I coronabond hanno qualcosa in comune con Brexit
La Brexit e la discussione sui coronabond hanno qualcosa in comune, pur nelle ovvie ed evidenti differenze.
In entrambi i casi il dibattito su questi temi viene utilizzato dai partiti nazionali anche per caratterizzare meglio la loro immagine di fronte all’elettorato, finendo quindi con l’utilizzare il dibattito per questioni interne. È chiaro che la questione non viene interamente ridotta a scontri locali, ma questi rientrano nella discussione più generale, finendo con l’influenzarla almeno in parte.
Nel caso della Brexit, uno scontro tra gruppi dirigenti interno ai Tories ha portato David Cameron a indire un referendum che, nelle sue intenzioni, avrebbe dovuto sancire la sconfitta della fronda interna. Non è andata così, e quel referendum non solo ha avviato la Brexit, ma ha costretto Cameron alle dimissioni, rinforzando nel breve termine lo UKIP di Nigel Farage e, in seguito, portando Boris Johnson a Downing Street.
Qualcosa del genere, oggi, sta succedendo in Germania. Per la CDU di Angela Merkel, la ferma contrarietà ai coronabond è anche un modo per rinsaldare l’immagine del partito, che negli scorsi anni ha perso fasce di elettorato verso Alternative für Deutschland, partito di estrema destra anti-europeo e contrario a qualunque forma di condivisone del debito. Questa emorragia sembra ora essersi fermata, e AfD ha ottenuto risultati di secondo piano un po’ ovunque tranne che all’est. Ma la paura di perdere ciò che si è riconquistato spinge molti esponenti dei cristiano-democratici a non cedere terreno, di fatto rendendo difficile lo sviluppo di un dibattito franco sulla questione.
A rinforzare questa dinamica c’è il fatto che la CDU si avvicina a un congresso, e le figure più papabili come prossimi leader sono Markus Söder, presidente della Baviera e leader della CSU (partito sorella della CDU famoso per essere tradizionalmente più conservatore), e Jens Spahn, attuale ministro della Salute da sempre avversario di Merkel. Figure ancora meno orientate a cedere su un tema che ormai, in Germania, viene visto da molti come una concessione ai Paesi mediterranei.
Tra i socialdemocratici della SPD invece le posizioni sui coronabond riverberano le differenze tra i nuovi segretari e il vecchio gruppo dirigente, di cui in questi giorni è emblema il Ministro per le Finanze Olaf Scholz. Contrario a un debito comune europeo e molto preoccupato di non arrivare a uno strappo nella Große Koalition, Scholz si vede ora avversato dalla nuova leadership di Walter-Borjans e Saskia Esken. Per loro, infatti, essere favorevoli ai bond vuol dire anche marcare una differenza con i vecchi dirigenti, e incalzare una maggioranza di governo in cui, negli anni, i socialdemocratici hanno sofferto molto, scendendo enormemente nei sondaggi e nelle elezioni locali.
Il dibattito prosegue, e qualcosa in Germania potrebbe cambiare. Ma come nel caso del referendum su Brexit, un tema che va ben oltre i confini nazionali e che ha la possibilità di influenzare in maniera determinante il futuro dell’UE si lega a prospettive più locali e ristrette, a uso e consumo delle carriere politiche dei singoli.
Per carità, nulla di strano: tatticismi e ambizioni condizionano l’agire politico spesso più di altro.
L’importante è non dimenticare David Cameron.
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