Alitalia perde un milione di euro al giorno, prima di Natale si troverebbe di nuovo con l’acqua alla gola ed è impensabile che il prestito ponte venga nuovamente rimpinguato. Alla vigilia del ventiduesimo mese di Amministrazione Straordinaria non ascoltiamo più i proclami baldanzosi di Luigi Gubitosi, passato al timone di TIM e solo Fabio Lazzerini vanta il miglioramento dei ricavi e i dati di puntualità, senza mai fare cenno dei risultati di bilancio negativi. I tre commissari prudentemente tacciono.
Il Governo ha incaricato le Ferrovie dello Stato di risolvere il rebus Alitalia, ma le strombazzate sinergie di costo ricavabili dall’unione sono insignificanti. FS non ha il know-how per gestire una linea aerea e l’emorragia di cassa è troppo forte perché FS la possa sopportare. Il partner “tecnico” che si sta cercando deve essere anche un partner finanziario, che entri nel capitale e in prospettiva sarebbe il nuovo padrone.
I possibili partner sono gli stessi che c’erano già nell’autunno del 2017: l’americana Delta, che investirebbe denaro in Alitalia per mantenerla nel suo gruppo che con Air France, KLM e Virgin Atlantic gestisce il traffico transatlantico e poi la tedesca Lufthansa, che per la medesima ragione vorrebbe che Alitalia si unisse al suo, insieme all’americana United e alle consociate minori come Swiss. In palio c’è soprattutto il primato sul mercato transatlantico, che è ancora il più importante del mondo.
Il terzo grande gruppo, che in Europa è capitanato da British Airways e Iberia è fuori gioco, impantanato nelle imprevedibili conseguenze della Brexit. Il terzo pretendente di Alitalia, la low cost easyJet non saprebbe gestire voli intercontinentali e non vorrebbe collaborare con Delta in maniera efficace, pertanto pare ai margini della trattativa.
Come nell’autunno 2017 la questione ruota intorno a quanti dipendenti dovrebbero uscire dall’azienda e a chi spetterebbe il comando. Il Governo pare essersi rassegnato all’inevitabile riduzione della flotta e degli equipaggi e all’esternalizzazione dei servizi di terra con il relativo personale, mentre nulla di buono si prepara per gli amministrativi.
Non è chiaro se l’offerta di Delta sarà migliore di quella di Lufthansa, misurandola con il metro governativo dei posti di lavoro che resterebbero, né quale delle due sarebbe più capace di risolvere il problema Alitalia definitivamente. La presenza dello Stato, in proprio o tramite le Ferrovie dello Stato e altri eventuali Enti, non è in grado di mantenere Alitalia nelle dimensioni attuali e si deve prendere una decisione, proprio mentre le elezioni europee si avvicinano e qualsiasi taglio sarebbe salutato da una raffica di scioperi.
Dati per persi e non recuperabili i 900 milioni del prestito ponte, l’interrogativo più pesante non è tanto su quale sarà il partner preferito e quanti saranno i tagli occupazionali, ma su quale governance ci sarà: chi è disposto a mettere capitali freschi pretende lo scettro del comando, che il Governo non vuole cedere. L’esperienza porta a credere che, se continueranno a comandare soggetti italiani pesantemente condizionati dalla politica, Alitalia non guarirà mai. Air France e KLM, che Delta ha bisogno di coinvolgere, sono già rimaste scottate, Lufthansa difficilmente accetterebbe di dover discutere con altri le decisioni di gestione.
Mentre i sogni sovranisti per Alitalia svaniscono davanti alla prosaica realtà dei bilanci in rosso, il Governo è chiamato alla difficile scelta fra smentire se stesso, cedendo il controllo all’estero o lasciare che Alitalia si diriga verso l’ennesima bancarotta.
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