Dove finisce la politica iniziano i manganelli

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30 Ottobre 2014

Al di là delle richieste di chiarimento o delle inchieste, su ciò che è accaduto ieri a Roma, il giorno dopo è il caso di riflettere su alcune cose a mente fredda.

L’episodio degli scontri tra lavoratori e polizia dipende da un deficit di comunicazione come sostengono alcuni? Forse. Ma anche se fosse così, la diagnosi individua un deficit tecnico, mentre trascura il dato politico.

La dinamica che porta agli scontri di ieri, sottolinea che oggi noi siamo un paese a rischio.

Primo rischio. Riguarda i protagonisti fisici della scena: nessuno si parla, prova a mediare, o a trovare una soluzione di governo delle emozioni Quello che non c’è è un luogo e una figura della contrattazione. Il contatto è diretto. Forse dell’ordine e manifestanti sono a stretto contatto ma si fronteggiano come avversari. Non c’è una figura di mediazione né da parte delle forze dell’ordine, né da parte sindacale. E’ come se improvvisamente la possibilità della mediazione sia stata accantonata.

Quello che è accaduto ieri ricorda su scala ridotta, molto ridotta, la scena del G8 di Genova.  Il problema non è la quantità della violenza, ma l’eclissi della politica, la scomparsa delle fasce di contenimento. La conseguenza lo spazio che viene acquistando la violenza.

Secondo rischio. Nella scena dentro l’area sindacale non c’è un controllo, qualcosa che ricordi anche vagamente quello che un tempo si sarebbe chiamato servizio d’ordine (in ogni caso richiamare all’ordine ripretendo costantemente di non cadere nella provocazione, è un invito che non può funzionare appunto se non ci dono figure di mediazione e di contenimento) E’ ‘effetto di una scelta di rappresentare la protesta, ma di non avere una capacità di governo sulle forme della protesta.

Terzo rischio. Nella scena della politica le dichiarazioni, sopravanzano da troppi giorni la politica amministrata. Significa che c’è una sovraesposizione non tanto degli annunci, ma soprattutto del protagonismo. Riguarda tutti gli attori coinvolti anche nella scena di ieri: riguarda il governo, la Presidenza del Consiglio, molti attori politici, i diversi mondi del lavoro, le direzioni sindacali

La scena di ieri dice che un deficit di governance, una sovraesposizione comunicativa, l’assenza di chiaro progetto di cose da fare, ma anche di richieste e di cose a cui rinunciare hanno l’effetto che la piazza torni a parlare attraverso lo scontro fisico.

Il problema non è che la “piazza parla” solo ritrovandosi in piazza, ma se ritrovarsi in piazza, e contrapporsi a chi in piazza va non ha un fine, non è legato a rappresentare contenuti. In altre parole se stare in piazza serve a dire chi sei e che esisti, non che cosa vuoi o quanto sei disposto a contrattare.

Se invece la piazza – che oggi significa lo schermo – è il luogo dove si comunica la propria esistenza allora il problema inevitabilmente diviene occupare tutto lo spazio pubblico. Il giorno dopo quel tuo protagonismo non è più la soluzione. È il problema.

 

TAG: alfano, Cgil, crisi, Landini, Lavoro, Matteo Renzi, politica
CAT: Governo, Sindacati

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