Quando si può provare civica soddisfazione perché il corrotto va in galera?

24 Febbraio 2019

In questi giorni, molti hanno cominciato così il loro pensiero su Roberto Formigoni: “L’ho combattuto quand’era potente, non ho condiviso nulla della sua politica, ho detestato la sua arroganza, ma oggi che a settant’anni suonati perde la sua libertà e finisce dietro le sbarre invece che ai domiciliari, dico che questa non è giustizia ma aberrazione di una politica che ha portato allo Spazzacorrotti”. Con il che, dunque, mettere in carico a una norma varata nel 2019 da un certo governo il progressivo imbarbarimento della nostra civiltà giuridica.

Queste persone, interrogate sul perché del loro atteggiamento, vi risponderebbero con quella formula magica che tutto ricomprende: «Perché sono un sincero garantista», dimenticando che ciò di cui parliamo non ha alcuna attinenza con il garantismo, concetto abusatissimo che si sparge qua e là quando conviene. Il garantismo, in realtà, è pura sofferenza che si esercita “in corso d’opera”, quando le cose – i processi – sono ancora apertissime o addirittura non si sono nemmeno celebrati, È una profondità morale che persone elette esercitano mentre la riprovazione sociale si abbatte sugli imputati schiacciati “sotto una montagna di prove”, com’ebbe a dire il procuratore di Pescara presentando il caso Del Turco. Qui invece, i processi si sono celebrati. E se qualcuno sostiene che Formigoni avrebbe avuto diritto ai benefici di legge, non è garantista. Esprime semplicemente un’opinione che racchiude una certa sensibilità giuridica.

Queste persone, probabilmente, credono di essere élite di un paese. Pensano di essere sempre un momento avanti alla contemporaneità, che deve giudicare con gli strumenti che ha. Non perdono mai, perché vivono sempre il sentimento giusto al momento giusto: di lotta, quando Formigoni è potente, misericordioso quando ormai il tiranno è battuto e varca la soglia della galera. Apparentemente dunque i migliori, rispetto a tutti quelli, e sono probabilmente la maggioranza, a cui quel finale, certo anche con il carcere, appare come la sintesi più naturale di un percorso giudiziario molto lungo e complesso. Questa maggioranza vive uno stordimento sociale a cui non riesce a dare una ragione: da una parte viene tirata per i piedi sott’acqua da quella guazza urlante e sguaiata che ha bisogno del sangue ed esulta perché il maledetto che ha rubato “è finalmente in galera!” (e questa senza ombra di dubbio la possiamo considerare la parte peggiore dell’umanità), e dall’altra viene giudicata poco sensibile da quei benpensanti di cui sopra che la vorrebbero misericordiosa nel momento della condanna finale.

Da qui, un paradosso difficile da accettare. Che è quello di non avere mai soddisfazione. Non nel ventennio in cui il tiranno ha dominato in lungo e in largo, e in cui i cittadini hanno semmai trangugiato amaro, ma neppure nel momento in cui per il medesimo viene il momento di pagare il suo conto con la giustizia, perché i garantisti-che-non-lo-erano puntano il ditino e dicono: ma che volgarità, sei contento se Formigoni va in galera, ma che cittadino sei? È a questo punto che sorge forse la domanda più complessa di una società organizzata: quando un cittadino può esercitare la sua civica e interiore soddisfazione per la giustizia che ha fatto finalmente il suo corso, senza che, solo per questo, possa essere scambiato per un aguzzino?

Crediamo siano in molti ad avvertire questo disagio. E cioè la ricerca di quel diritto interiore alla “soddisfazione”, che è l’alimento primario per continuare ad avere fiducia nelle istituzioni. Lo scrive, tra gli altri, il lettore Ciriaco Merolli a Repubblica: «Quando ricopri un alto incarico pubblico, di governo di una regione come la Lombardia, quando il tuo grado di colpevolezza circa la natura della legge e del suo rispetto è pari a quello della funzione ricoperta, la tua responsabilità nella tua violazione è più grave rispetto a quella di un comune cittadino, che magari la infrange per ignoranza o per necessità. Non capisco dunque le espressioni di solidarietà e indulgenza manifestate nei confronti di Formigoni, il quale per la sua militanza cattolica in CL era anche vincolato non solo all’ottemperanza delle regole di pubblica moralità, ma anche alla devota e scrupolosa osservanza dei principi dell’etica religiosa».

È del tutto evidente che una società illuminata debba fare ogni sforzo perché anche questa grande parte di popolo possa vivere con serenità gli eventuali benefici di legge a un settantenne corrotto come Formigoni. Certo, il modo migliore non sembra essere quello di mostrarsi superiori, come sta accadendo in questi momenti, costringendosi a una misericordia extracristiana che assume i tratti della convenienza social-giornalistica. Si metta mano alla macchina della giustizia, magari, riducendo quei tempi biblici che trasformano i corrotti in vecchietti della Baggina.

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CAT: Giustizia

Un commento

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  1. alding 5 anni fa

    Questa sentenza è la vittoria della vera ed unica CASTA che domina l’Italia oggi.
    Una CASTA che fa ciò che vuole senza bisogno di elementi concreti ma basandosi su sole supposizioni.
    Una CASTA che gioca da sola il suo campionato perché non permette a nessuno di criticarla e di creare le condizioni per correggerne gli errori.
    Una CASTA che si chiama MAGISTRATURA e di cui tutti i cittadini italiani – soprattutto quelli onesti – devono avere paura n quanto è in grado di annullare qualunque diritto democratico ed è in grado di distruggere qualunque struttura economica di cui il Paese ha bisogno. Una CASTA che vuole comandare impedendo ad ogni cittadino di contestarla.
    Attenti cittadini, perché qualunque cosa facciate, costruttiva, positiva, umana, la CASTA potrà costruire un teorema e distruggervi in qualunque momento.

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