Un nazionalismo pagato dai più deboli, come sempre
Matteo Salvini sembra aver vinto il suo personale braccio di ferro tra lui e la reputazione che l’ha fatto arrivare al dicastero del Viminale. Ha respinto l’attracco della nave Aquarius con a bordo poco più di seicento “poveri cristi”, lasciandoli per più giorni in soprannumero rispetto alla capacità dell’imbarcazione con un mare grosso e con parecchi bambini, donne incinte e minori. Questa pare essere la volontà popolare espressa e tradotta in azione, a braccia conserte, dal neoministro con la chiusura dei porti. Ma tralasciando di inoltrarci nuovamente nel discorso su come la volontà popolare sul diritto internazionale e marittimo sia per forza di definizione ignorante, proviamo invece a stabilire quanto di buono o negativo questa decisione abbia portato e che strategia possa annidarsi dietro questa “prova di forza”.
Il primo e più efficace aspetto della respingimento è stato il riconoscimento popolare di quelle persone che accolgono la narrativa leghista sull’immigrazione. Il secondo non c’è. Questa è stata un’operazione di puro consenso che si potrà spendere nella memoria degli accaniti supporter quando i sogni del contratto di governo naufragheranno nella necessità di fondi per adempiervi. Perché se qualcuno ha pagato la ricevuta che ora Salvini stringe trionfante, agitandola col braccio teso per salutare la nave dirottata a Valencia, sono proprio gli occupanti del natante. E anche un po’ i conti pubblici italiani visto che i migranti saranno trasportati in Spagna da navi della Marina Militare nostrana, oltre al rischio di sanzioni internazionali. Un’altra nave della Marina Militare nel frattempo approda a Catania con un migliaio di esseri umani, mentre altre cinquecento circa sono state accolte già nel passato weekend. Insomma, abbiamo respinto poco più di un quarto delle persone arrivate.
Qualcuno dirà “beh ma certo non possiamo accoglierli tutti noi”. Giusto. O meglio, potremmo tranquillamente vista la ricchezza e la dimensione del nostro stato e considerando che i numeri in gioco si trattano di qualche zero percento rispetto all’interezza della popolazione italiana, e comunque risicati rispetto ai cinque milioni di stranieri regolarmente in Italia. La maggior parte dei cosiddetti migranti economici per giunta arriva tranquillamente con voli internazionali da oriente. Questi fenomeni migratori invece sono emergenze umanitarie. Le persone vagano per l’Africa mesi, fino ad approdare tra le grinfie della mafia libica che li rinchiude in campi di prigionia, dove avviene una tratta schiavista e dove infine i più fortunati vengono imbarcati. Poi il ministro Minniti per ridurre gli arrivi sembra abbia raggiunto accordi non del tutto etici con queste milizie schiaviste; l’importante è tenere la disperazione del mondo lontana dal nostro focolare, finché sto bene io nessun’altro soffre. Ma comunque non siamo soli in Europa e dunque è corretto che se ne occupino anche altri Paesi; e lo stanno facendo. Malta stessa ne ha già accolti molti e questa nave in particolare non spettava alla giurisdizione maltese farla approdare, come ricorda l’ambasciatrice di La Valletta.
La questione qua si fa più spinosa però, perché in Italia sull’accoglienza vigono norme alquanto vetuste e obsolete. La prima è la legge Bossi-Fini, una legge destrorsa che sceglie di assegnare lo status di clandestino a qualunque persona giunga irregolarmente nel nostro Paese, mettendola così davanti ad una mole burocratica prima di poter cercare un’occupazione regolare o un passaggio agevolato verso gli altri stati. Una legge che affronta malissimo il problema e che però crea un sacco di numeri irregolari per la retorica acchiappavoti leghista. Inoltre, impone agli immigrati giunti sui “barconi” un passaggio forzato nei centri di identificazione dove nella maturazione delle loro richieste è facile cadere in mano ad arrivisti, latifondisti o mafia che sfruttano le loro braccia per un tozzo di pane.
La seconda e più fastidiosa per noi italiani è il trattato di Dublino, il quale impone, al Paese che accoglie, lo smistamento dei migranti e che quelli di cui non si riesce a valutare adeguatamente la destinazione desiderata debbano rimanere nella nazione in cui arrivano, ricadendo nel punto precedente. La cosa più buffa è che appena prima che il premier Conte chiedesse a gran voce di ridiscutere il suddetto, la maggiore proposta di cambiamento veniva affossata con giubilo di Salvini e Orban (perché il ministro dell’interno dovrebbe esultare insieme al dittatorucolo ungherese la fine della riforma, quando gli interessi sulla ridistribuzione dei migranti sono esattamente opposti? Cui prodest?) e con voto contrario del Movimento 5 Stelle. Certo a discolpa di questi ultimi bisogna dire che le motivazioni di voto contrario erano addotte partendo da giuste rimostranze alla poca sostanza del cambiamento in atto e anzi chiedevano una politica più aperta e condivisa. Ma quello proposto era un punto di partenza migliore rispetto all’attualità della sostanza e come al solito al partito pentastellato va attribuita una mancanza di pragmatismo, vero tallone d’Achille del movimento, che appare in secondo piano rispetto alle macchinazioni del suo verde alleato; il quale pare delinearsi come figura dominante in questa prima fase di legislatura. Un peccato che viene riconfermato dai non esaltanti risultati, per quello che contano nell’analisi politica, delle amministrative. Sembra di leggere che i 5stelle siano visti come pieni di ambigua e accattivante volontà, ma che nella sostanza dell’amministrazione raccolgano scarsa fiducia.
Dunque la situazione non cambia, se non per seicento anime in meno da smistare tra le coste italiane e questo è frutto anche di politiche nazionalistiche di risentimento verso gli altri: altre persone, altre nazioni, altre culture. Una mancanza di coesione che ha principio nell’Europa a trazione destrorsa, di cui l’Italia è la prima a subirne i contraccolpi, vuoi l’avanzata demagogica, vuoi la diminuita attenzione verso aspetti più importanti per il ruolo della vita quotidiana dei cittadini. E che per assurdo, come inserita in un circolo vizioso, conferma anche in casa quel tipo di mentalità che le ha creato problemi. Persi nella fabbrica della narrazione del risentimento si sceglie di respingere l’altro come gli altri respingono noi e così ci troviamo sempre più soli, un’eterogeneità di nazioni che è pane per i denti delle grandi potenze o degli squali che speculano sulla debolezza della divisione. Astraiamoci nella nostra patria così sarà più facile svenderla in blocco, dimentichi che la forza la fa l’unione e non prendersela coi più deboli.
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