpe, ma ha soggiunto l’avvocato difensore Pajam Rokni-Yazdi, tanti si cimentano con dell’esplosivo senza voler uccidere nessuno. In nessun momento, hanno concluso i due legali, Holger Gerlach non solo ha mai saputo concretamente, ma neppure a titolo di dolo eventuale, cioè come mera ammissione di possibilità teorica, ha ipotizzato che Böhnahrdt e Mundlos fossero entrati in una spirale di violenza tale quella poi emersa e tantomeno poteva immaginarlo di Beate Zschäpe. Ad ogni buon conto tutti i reati si sarebbero prescritti, hanno indicato, a parte l’ultimo relativo alla consegna del passaporto ancora nel 2011.

Tuttavia, se a tutto concedere fosse mai esistita una organizzazione terroristica (per cui ci vogliono tre persone che agiscano con un piano comune per realizzare i reati previsti dall’articolo 129 a del codice penale tedesco e cioè in buona sostanza omicidi, attentati e messa in pericolo della sicurezza dello Stato; ma Beate Zschäpe ha contestato di avervi fatto parte) gli omicidi erano cessati nel 2007 ed in pari data era stata completata l’ultima edizione della video rivendicazione con la quale si irridevano le vittime. Quindi dopo il 2007 per i difensori l’ipotetica associazione terroristica sarebbe già venuta meno e si potrebbe tutt’al più parlare in un singolo caso di concorso ad un’associazione criminale. A contrario si può obiettare però che il video fu spedito  in 16 copie da Beate Zschäpe a vari enti religiosi, partiti e testate giornalistiche il 4 novembre 2011. Per la difesa è tuttavia, pure arbitrario che l’accusa abbia indicato che i camper fossero stati impiegati per raggiungere i luoghi dei delitti, perché in effetti sono mezzi usati per soggiornarvi, ed è stato invece ricostruito che Böhnahrdt e Mundlos dopo aver colpito fuggivano in bici. A dementi però, da un lato la concomitanza tra noleggi ed i reati e poi che proprio nell’ultima rapina a Eisenach Böhnahrdt e Mundlos sono stati individuati perché un passante li scorse mentre caricavano le bici sul caravan.

I difensori hanno riportato che i fuggiaschi dimostrarono comprensione per l’abbandono della militanza di Holger Gerlach nel 2004, anche se non gli diedero ad intendere di voler fare altrettanto. Avvocati di parte civile peraltro dopo l’udienza hanno osservato come ancora nel 2011 nell’appartamento dell’imputato furono trovate decine di registrazioni di canzoni di estrema destra e prove di visite di pagine neonaziste sul pc; si aggiunga anche che poco prima dell’arresto era stato invitato ad andare a Milano alla Hammerfest.

Holger Gerlach ha chiesto di non formulare una richiesta di pena dichiarandosi pronto ad accettare quella che dovesse essere decisa dalla Corte. L’avvocato difensore Pajam Rokni-Yazdi ha comunque auspicato al massimo una condanna di uno, o tutt’al più due anni, con sospensione condizionale. La prognosi sociale sarebbe del tutto favorevole all’imputato, ha suggerito: non è pregiudicato e vive in un legame stabile, ha fatto piena ammissione di colpa e contribuito al chiarimento dei reati, il processo stesso gli vale da monito, è durato cinque anni ed in caso di condanna l’imputato sarebbe altrimenti confrontato con spese che ne perpetuerebbero l’indigenza, mentre già adesso ha perso il lavoro e non ha potuto accumulare anni di contributi per la vecchiaia e vive dei sussidi dello Stato, inoltre i fatti sono avvenuti da ultimo 14 anni fa. L’avvocato ha dovuto riconoscere che il codice penale tedesco nel caso di reati tipicamente legati all’estremismo politico antepone l’esigenza di salvaguardare l’ordine legale, ma ha fatto notare che altri giudici nel 2003 avevano deciso di rilasciare il suo cliente dalla carcerazione preventiva, dopo che vi aveva passato oltre sei mesi, giudicando in via sommaria che le prove non fossero sufficienti a sostenere l’accusa di ausilio ad un gruppo terroristico. Si è quindi appellato alla stampa perché sappia spiegare al pubblico che non sarebbero emerse sostanzialmente prove ulteriori contrarie ed ai giudici perché capiscano il significato storico della loro decisione, alla quale si guarderà ancora tra anni, ed abbiano la capacità di sottrarsi dalla volontà popolare di trovare per i crimini orribili un colpevole ad ogni costo.

 

L’avvocato Pajam Rokni-Yazdi, secondo difensore d’ufficio dell’imputato Holger Gerlach – foto dell’autore ©

 

La famiglia di Holger Gerlach, così come quella del coimputato André Eminger della cui difesa si dirà tra breve, sono state tra le perdenti della riunificazione della Germania. I genitori di Gerlach si separarono quando Holger aveva 3 anni. Il padre naturale -a detta dell’imputato un genitore biologico che non lo avrebbe voluto- si suicidò per sfuggire al declino per un tumore e pure il patrigno, un autista d’autobus, morì quando lui ne aveva 12. Con il crollo della DDR la madre che lavorava per la ditta Carl Zeiss perse il lavoro. Holger Gerlach dalla fascinazione per i punk, a cavallo di quegli anni passò a quella per l’estrema destra; poi vennero anche il gioco d’azzardo e le droghe sintetiche. André Eminger invece col crollo della Cortina di ferro subì un genitore deluso dal tramonto della carriera nella seconda nazionale di salto con gli sci, che avrebbe assicurato un futuro sicuro, ridotto a lottare per un presente incerto come operaio edile per mantenere i quattro figli, mentre la madre faceva la donna delle pulizie.

Entrambi gli imputati non hanno poi avuto un curriculum scolastico lineare, unico punto fermo per entrambi fu solo la militanza politica per un’ideologia malata che ha lasciato sul terreno dieci morti senza ragione, vedove e orfani senza un perché. Ambedue si sono difesi nell’attuale processo in buona sostanza dicendo di non avere saputo, tranne ad un certo punto che rubassero, null’altro di quanto facevano gli amici discesi in clandestinità; Eminger anzi che -nonostante per l’accusa fosse stato il più stretto punto di contatto per lo NSU dopo sei mesi di carcere preventivo era stato anch’egli, come Gerlach, rimesso in libertà all’inizio del processo- alla ventesima udienza aveva chiesto tramite i suoi difensori se non potesse evitare di comparire costantemente in aula. Ha dovuto restarci invece fino a questi giorni in cui le difese devono recitare le arringhe.

<Il nostro mandante è nazionalsocialista> è questa la sua convinzione fino alla punta dei capelli. Ha esordito così l’8 maggio il suo avvocato difensore Herbert Hedrich. Quasi nessun testimone gravitante nell’estrema destra durante il dibattimento <ha parlato apertamente delle proprie convinzioni> ha proseguito il legale, con ciò rivendicando al suo cliente, che per tutto il processo ha taciuto, di essere un esempio di coerenza. Ma nessuno può essere condannato solo per le proprie convinzioni e senza prove e nel caso del 38enne con sulla pancia tatuato un teschio che ride sovrastante la scritta programmatica in inglese “muori ebreo muori” i reati o sono prescritti, o non possono essergli inequivocabilmente ascritti stante che potrebbe essere stato confuso col fratello gemello, quindi deve essere assolto da tutti e cinque i capi d’accusa. Questa in buona sostanza la linea di difesa concordata con l’anziano collega Michael Kaiser. L’imputato che ha tenuto per mano la moglie Susann per tutta l’udienza (presente assieme alla consorte del coimputato Ralf Wohlleben alla sua sinistra, quattro accompagnatori come bodyguards in platea), alla fine dell’arringa è andato apposta allegro a complimentarsi con il difensore dalla chioma canuta. Solo grazie all’esperienza, lui ed il collega Hedrich potevano cercare di mettere in dubbio la costruzione della Procura Generale della Repubblica, che nella sua visione globale ha per contro già trovato accoglienza presso la Corte, la quale in settembre ha disposto l’arresto cautelare di André Eminger per il forte sospetto di colpevolezza. Il terzo difensore che l’imputato aveva incaricato in aprile, l’avvocato Daniel Sprafke, ha reso noto nella mattinata attraverso il suo sito di aver rimesso il mandato “per divergenze concrete tra difensore e mandante sull’ulteriore svolgimento della difesa”.

André Eminger è accusato di avere noleggiato tra il 2000 ed il 2003 dei camper usati dai terroristi deceduti Uwe Mundlos ed Uwe Böhnahrdt in connessione a due rapine aggravate e per il trasporto di una bomba, contenuta nella confezione di latta di un dolce natalizio, consegnata in un negozio di Colonia di una famiglia di origini iraniane. Per quest’ultimo attentato l’accusa è stata elevata nel corso del giudizio a correo in tentato omicidio, lesioni gravi e provocazione di un’esplosione. Ad Eminger è poi contestato l’ausilio ad associazione terroristica per varie altre azioni. È stato prestanome perché i tre discesi in clandestinità trovassero un alloggio a Chemnitz nel 1999 e poi intermediario con Matthias D. perché potessero affittare il covo dove stettero sette anni nella Polenzstraβe a Zwickau; diede loro delle tessere ferroviarie a nome della moglie e suo con validità dal 2007, estesa poi fino al 2012, ed ancora una tessera sanitaria a Beate Zschäpe; coprì la testé citata Zschäpe anche con la falsa identità della moglie nel 2006, quando si verificò un imprevisto ed ella fu invitata a testimoniare dalla polizia; inoltre visitò più volte i fuggiaschi con la consorte ed i figli durante il periodo in cui essi erano in clandestinità ed infine aiutò Beate Zschäpe a fuggire dopo che ella fece esplodere l’ultimo covo in Frühlingstraβe a Zwickau il 4 novembre 2011, dandole prima dei vestiti della moglie al posto di quelli che odoravano della benzina usata per appiccare l’incendio.

Per i difensori però la costruzione dell’accusa, sviscerata in cinque anni di processo, è tutta opinabile. André Eminger sarebbe andato solo due volte con la precedente compagna nel primo covo dei tre fuggiaschi. In seguito, avrebbe accompagnato solo un paio di altre volte la moglie, la quale andava a trovare unicamente Beate Zschäpe con cui aveva sviluppato un’amicizia personale, ma senza incontrare mai i due compagni di fuga. Tutti i punti di incontro con lo NSU di cui all’atto di accusa si sarebbero ridotti a contatti frivoli assieme alla moglie Susann con Beate Zschäpe nel tempo libero. Né d’altronde in alcuna occasione Uwe Mundlos ed Uwe Böhnahrdt visitarono gli Eminger; mentre con il coimputato Holger Gerlach passarono anche dei periodi di vacanze.

André Eminger era stato fondatore del gruppo suprematista bianco Weisse Bruderschaft Erzgebirge col gemello Maik e fino al 2002 pubblicavano la fanzine Aryan law & order . Anni dopo organizzava addirittura corsi sull’origine della razza per una quarantina di adepti. Ma per il collegio di difesa ha solo voluto aiutare dei camerati in fuga dal 1998 dall’arresto senza condividerne gli aneliti terroristi. C’è solo un articolo firmato A. sul primo numero della fanzine che gli si possa attribuire con qualche certezza, hanno indicato i legali, troppo poco per ascrivergli l’indirizzo di tutta la pubblicazione. Non hanno menzionato però che l’articolo citava “ho conosciuto camerati che mi appoggiano e mi hanno mostrato che non si riduce tutto ad ubriacarsi e fare risse” in cui è ipotizzabile un riferimento diretto ai tre fuggiaschi. D’altronde la difesa per sostenere che l’imputato è attorniato da pregiudizi ha apostrofato proprio l’articolo della taz che lo riportava, fortemente critico verso André Eminger, per il suo titolo “Der Stillste Helfer” (L’aiutante più silenzioso). Il loro assistito invece non fu membro di Blood & Honour o di Combat 18, non fabbricò con il trio in clandestinità il gioco Pogromly che parodiava i lager nazisti, né andò con Mundlos e Böhnahrdt a spasso per l’ex lager di Buchenwald con un uniforme simile a quelle delle SA, hanno elencato i legali. Tanto André Eminger sarebbe stato estraneo alle scorribande dei fuggiaschi, che il coimputato Ralf Wohlleben non gli affidò il compito di tenere i contatti con loro, ma lo diede a Carsten Schultze. La scelta di Wohlleben su quest’ultimo cadde peraltro presumibilmente perché era meno sospettabile e più affidabile.

Per i difensori non ci sarebbe neppure alcuna evidenza che le tessere ferroviarie date dal loro mandante siano mai concretamente state usate. Anche se Beate Zschäpe nel 2011 ha viaggiato in treno per andare a ritirare un passaporto da Holger Gerlach per conto di Uwe Böhnhardt ed ancora senz’altro per 4 giorni in fuga dopo avere incendiato l’appartamento di Zwickau; ma in questo caso l’associazione terroristica sarebbe ormai venuta meno per il suicidio dei due complici ed anche perché l’ultimo omicidio sarebbe stato perpetrato il 25 aprile 2007 e quindi dopo, come ha argomentato anche la difesa di Holger Gerlach, si potrebbe parlare solo di associazione criminale.

Gli avvocati di André Eminger hanno evidenziato che sapere che i fuggiaschi fossero dei ladri per assicurarsi i mezzi di sussistenza, come Beate Zschäpe ha dichiarato di aver riferito al loro cliente solo nel 2007, agli occhi di quest’ultimo non implicava che  fossero anche terroristi. Fu così -ha tracciato a paragone l’avvocato Hedrich- anche per il trio della terza generazione delle RAF Ernst-Volker Staub, Daniela Klette e Burkhard Garweg che si impegnò ad assicurarsi la vecchiaia con le rapine. L’imputato Eminger in effetti sapeva che Mundlos, Böhnahrdt e Zschäpe erano in clandestinità già dal 1988, ma per i legali evidentemente non si sarebbe mai chiesto di cosa vivessero prima del 2007.

Non ci sarebbe prova certa per i difensori, neanche che i noleggi dei camper usati da Mundlos e Böhnahrdt siano stati effettuati proprio dall’imputato e non dal fratello gemello, né che gli automezzi siano poi stati effettivamente usati per commettere reati. Si può opinare che se André Eminger avesse mandato il gemello per fare un noleggio a proprio nome evidentemente voleva nascondere qualcosa. Lo stesso Maik Eminger poi quando il 29 luglio 2014 rifiutò di testimoniare non lo fece affermando che altrimenti correva il rischio di incriminarsi, quanto esercitando il diritto di non parlare contro il congiunto. Il fatto che sulla copia di un contratto di noleggio siano state rinvenute le impronte di André Eminger, d’altronde per i difensori è solo evidenza che questi lo abbia visto dopo, non che lo abbia siglato lui.

L’accusa più grave è quella di partecipazione a tentato omicidio e gli avvocati Hedrich e Kaiser vi hanno dedicato più attenzione per cecare di rintuzzarla. Rilevando che essa è stata elevata nel corso del processo hanno sottolineato che per la famiglia M. vittima dell’attentato a Norimberga la bomba sarebbe stata consegnata tre o quattro giorni prima del 24 dicembre e che quindi il camper noleggiato a Chemnitz presso la ditta Caravan Horn GmbH dal loro assistito dal 19 dicembre 2000 alle ore 18 del successivo 21 dicembre difficilmente potrebbe essere stato impiegato per trasportare l’ordigno perché il lasso temporale non sarebbe congruente. C’è da dire che il momento della consegna non è stato però individuato in modo esatto dai testimoni. I legali hanno argomentato ancora che la bomba era nella confezione di un dolce acquistabile anche sul posto e non si vedrebbe perché i terroristi avrebbero dovuto comporla a casa a loro e portarla a Colonia. Come se l’ordigno ed il suo meccanismo di innesco fossero assemblabili in poche ore e senza considerare che la coimputata Beate Zschäpe, nelle sue esternazioni, ha dichiarato che i compagni le dichiararono di avere realizzato e portato la bomba a Colonia. Gli avvocati Hedrich e Kaiser hanno argomentato tuttavia ancora che non è pensabile che la consegna del finto dolce natalizio sia stata effettuata da Mundlos o Böhnahrdt giacché i membri della famiglia M. non li hanno riconosciuti nelle foto segnaletiche, né poteva trattarsi di uno dei due che portasse una parrucca. Quest’ultima non è mai stata rinvenuta, mentre i fuggiaschi archiviavano tutto. Anche se gli avvocati hanno ammesso che poteva essersi bruciata nel rogo dell’ultimo covo a Zwickau, hanno peraltro stucchevolmente adombrato che la famiglia M. viveva da tempo a Colonia e doveva essere adusa all’impiego di parrucche a Carnevale, quindi avrebbero riconosciuto se chi ha portato la bomba ne indossava una. Più probabile hanno ipotizzato che (come aveva anche affermato l’avvocatessa di parte civile Edith Lunnebach per argomentare che i terroristi potrebbero avere avuto più aiutanti di quanti siano stati individuati) sia stato un terzo a consegnare la bomba. La paternità dell’attentato è tuttavia certa, esso è stato rivendicato dallo NSU nel suo videomessaggio postumo e se n’è trovata documentazione nei resti dell’archivio di ritagli di giornali del gruppo.

Non ci sono neanche prove che André Eminger abbia partecipato alla realizzazione della video rivendicazione dei crimini del gruppo, ha sussunto il collegio difensivo: che sul suo pc ci fosse uno spezzone dei cartoon della pantera rosa è inidoneo a dimostrarlo perché esso non è stato usato nel dvd stampato in 38 copie, di cui 16 spedite poi da Beate Zschäpe. Persino il fatto che lo NSU fosse stato largamente ispirato dai Diari di Turner, un manuale di azione del gruppo razzista americano The Order, è campato in aria per i due legali. Devono ridurre la portata del fatto che una copia di esso era presente sul computer dell’imputato, che prima di una perquisizione si precipitò a cancellarla. Per l’avvocato Hedrich non era stata però un’operazione mirata, l’accusato avrebbe invece cancellato indistintamente 34.000 files. A scagionare ulteriormente l’imputato, hanno indicato, ci sarebbe anche la circostanza che un rapporto dei servizi segreti aveva ipotizzato che la fonte di ispirazione dello NSU fosse da ricercare nella figura del Lasermannen John Ausonius, un rapinatore ed assassino seriale in Svezia, e non tanto nei Diari di Turner. Per l’avvocato di parte civile Eberhard Reinecke in effetti si deve concludere però che lo NSU si fosse ispirato ad entrambe le fonti. Probabilmente anzi furono influenzati anche dai precedenti per terrorismo di Manfred Roeder. Quest’ultimo fu condannato tra l’altro ad una pena pecuniaria ad Erfurt nel 1996 per imbrattamenti alla mostra sulla Wehrmacht (l’esposizione che per la prima volta ha smentito sistematicamente la supposta estraneità dell’esercito tedesco ai crimini delle SS) ed Uwe Mundlos, Uwe Böhnahrdt, Ralf Wohlleben (e pure André Kapke, che sarebbe poi stato scaricato dagli altri con l’accusa di aver sottratto dei fondi), erano andati tutti al suo processo.

Nessuna rilevanza dovrebbe essere riversata, per gli avvocati Hedrich e Kaiser, neanche alla circostanza che l’imputato abbia indossato in udienza una felpa col motto “i confratelli tacciono sino alla morte” quando fu escusso il teste Thomas G. che a sua volta ne aveva una con sulla schiena una grossa aquila e la dicitura “difensori della nostra libertà, la vittoria sarà nostra”. Per il duo patrocinante da un episodio avvenuto durante il processo non si possono ricavare indicazioni sui convincimenti anteriori di André Eminger. Se è così radicalmente neonazista oggi è evidentemente illogico ed arbitrario dedurne lo fosse già 14 anni fa. Gli avvocati conseguentemente non hanno menzionato che ben più di una volta il loro assistito è comparso con abiti idonei ad attestarne la militanza di destra, ad esempio in un’occasione citata dalla taz, una felpa con cappuccio con l’immagine di un uomo mascherato con fucile, per un legale di parte civile da ricondurre ad un album di una band di destra dal nome “Gas chamber”, la cui foto fu acquisita agli atti.

L’estraneità dalle accuse di Andrè Eminger per i suoi difensori emergerebbe comunque anche dal fatto che egli non avrebbe mai avuto neppure nessuna somma di denaro dal trio in clandestinità a differenza degli imputati Wohlleben e Gerlach: il fatto che Beate Zschäpe abbia pagato per la sua famiglia un viaggio a Disneyland Paris per un po’ più di 900 euro è solo indice che volesse fare un regalo ai suoi figli cui si era affezionata perché lei non poteva averne. Un’altra volta però, ha registrato ancora la taz, gli aveva anche regalato uno stereo per quasi 300 euro.

Per la Procura André Eminger era già fissato nelle sue convinzioni fin da quando era maggiorenne -tanto che già il servizio di sicurezza dell’esercito lo classificò come estremista di destra, ancorché senza che per l’ammirazione per i successi militari delle SS dovesse lasciare le armi- e ne ha chiesto la condanna a 12 anni. Per la difesa al contrario non può assolutamente dirsi: faceva l‘apprendista muratore e poi andò militare, quindi intraprese una formazione ad informatico ed ancora da conducente di mezzi pesanti, inoltre si doveva occupare della famiglia, moglie e due figli (un terzo è nato in pendenza del processo); non aveva tempo di interessarsi dei tre fuggiaschi. Neppure è chiaro quando si sia fatto il tatuaggio antisemita, forse nel 1999 quando aveva appena 19 anni. Inconferente per dedurre le sue convinzioni interiori anche se fosse stato all’epoca dei reati, così come che oggi si faccia dichiarare in un’aula di tribunale nazionalsocialista!

In maggio 2017 André Eminger ha subito una condanna a Zwickau ad una pena pecuniaria di 676 euro, per aver percosso l’anno prima un 18enne che avrebbe avuto una disputa con suo figlio 14enne; Eminger avrebbe colpito il giovane 10 volte alla testa e 5 alle costole. In pendenza di appello è però ancora incensurato. Per i difensori non si possono trarre conclusioni sul suo sostegno allo NSU neppure dal fatto che si sia opposto al sequestro di un disegno dei due terroristi defunti Böhnhardt e Mundlos con delle rune e la scritta “indimenticati” trovato appeso in casa sua.

Tra una settimana toccherà alla difesa dell’ex politico della NPD Ralf Wohlleben, nel corso del dibattimento i suoi avvocati hanno colto l’occasione per incensare la figura del gerarca nazista Rudolf Hess. In Italia intanto Luca Traini ha ottenuto di essere giudicato con rito abbreviato. Nel 2014/15 il leader della Lega Matteo Salvini marciava a Milano e Roma con i militanti di Casa Pound contro gli immigrati.

 

Immagine di copertina: adesivo su un palo a Monaco di Baviera, foto dell’autore ©

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TAG: André Eminger, Clandestinità nazionalsocialista (NSU), Daniel Sprafke, Herbert Hedrich, Holger Gerlach, Michael Kaiser, Pajam Rokni-Yazdi, Stefan Hachmeister
CAT: Germania, Giustizia

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