Così il virus ha sconvolto (anche) il diritto fallimentare italiano

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18 Aprile 2020

(intervento degli avvocati Marco Bonomi, Luca Finocchiaro e Marco Scavello, dello studio legale R&P)

Il Decreto Liquidità contiene anche disposizioni in materia concorsuale, relative al differimento dell’entrata in vigore del nuovo Codice della Crisi d’Impresa e all’introduzione di previsioni temporanee ed eccezionali in tema di concordati preventivi e accordi di ristrutturazione, nonché di istanze di fallimento, finalizzate a fronteggiare la situazione di emergenza Covid-19.

Codice della Crisi d’Impresa: rinviata l’entrata in vigore al 1° settembre 2021

Il nuovo Codice della Crisi d’Impresa (D.Lgs. 14/2019) sarebbe dovuto entrare in vigore, nella sua interezza, dal 15 agosto 2020. L’articolo 5 del Decreto Liquidità ne pospone invece l’entrata in vigore al 1° settembre 2021.

Il legislatore, viste anche le sollecitazioni di numerosi operatori del settore, ha ritenuto che, nel contesto economico eccezionale conseguente all’emergenza sanitaria in atto, che vede e vedrà molte imprese costrette a fronteggiare gravi crisi, non solo di liquidità, l’applicazione della nuova normativa (su tutte: l’attivazione delle c.d. misure di allerta, a fronte della sussistenza di indici di squilibri reddituali, patrimoniali e finanziari) avrebbe costituito un fattore moltiplicatore di crisi, anche per imprese che, prima della emergenza Covid-19, erano sane e meritevoli; con i prevedibili effetti nefasti per l’intero tessuto economico. Si è ritenuto quindi di rimandare di un anno l’entrata in vigore della nuova normativa: almeno fino all’agosto del 2021 – salvo ulteriori differimenti – continuerà perciò a trovare applicazione la vigente Legge Fallimentare.

E’ il caso però di ricordare che talune norme introdotte dal Codice della Crisi sono già in vigore dal 16 marzo 2019, e restano efficaci: si segnala in particolare l’ art. 2086 c.c., secondo comma, come introdotto dal Codice della Crisi: “L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Concordati preventivi e accordi di ristrutturazione già in fase di esecuzione, o pendenti

Il Decreto Liquidità, all’art. 9, ha introdotto una disciplina di carattere temporaneo ed eccezionale, tale da incidere su concordati preventivi e accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis L.F. già omologati e in fase di esecuzione, così come su procedure di concordato e richieste di omologa di accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis L.F. attualmente pendenti avanti ai Tribunali. Trattasi di disciplina di favore per le imprese debitrici, in quanto consente, a seconda dei casi, un differimento dei – già pattuiti – termini di adempimento oppure un’estensione del tempo concesso per la formulazione di una proposta di concordato, o per la stipula di un accordo.

In sintesi:

i) per i concordati preventivi e gli accordi di ristrutturazione già omologati e in fase di esecuzione, i termini di adempimento scadenti tra il 23 febbraio 2020 e il 31 dicembre 2021 sono prorogati di sei mesi; trattasi di proroga ex lege, di cui i soggetti debitori potranno liberamente usufruire, senza che ai creditori interessati – stando alla lettera della norma – siano concessi rimedi od opposizioni di sorta;

ii) nelle procedure di concordato preventivo e in quelle di richiesta di omologa di accordo 182 bis, pendenti al 23 febbraio 2020, il debitore potrà richiedere al Tribunale un termine non superiore a 90 giorni per predisporre un nuovo piano e una nuova proposta di concordato, o per addivenire ad un nuovo accordo 182 bis; si prevede quindi la possibilità per il debitore, anche in casi di procedure in fasi già molto avanzate (magari quando è già intervenuta l’approvazione del concordato da parte della maggioranza dei creditori; non però se la maggioranza dei creditori si sia già espressa in senso negativo), di rivedere il proprio piano di concordato, anche in senso peggiorativo per i creditori. A fronte di modifiche sostanziali del piano, è ragionevole ritenere che la procedura già pendente debba quindi regredire alla sua fase iniziale, come se si trattasse di nuova proposta: sarà quindi necessario un nuovo vaglio del Tribunale anche circa la sussistenza dei requisiti di ammissibilità; una nuova relazione del Commissario Giudiziale; una nuova adunanza dei creditori. Qualora invece l’esigenza del debitore sia soltanto quella di modificare (differire, per un tempo non superiore a sei mesi) i termini di adempimento già approvati dai creditori, immutato l’impianto del piano o dell’accordo già presentato per l’omologa, sarà sufficiente formulare richiesta motivata e documentata al Tribunale, che provvederà al riguardo in sede di udienza di omologa, anche – v’è da ritenere – senza alcun contraddittorio con i creditori;

iii) per le società che hanno presentato domanda di concordato in bianco, ex art. 161, sesto comma, L.F., o richiesta di termine per addivenire ad un accordo di ristrutturazione, ex art. 182 bis, settimo comma, L.F., è prevista una proroga eccezionale – sino ad ulteriori novanta giorni – del termine ordinariamente concesso per predisporre il piano e la proposta di concordato, o per giungere alla sottoscrizione dell’accordo di ristrutturazione.

Da notare che le disposizioni di cui sopra riguardano espressamente soltanto concordati preventivi e accordi di ristrutturazione ex art. 182 bis L.F.. Nulla è stato previsto, ad esempio, con riferimento ai piani di risanamento attestati ex art. 67 L.F., alle procedure previste dalla Legge 3/12 sul c.d. sovra-indebitamento, alle proposte di concordato fallimentare. Non si può escludere, ed anzi pare ragionevole – previa, ovviamente, valutazione caso per caso – l’interpretazione estensiva o analogica di talune delle norme in esame, contenute nel Decreto Liquidità, anche per i predetti istituti: si pensi ad esempio alla norma relativa al differimento ex lege di sei mesi dei termini di adempimento.

Improcedibilità delle istanze di fallimento

L’articolo 10 del Decreto Liquidità prevede che tutte le istanze di fallimento (e le richieste di dichiarazione di insolvenza di società soggette a liquidazione coatta amministrativa) depositate nel periodo compreso tra il 9 marzo 2020 ed il 30 giugno 2020 siano dichiarate improcedibili. Non già semplicemente sospese, o con udienza differita a periodo successivo al 30 giugno, ma dichiarate improcedibili, con provvedimento equivalente a provvedimento di rigetto. E conseguente necessità, per il soggetto istante, ricorrendone i presupposti, di riattivare ex novo il procedimento a far data dal 1° luglio 2020.

La dichiarazione di improcedibilità riguarda tutte le istanze di fallimento, siano esse promosse da creditori, dall’imprenditore in proprio, o dal Pubblico Ministero. Unica eccezione tale da consentire la normale trattazione di una istanza di fallimento, di qui sino al 30 giugno 2020, è prevista nel caso in cui il soggetto istante per il fallimento sia il Pubblico Ministero e questi abbia richiesto l’applicazione di provvedimenti cautelari o conservativi a tutela del patrimonio o dell’impresa (per evitare ad esempio atti fraudolenti da parte del soggetto debitore o comunque gravi depauperamenti del patrimonio sociale).

Affinché tale periodo di forzata improcedibilità di tutte le istanze di fallimento non torni ad eccessivo svantaggio dei creditori, lo stesso art. 10 del Decreto Liquidità prevede, al suo ultimo comma, con disposizione invero un po’ ambigua nella sua formulazione, che detto periodo (dal 9 marzo al 30 giugno 2020) non debba essere effettivamente computato, in danno dei creditori, né ai fini del calcolo del periodo di fallibilità dell’imprenditore successivo alla sua cancellazione dal registro delle imprese (normalmente di un anno; e che sarà dunque di un anno, più i 114 giorni pari al periodo intercorrente dal 9 marzo al 30 giugno) né ai fini del calcolo dei termini di prescrizione e decadenza delle azioni revocatorie, in caso di successivo fallimento (azioni che – si ritiene – potranno quindi essere promosse decorsi cinque anni, più i 114 giorni di cui sopra, dal compimento degli atti revocabili).

TAG:
CAT: Giustizia

Un commento

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  1. lina-arena 4 anni fa

    mi interessa sapere le sorti delle procedure esecutive promosse dalle Banche e gestite da un ridicolo rigore dai Tribunali.Le norme sulle aste giudiziali sono incostituzionali e bisogna insistere.

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