La rincorsa per la cattura della memoria nelle aule di giustizia tedesche

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26 Gennaio 2018

Parafrasando l’iniziativa dell’Unione delle Comunità Ebraiche Italiane giunta quest’anno alla seconda edizione a Bologna della corsa non competitiva per la memoria, la caccia agli ultimi nazisti ottuagenari ancora vivi in atto da parte degli inquirenti tedeschi potrebbe apparire come una rincorsa per la cattura della memoria. Tanto però è importante ascoltare le testimonianze dirette dei sopravvissuti, altrettanto efficace è spingere gli ex aguzzini a prestare le loro. Vero che le aule di tribunale non sono aule scolastiche, ma possono anch’esse efficacemente contribuire a raccogliere le ultime testimonianze e darvi eco oltre agli incartamenti processuali e le cronache giudiziarie. Senza considerare il valore per i sopravvissuti di poter vedere fatta una tardiva giustizia.

Il caso dell’ex contabile di Auschwitz Oskar Gröning fu il secondo portato alla sbarra in applicazione della giurisprudenza tedesca scaturita in esito alla condanna in primo grado dell’ex cittadino americano di origini ucraine Iwan John Demjanjuk nel maggio 2011, che fu ritenuto colpevole dell’uccisione di 28.060 internati a Sobibor in assenza di prove di coinvolgimento diretto in alcuno di essi, per il semplice fatto di aver contribuito, anche come ultima ruota dell’ingranaggio, al funzionamento della macchina di sterminio nazista. Lo stesso paradigma ha ancora trovato applicazione nei confronti dei Reinhold Hanning condannato a 5 anni nel giugno 2016 per concorso in almeno 170.000 casi di omicidio nel lager di Auschwitz-Birkenau.

 

Nuovi casi pendenti
Il procuratore capo dell’autorità centrale tedesca per le indagini sui crimini nazionalsocialisti di Ludwisburg, Jens Rommel, indica che il suo ufficio ha trasmesso alle Procure competenti gli atti relativi ad altri indagati ancora in vita che hanno prestato servizio in campi di annientamento nazisti e potrebbero essere perseguiti.

Si tratta di persone nate tra il 1920 ed il 1925 che rivestivano un basso grado militare. Due sospetti sono stati guardiani ad Auschwitz-Birkenau, tre a Mauthausen e tre a Ravensbrück. Altre indagini relative ad ex SS di guardia nel lager di Buchenwald, nate tra il 1922 ed il 1925, sono state trasferite solo da poco ai magistrati competenti, perciò il procuratore Rommel non vuole rilasciare dettagli. Si lascia solo sfuggire che i tre casi relativi alle ex SS attive a Mauthausen sono stati rimessi per il luogo di residenza dei sospetti alle Procure di Berlino, Ansbach e Graz (Austria), mentre per Auschwitz alla competenza delle Procure di Stoccarda e Monaco ed infine per Ravensbrück, dalla posizione del lager, a Neuruppin.

Aggiunge solo, ad una domanda diretta, che per quanto riguarda il campo di Bergen-Belsen, dove fu uccisa Anne Frank, l’autorità di Ludwisburg non ha ancora concluso le valutazioni.

 

Pensionati rinviati a giudizio per aver contribuito al funzionamento del lager di Stutthof
Nel novembre dello scorso anno sono stati rinviati a giudizio innanzi al tribunale di Münster un 92 ed un 93enne, rispettivamente di Wuppertal e del Münsterland, con l’accusa di aver contribuito all’omicidio di centinaia di persone nel lager di Stutthof nel nord della Polonia tra il 1942 ed il 1945. Entrambi, per gli inquirenti, hanno prestato servizio all’ingresso del campo di annientamento, nei cordoni di guardia, come sorveglianti dei prigionieri delle squadre di lavoro, e soprattutto dalle torri del campo dalle quali dovevano avere chiaro tutto quanto accadeva, percependo anche le grida dalle camere a gas. Le risultanze storiche d’altronde dimostrano che in linea di principio si potesse lasciare il servizio nel lager senza conseguenze disciplinari chiedendo il trasferimento, anche se per lo più significava essere dislocati al fronte. Jana Lange della SWR riferisce che gli inquirenti hanno reperito un ordine del 10 agosto del 1943 col quale il comandante del lager di Stutthof Paul Werner Hoppe sollevò otto guardie dal servizio, romeni di origini tedesche ritenuti inidonei, rimettendole addirittura all’ufficio di collocamento civile. I due pensionati rinviati a giudizio all’epoca dei fatti non erano ancora 21enni e se si procederà nei loro confronti saranno giudicati innanzi al tribunale minorile. Il loro caso era stato rimesso dall’autorità centrale tedesca per le indagini sui crimini nazionalsocialisti di Ludwisburg alla Procura di Dortmund per accertamenti già nel 2016. Il tribunale di Münster ha affidato il compito a periti di verificare se gli imputati siano idonei a sottostare ad un giudizio. Per la sopravvenuta incapacità processuale venne già archiviato lo scorso maggio, prima di poter entrare nel merito e con degli strascichi penali nei confronti dei magistrati che ingiuriarono un legale delle parti civili, il processo nei confronti di Hubert Zafke, accusato di aver saputo e favorito l’omicidio industrializzato ad Auschwitz-Birkenau tra il 15 agosto ed il 14 settembre 1944 di almeno 3.681 persone.

 

Si assottigliano le chances di Oskar Gröning di non scontare la pena
Il 96enne ex SS nazista Oskar Gröning condannato, dopo una vecchiaia serena, nel luglio 2015 dal Tribunale di Lüneburg a 4 anni di reclusione per concorso in 300.000 casi di omicidio dovrebbe iniziare a scontare la pena quest’anno nel carcere di Uelzen, attrezzato con spazi a piano terra per detenuti anziani. Confermata la condanna in appello, compreso al pagamento dei costi processuali che solo nel primo grado si stimano in almeno 380.000 euro, Gröning, vorrebbe però scongiurare l’incarcerazione. Vistosi tuttavia già rigettato a fine dicembre un ricorso ai giudici costituzionali, aveva avanzato una richiesta di clemenza alla Procura della Repubblica. Sulla pagina internet della NDR, che ne diede notizia, oltre 90 commenti divisi tra chi perorava gli fosse applicata e chi obbiettava come ad Auschwitz essa non venisse esercitata. La soluzione tra il contemperamento della certezza della pena e l’umanità della medesima è stata valutata con urgenza dai magistrati, ha riportato l’emittente tedesca mercoledì 17 gennaio, ed hanno rigettato la richiesta chiarendo che a Gröning sarà notificato quando presentarsi alla casa circondariale. Quest’ultimo tuttavia per scongiurare la reclusione potrebbe ancora appellarsi direttamente al Ministro della giustizia della Bassa Sassonia Barbara Havliza (CDU), oppure, indicando un peggioramento delle proprie condizioni di salute, reiterare attraverso il proprio legale Hans Holtermann la richiesta di clemenza alla Procura.

 

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Le passionarie negazioniste rinviate a giudizio
Non scompaiono dal radar della magistratura tedesca neppure i processi per negazione della Shoa. Attualmente pende a Monaco di Baviera il giudizio di rinvio nei confronti dell’avvocatessa radiata dall’albo Sylvia Carolina Stolz. Il 3 gennaio (formalizzando l’istanza il 4 fuori udienza) l’imputata ha ricusato, senza successo, il collegio giudicante perché questo aveva deciso di rifiutare la sua istanza di convocare i presenti al discorso che la Stolz tenne a Coira (Svizzera) nel 2012 per il quale è stata rinviata a giudizio. Una conferenza che tuttavia la corte aveva potuto già integralmente ascoltare in una videoregistrazione e che aveva pure verificato essere reperibile anche su you tube. La difesa dell’imputata il 18 gennaio ha quindi cercato di promuovere un rinvio alla Corte Costituzionale per vedere cassata la norma del codice penale che sanziona la negazione della Shoà, affermandone in una memoria di 26 pagine l’arbitrarietà ed ipotizzandone il contrasto con altri principi costituzionali. Il tentativo è stato rigettato dalla Procura come irricevibile. Sono previste altre tre udienze fino al 15 febbraio.

A margine dell’udienza del 3 gennaio era stata fermata tra il pubblico la cittadina tedesco-canadese Monika Schäfer, perché indagata dalla Procura di Monaco ella stessa per negazionismo. La Schäfer era stata salutata cordialmente poco prima dall’avvocato difensore della Stolz Wolfram Nahrath, un passato giovanile nell’organizzazione neonazista della Wiking Jugend, che dopo il fermo ha sbottato adombrato “questa è la libertà di pensiero in Germania”. Nulla invece è stato intrapreso nei confronti di un uomo con lo slogan “ende.der.luege.com” sulla schiena della t-shirt. Si trattava di Henry Hafenmeyer di Oberhausen (Renania Settentrionale-Vestfalia) e lo slogan è il titolo di un suo blog negazionista. La pubblicità al blog su una maglietta di per sé non è perseguibile, ha spiegato il procuratore di Monaco Strafner, ed anche se i contenuti della pagina internet andrebbero verificati la competenza è della magistratura del luogo di residenza del responsabile del blog, in un altro Land. Hafenmeyer collabora con Alfred Schäfer nel produrre video diffusi sulla piattaforma wordpress che promuovono, tra l’altro, le esternazioni di Monika Schäfer, definita “un fanale”, e dei pregiudicati per negazionismo Horst Mahler ed Ursula Haverbeck. Sulla stessa pagina anche link ad altri 16 siti di indirizzo consimile ed a contenuti in russo, inglese, francese, olandese ed ungherese. Tra l’altro -si noti la perfidia- ci si imbatte anche in una serie di cortometraggi con le marionette “Elie & Wiesel”. WordPress d’altronde assicura la comparsa di inserzioni sulla pagina, le quali finanziando la piattaforma finiscono per consentire in quota parte anche l’esistenza al sito.

Briciole peraltro se comparate ai 400.000 euro che si stima avesse incassato il raduno neonazista di Themar in Turingia con oltre 6.000 partecipanti paganti nel luglio 2017; presentato come manifestazione ma di fatto un’operazione commerciale dove il branco si è sfogato in saluti nazisti. In risposta ad un’interrogazione parlamentare dei Linke il Governo ha indicato di computare che l’estrema destra disponga a diverso titolo di almeno 136 aree immobiliari in tutta la Germania per le proprie attività: 59 in proprietà, 51 in locazione e 26 con comunque possibilità di impiego per manifestazioni politiche. In testa alla lista ci sarebbe la Sassonia con 25 unità registrate e poi la Baviera con 17 ed il Meclenburgo-Pomerania con 15; in coda Brema con 1 sola. In verità sono risultati discutibili se si considera che appena 3 anni fa il Governo in risposta ad un’altra interpellanza aveva indicato un totale ben maggiore di 250 unità e nel 2013 in risposta alla SPD un totale di 260, ha commentato Patrick Gensing della ARD. Nel conteggio appena presentato i Linke hanno criticato che mancherebbero diverse realtà come la casa degli “identitari” ad Halle, il centro nell’Istituto per la politica di Stato di Schnellroda, o la ditta di spedizioni WB del presidente del partito NPD a Fretterode. In ogni caso anche la cifra di oltre 130 evidenzia che l’estrema destra, nonostante la riduzione di fondi pubblici, gode sempre di disponibilità di mezzi.

 

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Terrorismo neonazista
Oltre settant’anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale d’altronde la giustizia tedesca è stata più volte impegnata anche a giudicare vere e proprie cellule terroristiche neonaziste, a partire dalla riapertura delle indagini per l’attentato all’Oktoberfest di Monaco del settembre 1980. Almeno due procedimenti contro cellule di estrema destra ed uno contro un singolo attentatore sono ancora pendenti.

 

Clandestinità nazionalsocialista
A Monaco di Baviera si svolge il processo per i crimini del gruppo Clandestinità nazionalsocialista che è ormai entrato nel quinto anno e nel quale la 405ma e la 406ma udienze sono state impegnate a dibattere sul tentativo della difesa dell’imputato Ralf Wohlleben, ritenuto responsabile di avere fornito l’arma usata in nove delitti, di fare riaprire la fase probatoria, procrastinando il termine delle prolusioni conclusionali delle parti civili. La difesa ha chiesto l’escussione di due testi e l’acquisizione di un fascicolo di indagine nei confronti di uno di essi. I testimoni dovrebbero indicare una ipotetica via alternativa del passaggio dell’arma, che scagionerebbe il loro assistito, incolpandone sé stessi al posto. Sia la Procura Generale che l’avvocato di parte civile Hardy Langer hanno chiesto che la richiesta venga rigettata perché inidonea e comunque tardiva. Si tratta di una scelta difficile per il Senato giudicante: se vi dà corso riapre la fase dibattimentale con l’effetto di aprire la strada ad una nuova serie di istanze probatorie difensive volte a prolungare il processo e provocarne prima o poi l’inceppamento; se la rifiuta subirà prevedibilmente una nuova istanza di ricusazione. Mentre i legali di parte civile Sebastian Scharmer e Björn Elberling ritengono che le richieste della difesa saranno rigettate, il collega Yavuz Narin ipotizza che i giudici potrebbero evitare di decidere formalmente e convocare i due testi considerando che probabilmente si trincererebbero dietro il diritto a non parlare, rigettando l’istanza ad acquisire il fascicolo di indagini per cui ci vorrebbe più tempo. Ma anche così, difficilmente i difensori ometterebbero una nuova istanza di ricusazione dei giudici ed è quindi prevedibile che la fine del processo slitti ancora in avanti.

 

Gruppo Freital
A Dresda continua poi il processo, iniziato dal marzo dell’anno scorso, ai componenti del Gruppo Freital, nel quale il Procuratore Generale Jörn Hauschild (lo stesso già impegnato nel processo al gruppo di estrema destra Old School Society) ha invece chiesto mercoledì 17 gennaio rispettivamente 11 anni e 10 anni e 9 mesi per i due imputati principali Patrick F. (26 anni) e Timo S. (28 anni) per la costituzione del gruppo terroristico e tentato omicidio, e per gli altri sei imputati al loro seguito -Philipp W. (30), Maria K. (29), Mike S. (39), Justin S. (20), Sebastian W. (27) e Rico K. (40)- pene tra i 9 anni e mezzo e 5 anni. La sanzione inferiore per il più giovane degli imputati è giustificata perché essendo solo ventenne deve essere giudicato col diritto minorile. Al gruppo sono ascritti 5 attentati, perpetrati a Freital e Dresda tra luglio e novembre 2015, ai danni di richiedenti asilo e di oppositori politici; una pura casualità che non abbiano causato dei morti.

 

La bomba alla stazione della S-Bahn di Wehrhahn
È iniziato il 25 gennaio 2018 a Düsseldorf il processo contro il 51enne Ralf S. ritenuto responsabile di aver deposto una bomba nella stazione Wehrhahn della metro leggera il 27 luglio 2000. L’esplosione alle 15.03 dell’ordigno con 200 gr. di TNT, deposto in un sacchetto di plastica su una ringhiera della stazione, investì un gruppo di dodici studenti di lingue dell’est europeo, 10 furono feriti tra loro 6 erano ebrei dall’ex Unione Sovietica, una donna incinta perse il feto. I resti dell’ordigno si ritrovarono sparsi in un arco di 157 metri. L’accusa è per tentato omicidio in dodici casi motivato da odio verso gli stranieri e prevede, in caso di condanna, l’ergastolo. Per quanto gli inquirenti avessero subito sospettato l’attuale imputato, all’epoca 34enne noto neonazista titolare di un negozio di articoli paramilitari vicino al luogo dell’attentato, non trovarono indizi sufficienti. Ralf S. girava per il quartiere con il suo cane “sceriffo” e non faceva mistero di ritenere che gli stranieri fossero causa anche delle sue disgrazie economiche, ma dovette essere rimesso in libertà. Dopo 14 anni, mentre era in carcere per non avere pagato una pena pecuniaria, ha però avuto la dabbenaggine di vantarsi di avere piazzato la bomba ad un compagno di cella che lo ha denunciato. Le indagini sono state riaperte, l’ex fidanzata ha confessato di avergli fornito un falso alibi e così pure un’altra testimone. Il quadro poi è stato rafforzato da intercettazioni telefoniche. Vedendo gli studenti stranieri come il fumo negli occhi e non riuscendo ad intimidirli, avrebbe affittato un appartamento apposta per fabbricare la bomba telecomandata con le tecniche imparate nel servizio militare. Attraverso il proprio legale Olaf Heuvens, coì come in lettere spedite ai media dal carcere e pure all’apertura del dibattimento, Ralf S. fin qui ha negato tutto. Anche se qualcuno si chiede se dietro l’attentato non si nasconda piuttosto una rete di estrema destra e non un singolo autore, al momento non ce ne sono indizi. È però noto che i servizi segreti interni del Verfassungschutz avevano almeno un informatore vicino all’imputato che lo aveva incontrato proprio in concomitanza con il momento dell’attentato; uno senario che riecheggia i dubbi sul ruolo dei servizi emersi nell’inchiesta sul gruppo Clandestinità nazionalsocialista. Cinque delle persone colpite dall’esplosione si sono costituite parte civile. Sono previste 37 udienze fino a metà luglio.

 

Simpatie neonaziste: l’arma usata per uccidere concittadini con origini straniere
Chiuso invece il 19 gennaio 2018 con una condanna a 7 anni, appena due mesi in meno da quanto richiesto dal procuratore, per violazioni sulle leggi sul commercio delle armi e per omicidio e lesioni colpose il processo di primo grado nei confronti di Philipp K., il venditore della pistola Glock 17 usata dal 18enne David S. per il massacro fuori del centro commerciale olimpico di Monaco di Baviera il 22 luglio 2016 che aveva avuto un bilancio di 9 morti più lo sparatore suicida e 5 feriti gravi. I giudici hanno riconosciuto a favore del condannato sia la confessione che la buona condotta processuale. La difesa ne aveva perorato la condanna a solo 3 anni e mezzo e la remissione in libertà, ammettendo le violazioni alla normativa sulla vendita di armamenti ma non i delitti colposi. Le parti civili invece una condanna da 10 a 11 anni per concorso in omicidio volontario, a fronte del fatto che vendendo l’arma con 450 colpi Philipp K. dovesse avere chiaro che sarebbe stata usata contro delle persone; sottolineando inoltre che seppure il venditore 33enne di Marburg avesse confessato, non aveva dimostrato pentimento e chiesto scusa. Almeno tre testimoni del Nord-Reno Vestfalia nel corso del processo avevano riferito poi che Philipp K. conoscesse l’intenzione dello sparatore di celebrare con un massacro contro immigrati l’eccidio fatto da Anders Breivik nel 2011 a Utøya e che “Rico”, come Philipp K. si faceva chiamare nella Darknet, condividendone le simpatie neonaziste, gli avesse dato dei consigli. La loro credibilità è stata molto dibattuta ed i giudici non vi hanno dato seguito nella sentenza. Michael Bartmann, per il Bayerischer Rundfunk, ha riportato però che nel corso del processo era emerso che sia Philipp K. che David S. erano fan di Hitler, razzisti e pervasi da odio per gli immigrati, anche se lo stesso assassino aveva genitori iraniani.

 

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La risposta politica al persistere dell’antisemitismo
È in questo quadro generale che il Bundestag ha disposto l’istituzione di un incaricato federale per monitorare, denunciare, e combattere gli episodi di antisemitismo, coordinando tutte le misure di contrasto e prevenzione a livello nazionale, come già esiste nell’Unione Europea. Anche la populista Alternative für Deutschland sorvolando sulle esternazioni antisemite provenute dalle sue stesse fila (come quando Bjorn Höcke definì il monumento alle vittime della Shoà come “vergognoso”) pur non essendo tra i promotori dell’iniziativa ha votato a favore. Beatrix von Storch (sulla quale pende una denuncia del 2 gennaio della polizia di Colonia per un tweet contro i mussulmani) ha colto l’occasione per denunciare collettivamente i rischi -peraltro segnalati con altro spirito anche dall’Unione delle comunità ebraiche tedesche- costituti dagli immigrati dai Paesi arabi. I Linke si sono invece astenuti. D’altronde l’antisemitismo esiste da 3000 anni e non è purtroppo immotivato lo scetticismo di chi nell’istituzione di un incaricato federale ad hoc -Josef Kraus sul liberal-conservatore Tychis Einblick fa anzi notare il 38mo tra incaricati e coordinatori federali od uffici simili- teme che agli effetti pratici si possa ridurre solo ad un nobile gesto di portata simbolica. Il Presidente dell’Unione delle Comunità ebraiche tedesche Josef Schuster per contro confida che agendo in modo indipendente dai partiti possa raccogliere dati dai diversi ministeri per l’elaborazione di programmi adatti a combattere tutti i tipi di antisemitismo, soprattutto giovanile, che hanno radici diverse tra loro.

 

Altri strascichi giudiziari
Esiste infatti anche un antisemitismo che prende corpo in degenerazioni di manifestazioni contro la politica israeliana, come bruciando la bandiera dello Stato e quindi negandone il diritto di esistenza, o scandendo slogan come “Hamas, Hamas, ebrei al gas” o peggio. L’editore tedesco, pure di origini ebraiche, Abraham Melzer in una conferenza “Palestinesi in Europa” definì slogan di questo tipo come “una reazione tutto sommato ragionevole non necessaria di scuse” e “non antisemiti, ma nel peggiore dei casi antiisraeliani ed antisionisti, espressione di rabbia, malcontento e disperazione”; ha riportato Stephan Handel sulla Süddeutsche Zeitung. La Presidente della Comunità Ebraica di Monaco di Baviera reagì alle parole di Melzer definendolo “decisamente malfamato per le sue esternazioni antisemite” ottenendo che questi non potesse tenere un altro discorso pubblico nel settembre di due anni fa. Sentendosi ingiuriato Melzer, parafrasando le parole della Knobloch, sostenne nel proprio blog che ella fosse “decisamente malfamata per il suo orientamento antidemocratico ed affermazioni razziste” ed adì la giustizia che nel novembre 2016, inaudita altera pars, inizialmente vietò alla stessa di definirlo un antisemita. La signora Knobloch ha però agito in via riconvenzionale ottenendo ragione nella sentenza pronunciata in primo grado dalla 25.ma sezione civile del tribunale di Monaco letta dalla giudice Petra Gröncke-Müller (protocollo 25 O 1612/17) -lo ha riferito sempre Stephan Handel. Nella decisione giudiziaria si attesta l’esistenza di “punti di vista idonei sufficienti perché ella potesse giudicare l’attore come noto per le sue esternazioni antisemite” mentre non si nega vi siano indicazioni nella condotta della Knobloch, che avrebbero potuto giustificare il giudizio di Melzer. Fissando per l’effetto un’ammenda di 250.000 euro in qualsiasi caso in cui in futuro l’editore abbia ad apostrofare la Presidente della Comunità Ebraica monacense di “opinioni antidemocratiche ed esternazioni razziste”.

 

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Una petizione
Recentemente è stata lanciata una petizione via internet (https://www.openpetition.de/petition/blog/offizieller-feiertag-in-deutschland-zum-gedenken-an-die-opfer-der-shoa) con l’intento di raccogliere 50.000 firme per poter richiedere al Bundestag di introdurre una giornata di lutto nazionale in memoria della Shoà nella quale tutti gli esercizi restino chiusi, aggiuntiva a quella internazionale del 27 gennaio, ritenuta dai promotori limitata a discorsi ufficiali in Parlamento e priva di presa effettiva nelle pubbliche coscienze. Non si vede peraltro come un giorno ad hoc nel calendario tedesco, che i promotori indicano potrebbe anche essere fissato in una domenica, contribuirebbe efficacemente ad un ricordo più partecipe proiettato nel futuro ed a rafforzare le prese di coscienza più di quanto la Germania -ben oltre all’Italia, o l’Austria- già non abbia fatto e come qui si è cercato di illustrare stia ancora facendo.

Ad esempio, nella sede del Parlamento bavarese fino al 2 febbraio è presentata una mostra sull’eutanasia nazista. Tra il 1939 ed il 1945 furono uccisi oltre 200.000 malati psichici ed handicappati. Deportati e gassati o spesso, perché più economico, semplicemente lasciati morire di fame. Sul loro destino si è a lungo taciuto ed anche sulla carriera che hanno continuato a fare nel dopoguerra i medici che non ne hanno impedito il decesso. A Melitta Burger (97 anni) -riporta il Bayerischer Rundfunk– fino a che non ha saputo la verità nel 2015, fu raccontato che la madre schizofrenica era morta nel 1944 di patologia al fegato. In realtà i nazisti ne documentarono con acribia il dimagrimento da 56 chili a gennaio ’44, due giorni dopo l’internamento, fino a 30 ½ al decesso in novembre.

 

L’autocritica della Giustizia tedesca
Auschwitz è stato uno dei luoghi più spaventosi della storia tedesca, ebbe a ricordare Christoph Heubner vicepresidente esecutivo dell’ufficio berlinese del Comitato Internazionale che dà voce agli ex deportati del lager nazista, mercoledì 10 febbraio a Detmold di fronte ad una trentina di giornalisti prima che iniziasse il processo a Reinhold Hanning. Nel lager c’erano circa 8.200 SS in servizio, ed almeno 6.500 sono sopravvissute alla guerra. Ciò nonostante solo 43 sono state condotte davanti ad un giudice in Germania. Di queste appena 7 condannate a vita e 25 ad una pena detentiva. Tutte le altre sono state assolte. Anche se al computo si possono aggiungere le condanne degli ultimi anni ad Hanning e Gröning, che il bilancio sia così scarno lo si deve anche alla inattività della Procura Generale.

Per parte sua quest’ultima ha adesso affidato al giurista professor Christoph Safferling dell’Università Friedrich-Alexander di Erlangen-Norimberga ed allo storico professor Freidrich Kieβling dell’Università Cattolica di Eichstätt-Ingolstadt una ricerca sul suo passato nel dopoguerra. L’incarico è di ripercorrere tutto il periodo dall’inizio della Germania Federale fino al termine dell’incarico del Procuratore Generale Ludwig Martin nel 1974, per mettere in luce come l’organo centrale della magistratura requirente abbia concretamente affrontato l’eredità politica del passato regime nazista. Si vuole chiarire quanto ci sia stata continuazione nel personale proveniente dal Terzo Reich ancora in carica nel dopoguerra e quanto esso possa avere avuto influenza nel lavoro della Procura Generale. Quanti, quali e con quali incarichi furono i collaboratori con un passato nazista. Ai ricercatori sarà dato pieno accesso nei registri del personale impiegato nella Procura Generale nei primi vent’anni della sua esistenza. Nel periodo oggetto di analisi rientrano anche i tre mesi del 1962 nei quali fu Procuratore Generale Wolfgang Fränkel, prima di essere pensionato anticipatamente perché emerse la sua precedente attività quale Procuratore del Reich, nella quale fu coinvolto nella comminazione di condanne a morte. I risultati della ricerca promossa come primo tra gli organi giudiziari, non sono da attendersi prima dell’inizio del 2020. L’iniziativa riecheggia quella già disposta dall’allora Ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer (Verdi) sul ruolo del suo dicastero e del corpo diplomatico durante gli anni del regime nazista, i cui risultati furono pubblicati nel 2005.

 

Immagine di copertina: https://pixabay.com/it/auschwitz-camp-2709947/

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CAT: Germania, Giustizia

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