Conoscere la privacy: la Cassazione condanna chi stressa il debitore
La giurisprudenza ha riconosciuto il diritto alla privacy del debitore.
L’Autorità Garante ha definito un’elenco di comportamenti, da considerarsi vietati, perché troppo lesivi della riservatezza e della tranquillità del domicilio.
Si tratta comunque di questioni che si pongono su di un piano differente, rispetto all’ inadempimento civile verso il creditore.
L’eventuale risarcimento del danno per violazione della privacy non modifica lo stato del debitore, che comunque rimane tale fino all’adempimento delle suo obbligazioni.
Quando si parla di società di recupero crediti ,si fa riferimento a soggetti esterni alla struttura del creditore che non si avvalgono dei tribunali, ma utilizzano i cosi detti strumenti stragiudiziali:
– telefonate, solleciti scritti, tentativi di contatto domiciliare.
Salvo che non abbiano ottenuto una espressa cessione del credito da parte del creditore, le società di recupero crediti non hanno il potere di agire in via giudiziale contro il debitore. Possono cioè solo tentare transazioni e saldi e stralcio, concedere dilazioni di pagamento, ma non possono citarlo in in causa o agire contro di lui con un decreto ingiuntivo. Solo il titolare del credito ha la possibilità di ricorrere davanti al giudice.
Ma come mai una società di recupero crediti, diversa quindi dal creditore, ha i tuoi dati?
La ragione è presumibilmente collegata al contratto che hai firmato quando hai assunto l’obbligazione: di solito, l’azienda venditrice o che eroga il servizio si fa autorizzare in anticipo dai propri clienti a cedere i loro dati a terzi collaboratori al fine di meglio eseguire la prestazione o di recuperare i propri crediti.
Le condotte illecite poste in essere in tutti questi anni, dalle società di recupero crediti, sono varie:
– richiesta del numero di telefono del debitore a familiari, parenti, vicini di casa, datore di lavoro o colleghi;
– visite a domicilio o sul posto di lavoro e reperimento di informazioni sul debitore, ai vicini di casa cui è stata rivelata la finalità di detta ricerca (appunto il recupero del credito);
– solleciti telefonici ripetuti nell’arco della stessa giornata o comunque in modo assillante, al solo fine di creare una pressione psicologica sul debitore;
– telefonate preregistrate;
– invio di posta con l’indicazione all’esterno della scritta “recupero crediti” o “preavviso esecuzione notifica”;
– affissione di avvisi di mora sulla porta di casa.
Il Garante della Privacy per cercare di arginare tale fenomeno, ha emesso un provvedimento generale con cui ha intimato, sia al creditore che alle società di recupero crediti, alcune regole fondamentali per il rispetto della privacy.
Il creditore non può comunicare alla società di recupero crediti tutte le informazioni del debitore in proprio possesso, ma solo quelle pertinenti al recupero: dati personali del debitore, contratto, tipologia del debito, modalità di pagamento, debito residuo, eventuali soggetti coobbligati (fideiussori).
Le società di recupero crediti, a loro volta, non possono comunicare a soggetti terzi i dati in proprio possesso e le finalità del trattamento. Ad esempio, se al telefono risponde il coniuge del debitore, o il datore di lavoro o addirittura i colleghi, l’operatore non può anticipargli lo scopo della chiamata e magari rivelare l’esistenza del debito.
In particolare il debitore ha una molteplicità di diritti, tra i quali quello di richiedere l’origine dei dati personali, le finalità e modalità del trattamento, la logica applicata in caso di trattamento effettuato con l’ausilio di strumenti elettronici, gli estremi identificativi del titolare, dei responsabili e del rappresentante del trattamento dei dati, la cancellazione, la trasformazione in forma anonima o il blocco dei dati trattati in violazione di legge, ma principalmente ha il diritto di opporsi, in tutto o in parte, per motivi legittimi, al trattamento dei dati personali che lo riguardano, anche ai fini di invio di materiale pubblicitario o di vendita diretta o per il compimento di ricerche di mercato o di comunicazione commerciale.
La cosa più fastidiosa sono le chiamate dei call center.
Il numero di telefono dal quale chiama l’operatore deve essere sempre visibile, ha l’obbligo di fornire il proprio nome e cognome, nonché – su richiesta del soggetto contattato – il nome della società di recupero crediti per cui opera.
Le telefonate non possono mai avvenire negli orari di riposo e nei giorni festivi.
Il Garante ha ritenuto illecite le chiamate fatte ad orari irragionevoli e con frequenza superiore al dovuto.
Non si può contattare il debitore in luoghi diversi dalla sua residenza, è vietata la telefonata presso il posto di lavoro, la casa di familiari o altri parenti, amici e conviventi.
La telefonata non può essere registrata senza il consenso espresso del debitore. Al contrario è diritto del debitore registrare la chiamata anche senza chiedere il consenso dell’operatore. In tal modo, qualora vittima di molestie, potrà querelare il responsabile producendo come prova la stampa della registrazione.
È vietato spedire al debitore lettere ove sulla busta appaia la scritta «recupero crediti». É necessario, invece, che le sollecitazioni di pagamento vengano portate a conoscenza del solo debitore.
L’articolo 660 del codice penale prevede il reato di molestie tutte le volte in cui una persona, per petulanza o per biasimevoli motivi, pone un comportamento di insistenza eccessiva e perciò fastidiosa, di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nell’altrui sfera privata. Nel caso delle società di recupero crediti non si può parlare di illecito penale solo per due o tre telefonate nell’arco di una settimana. Affinché scatti il reato di molestia infatti è necessario un atteggiamento petulante, tipico di chi insiste nell’interferire nella altrui sfera di libertà anche dopo essersi accorto che la sua condotta non è gradita. Dunque è richiesto un atteggiamento di arrogante invadenza e di intromissione continua e inopportuna nella altrui sfera di libertà.
La Cassazione, già con sentenza 26776/2016, ha precisato che il codice penale punisce la molestia commessa col mezzo del telefono, e, quindi, anche con l’invio di sms o messaggi in chat.
Tra le ultime pronunce, la Corte, con sentenza n. 29292/2019, ha confermato la condanna del titolare di un’agenzia di recupero credito, per non aver vigilato sulla condotta degli operatori che, con telefonate multiple a tutte le ore del giorno, hanno recato molestia e disturbo a un ex cliente di una società elettrica per il mancato pagamento di alcune fatture.
Anteporre il profitto al rispetto delle persone, molestandole e recando loro disturbo, integra il biasimevole motivo richiesto dall’art 660 c.p..
In prima istanza già il tribunale ordinario aveva condannato alla pena, condizionalmente sospesa, ed a 300,00 euro di ammenda, oltre al pagamento delle spese processuali per il reato di molestia o disturbo alle persone e al risarcimento dei danni in favore della parte civile, oltre alla refusione delle spese legali in favore della stessa.
Il procedimento nasce dalla querela sporta dal debitore, il quale, dopo l’interruzione del contratto di fornitura di energia con il gestore ha ricevuto, per quasi due mesi, circa di 8-10 — telefonate al giorno di diversi incaricati della società di recupero crediti dell’imputato, per ottenere il saldo delle fatture inevase al momento della cessazione dell’accordo di somministrazione.
Il Tribunale, per l’attitudine dei contatti, la frequenza e la collocazione oraria, ha ritenuto che tali condotte integrino la petulanza richiesta dall’art. 660 cod. pen.
Il responsabile della società di recupero crediti incaricata dal gestore, viene condannato, perché il reato è commesso “in ossequio a precisa strategia aziendale e non in forza di autonome iniziative dei singoli addetti al cali center”, escludendo la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p.
Il ricorso in Cassazione viene mosso dal condannato, sulla base dell’eventuale travisamento della prova, in relazione al reato sanzionato dall’art. 660 cod. pen; per carenza di contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione, visto che il Tribunale ha trascurato il fatto che gli operatori si siano attenuti al protocollo d’intesa sottoscritto dalle aziende del settore e le associazioni dei consumatori; la non attendibilità della parte offesa; violazione della legge processuale e vizio di motivazione per essere il Tribunale giunto alla condanna del responsabile quale autore delle telefonate moleste; mancanza o mera apparenza della motivazione con riferimento all’elemento soggettivo del reato.
La Cassazione, oltre a dichiarare il ricorso inammissibile per le varie eccezioni mosse, precisa che:
- “Nel caso di specie, appare indubbio che l’illiceità dell’azione posta in essere con il decisivo concorso del responsabile è derivata dalla scelta, presumibilmente compiuta dalla governance aziendale, di ricorrere ad insistite e pressanti iniziative finalizzate al recupero del credito, così anteponendo gli obiettivi di profitto al rispetto dell’altrui diritto al riposo ed a non essere disturbati, ciò che integra il biasimevole motivo richiesto dalla norma incriminatrice; il Tribunale, del resto, è esplicito nell’attestare, sul punto, che già l’elevata frequenza delle telefonate quotidiane risponde alla nozione di petulanza richiesta dalla disposizione applicata. Non può allora dirsi, conclusivamente, che il Tribunale sia incorso, in proposito, nell’evocato deficit motivatorio, avendo il giudice di merito spiegato, sia pure sinteticamente, che il condannato, era sicuramente a conoscenza delle violazioni dei codici interni di comportamento, ciò che vale a qualificare il suo contegno in termini quantomeno colposi ed attesta la manifesta infondatezza della deduzione sottesa all’impugnazione.”
In tutti i casi di lesione della privacy, il debitore può agire contro la società di recupero crediti per ottenere il risarcimento del danno. La semplice denuncia all’Autorità Garante della Privacy non consente tale diritto, ma prevede solo la punizione del colpevole e l’adozione di sanzioni (anche gravi da un punto di vista economico).
Invece per ottenere l’indennizzo bisogna agire davanti al giudice civile, con una autonoma causa di risarcimento del danno, a mezzo del proprio avvocato.
Scarica la sentenza della Cassazione 29292/2019
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