Trasformare un’azienda in un “bivacco di manipoli”

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21 Luglio 2016

capitale umano

Sono passate diverse settimane dall’evento.
Un manager di prima grandezza, l’amministratore delegato dell’Enel, Francesco Starace, viene invitato in aprile alla Luiss per parlare con gli studenti (“i manager di domani”, dice qualcuno).
Il tema è il cambiamento.
“Come si fa a cambiare un’organizzazione come Enel?”, domanda uno dei ragazzi presenti.
Ecco la risposta del manager:
“Innanzitutto ci vuole un gruppo di persone convinte. Un manipolo di cambiatori. Poi vanno individuati i gangli di controllo dell’organizzazione che si vuole cambiare. E bisogna distruggere, distruggere fisicamente questi centri di potere, creando quindi malessere all’interno del ganglio dell’organizzazione che si vuole distruggere”.

Ma non basta. Prosegue Starace : “ Questa cosa va fatta nella maniera più plateale possibile, sicché da ispirare paura nel resto dell’organizzazione. Questa cosa va fatta velocemente, con decisione, senza requie. Dopo pochi mesi l’organizzazione capisce, perché alla gente non piace soffrire”.
“È facile”, conclude con un sorriso. Gli studenti (“i manager di domani”) applaudono. La vicenda sembra finire lì.
Poi, però, quella lezione “magistrale” finisce in rete e il video in cui si teorizza l’uso della paura come strumento di gestione del personale in azienda diventa virale. Quelle parole, pronunciate in tono soave ed educato, appaiono a (quasi) tutti inquietanti.
Lo stesso protagonista della vicenda se ne rende conto.
Ci riflette su, poi scrive ai dipendenti, per fare il contrario di quello che ha teorizzato: cioè per tranquillizzarli.
Ecco il testo della sua lettera rivolta al personale dell’Enel:
“Rivedendo l’intervento e riflettendo su quello che intendevo dire, mi rendo conto di avere sbagliato la scelta delle parole. Di questo mi dispiaccio due volte. La prima perché mi rendo conto di avere ferito la sensibilità di alcuni di voi (…) La seconda perché i toni e il contenuto non mi appartengono. Chi di voi mi conosce lo sa bene. Uno dei cambiamenti che stiamo cercando di portare avanti è la consapevolezza che a volte sbagliamo. Credo che sia importante ammetterlo onestamente e imparare dai nostri errori, capaci di andare avanti in maniera più consapevole”.
Insomma : Starace 1 e Starace 2.
Quale sarà quello vero? Me lo sono chiesto più volte.
Ho passato molto tempo in un’azienda di grandi dimensioni (più o meno le stesse dell’Enel) occupandomi di gestione del personale.
Già, perché allora, quando ho iniziato, si parlava di “gestione del personale”. Poi si è passato a parlare di “risorse umane”, infine di “valorizzazione delle risorse umane”. Anzi di people value (in inglese suona molto meglio, inutile negarlo).
Nella mia come in altre aziende, però, il passaggio, verificatosi nel corso degli ultimi decenni, dal termine poco poetico e quasi brutale di “gestione” a quello ricco di significati gratificanti di “valorizzazione”, è coinciso con il progressivo ridursi, decisamente ormai a livello di guardia, dell’attenzione per il fattore umano.
Parlando pochi giorni fa con un collega rimasto in azienda (io l’ho lasciata qualche anno fa) ho ricevuto da lui un commento chiarificatore sulla vicenda del famoso discorso alla Luiss.

“Sai perché – mi ha detto l’ex collega – quel tizio si è espresso in quel  modo? In fondo poteva fare lo stesso discorso in positivo, parlare di comportamenti da incentivare, di premi da assegnare ai più meritevoli, eccetera eccetera. Sarebbe stato applaudito lo stesso e non ci sarebbe stato poi bisogno di rinnegare se stesso e coprirsi il capo di cenere.
Sai perché non lo ha fatto? Perché non ci ha pensato, semplicemente.
Ormai, chi arriva nelle posizioni di vertice di una grande azienda, più che porsi l’obiettivo di premiare i migliori, si dà il compito di far fuori i portatori di pensiero divergente. E anche il linguaggio non è casuale. A cosa ti fa pensare un manager che usa la parola manipolo? Fidati: lo Starace vero è lo Starace 1. E come lui ce ne sono tantissimi”.

TAG: risorse umane
CAT: Grandi imprese

Un commento

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  1. alfio.squillaci 8 anni fa

    Il tema è quello classico, se per lo Principe è meglio essere amato che temuto. Starace sa che i sottoposti amano di gran lunga il secondo anche se a parole dicono di preferire il primo. Nella mia esperienza aziendale ho visto con i miei occhi che il leader aggressivo (“c’ha le palle”, si sussurrava con la complicità dei deboli) era di gran lunga più ammirato, per quel tanto di aggressività che ciascuno aveva in petto e riusciva a proiettare nel leader tossico. Ho visto anche che vi sono più servi che padroni (in siciliano volgare si dice “più culi che minchie”; chiedo scusa) e che il padrone assoluto eccita maledettamente. Io cercavo la leadership motivazionale: il mio capo à la Starace (che ha avuto il torto solo di dire ciò che pensava e che in tanti praticano TUTTI I GIORNI) mi fece il mazzo e mi disse che avevo stile di leadership “affiliativo” (neanche fossi un mafioso), un termine letto in qualche libro di management basico che si vendono nelle stazioni. C’è una miseria nella nostra classe dirigente aziendale e non, suprema. Meno male che mi trovo fuori, finalmente, da questa pantomima. Cordialmente.

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